Elezioni europee: Ungheria. Le elezioni europee del 7 giugno fotografano un’Ungheria in preda a una grave recessione, turbata e ansiosa di cambiamento ma al tempo stesso sorprendentemente apatica.
Nonostante abbia votato oltre il 36% degli aventi diritto – una delle percentuali più elevate nella metà orientale dell’Ue - l’affluenza si dimezza rispetto alle elezioni politiche del 2002 e 2006. La dirompente avanzata della destra e la dura battuta d’arresto della sinistra va quindi inquadrata in un contesto di marcato astensionismo, che consente al premier Gordon Bajnai di affermare che gli elettori del partito socialista sono rimasti a casa ma non hanno sfiduciato il governo.
Il voto ha premiato in modo significativo ma previsto il principale partito di opposizione, il conservatore Fidesz dell’ex-premier Viktor Orbán (56,4% e 14 seggi per il gruppo popolare europeo), punendo i socialisti dell’Mszp al governo da 7 anni (17,4% e 4 seggi). La supremazia del Fidesz è stata omogenea sull’intero territorio, con la maggioranza assoluta conquistata in tutte le province e sfiorata nella stessa capitale Budapest, bastione della coalizione socialista-liberale. L’Alleanza dei liberi democratici Szdsz appare come il principale sconfitto delle urne: il partito si è fermato ad un umiliante 2,16% ed è stato superato non solo dal Forum Democratico Mdf, la formazione centrista ex-alleata di Orbán, che con un sorprendente 5,3% invia a Bruxelles l’ex-ministro delle finanze Lajos Bokros, ma anche da una nuova formazione libertaria, il movimento Lmp.
Tre seggi su ventidue sono stati infine conquistati dalla principale novità di questa consultazione, il Movimento per un’Ungheria migliore (Jobbik). Questa formazione di estrema destra è nata nel 2006 dalle ceneri di un altro partito nazional-radicale, il Movimento per la verità e la vita (Miép), trasformandosi rapidamente in un movimento di massa, che combina l’uso calibrato di una retorica legalitaria a una più tradizionale costruzione organizzativa dal basso tipica di movimenti quali la Fpoe di Haider e la Lega nord dei primi anni ’90. Il ruolo principale di Jobbik è stato quello di spezzare il bipartitismo quasi perfetto che aveva contraddistinto lo scenario politico magiaro sin dal 2002, imponendosi come terza forza del paese con il 14,8% dei consensi, pari a oltre mezzo milione di voti. Analizzando i flussi elettorali, si scopre che la destra radicale ha sottratto sì voti ai conservatori, ma ha soprattutto convinto una fascia non trascurabile dell’elettorato rurale ed operaio socialista (anche in questo caso, un riflesso di tendenze europee piuttosto consolidate). Nelle province di Miskolc e Heves, da sempre affidabile bacino elettorale dell’Mszp e popolate da una comunità rom ormai maggioritaria in diversi comuni, Jobbik supera rispettivamente il 22% e il 20%, mentre resta ampiamente sotto il 10% solo nei distretti benestanti di Budapest e nell’ovest del paese.
La correlazione fra geografia elettorale e demografia inquieta le associazioni per i diritti umani e i principali partiti politici. Sino a domenica, la difficile convivenza fra ungheresi e rom nelle campagne e i conseguenti problemi di ordine pubblico costituivano un argomento tabù per i media e per il dibattito intellettuale. L’affermazione di Jobbik costituisce una risposta emotiva a un problema enorme: il fallimento dell’integrazione sociale, culturale e civile di quasi il 10% della sua popolazione ungherese. Governo, opposizione e Unione Europea sono chiamati a elaborare in tempi rapidi nuove strategie di intervento rispetto alla crisi sociale e alle tensioni etniche. In caso contrario, date anche la pessima congiuntura economico-finanziaria prevista nella seconda parte dell’anno, vi è il serio rischio che il successo di Jobbik si trasformi alle prossime elezioni politiche, previste nell’aprile 2010, in una sfida organica a un sistema politico asfittico e profondamente delegittimato.
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