L'Ungheria sull'orlo del baratro. L’Ungheria è uno dei paesi europei più colpiti dalla recente crisi economica. Nell’ottobre 2008 la bancarotta finanziaria è stata evitata soltanto grazie a un prestito da 20 miliardi di euro concesso dall’Ue e dal Fmi.
Contrariamente agli stati baltici, in cui la drastica contrazione del Pil registrata negli ultimi mesi segue un lungo ciclo di sviluppo a ritmi talora superiori al 10% annuo, in Ungheria la recessione non è iniziata nell’ultimo trimestre del 2008 e non ha cause esogene, congiunturali. Essa riflette piuttosto un’erosione strutturale del sistema-paese che risale a diversi anni fa ed è largamente riconducibile agli errori di politica economica compiuti dai diversi governi che si sono succeduti negli ultimi 7 anni, sotto la guida dei socialisti Medgyessy e Gyurcsány. Dal 1996 per dieci anni consecutivi, grazie a una congiuntura internazionale favorevole e ai benefici dell’ingresso nell’Ue, il Pil è cresciuto del 4-5%, con una stabilità invidiata dagli altri paesi dell’Europa centro-orientale. La crescita, tuttavia, si è bloccata nel 2007-2008, attestandosi allo 0,5-1% annuo, mentre per il 2009 la Banca nazionale ungherese e gli istituti di analisi prevedono un calo compreso fra il 3 il 5%, con prospettive di stagnazione fino al 2011. Ben più preoccupanti sono tuttavia i segnali di decomposizione del tessuto socio-economico. La chiusura di numerose imprese, che ha causato, ad oggi, 40 mila licenziamenti, ha fatto aumentare il tasso di disoccupazione dal 6-7% degli ultimi anni all’8,4%. Il tasso di occupazione della popolazione adulta è sceso al 50% contro una media del 60% nei paesi dell’Oecd. Il quadro appare piuttosto critico e i numeri lo testimoniano in modo implacabile: gli occupati sono 3,8 milioni, a fronte di 350 mila disoccupati, quasi 200 mila sussidiati dai servizi sociali e 3,1 milioni di pensionati (di cui 800 mila per invalidità). Considerando che circa 1,5 milioni di lavoratori percepiscono un reddito minimo non tassato, pari a 71 mila fiorini (230 euro), un salario insufficiente che molti integrano nell’economia sommersa, l’intero sistema sociale grava sulle spalle di meno di 2 milioni di contribuenti, soprattutto lavoratori dipendenti ad alta qualificazione e piccoli-medi imprenditori, sui quali pesa una tassazione che supera il 50%. Al centro del dibattito politico, a un anno dalle elezioni politiche dell’aprile 2010, resta la riforma del pensionistico-assistenziale, che assorbe ormai il 15% del reddito nazionale. Sotto accusa sono in particolare i sussidi concessi ai più poveri: i principali beneficiari appartengono alla comunità rom, fattore che acuisce le tensioni etniche soprattutto nelle regioni orientali del paese (grazie ai sussidi una famiglia di 5-6 persone con 4 minori a carico può giungere a percepire circa 600 euro netti, reddito superiore a quello di molte famiglie di contribuenti). Nonostante le critiche rivolte contro un sistema ritenuto troppo generoso, il governo non intende privarsi di uno strumento che giudica necessario per evitare esplosioni sociali ma che regola anche un vasto clientelismo elettorale. Nel frattempo, un’ondata di criminalità e violenze alimenta il conflitto etnico soprattutto nelle zone rurali e nelle province nord-orientali, nella passività generale delle forze dell'ordine, piuttosto demotivate e corrotte (molti poliziotti lavorano parallelamente nei locali notturni spesso controllati dalla criminalità). La crisi economica acuisce insomma le difficoltà di un paese già profondamente diviso sin dalla crisi politica dell’autunno 2006, e rischia ora di precipitarlo in una spirale di insofferenza e odio che sembra incrementare il bacino di voti dell'estrema destra ungherese. Una prospettiva che l'improvvisa caduta del governo Gyurcsány, lo scorso 21 marzo, ha reso ancora più minacciosa.
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