Senza voce. È un’ Europa senza voce quella che sta affrontando la crisi prodotta dalle rivolte del Nord Africa. Si è spesso parlato della necessità che l’Ue si esprima con una sola voce in politica estera, ma raramente è accaduto. Quello che sta avvenendo in questi giorni, però, è particolarmente grave; cerchiamo di capire perché. Da sempre la politica estera dell’Ue la fanno gli stati membri.Anche se si è molto approfondita con l’ultimo trattato, si tratta pur sempre di una politica intergovernativa. Per cui il rischio è che se l’Ue si esprimesse veramente con una voce sola, sarebbe probabilmente una voce univoca, espressione dello stato o della coalizione più forte tra i membri Ue. La Ashton, però, rifiuta nella sostanza anche un ruolo che il trattato di Lisbona le dà: quello, in quanto Alto Rappresentante per la politica estera, di esprimere pareri e approfondire le varie posizioni, per quanto distanti possano essere. Davanti alle domande dei giornalisti riguardo a chi appoggiare tra le parti in conflitto in Libia, la Ashton ha invece risposto che spetta solo ai singoli stati membri riconoscere gli altri stati; e non ha aggiunto altro. Non ha neanche menzionato la risoluzione approvata dalla stragrande maggioranza dei parlamentari europei, nella quale si invitava l’Ue tutta ad esprimersi contro Gheddafi e a favore dei rivoltosi. La Ashton, consigliata da un entourage tutto anglosassone, depotenzia nella prassi gli spazi che si erano aperti con il nuovo trattato e questo era il timore che molti avevano sin dal momento stesso della sua nomina, proposta proprio da chi voleva frenare sull’approfondimento comunitario in politica estera. Così, indipendentemente dalle indicazioni dell’unico organismo pienamente democratico dell’Unione, il Parlamento europeo, l’Ue procede a tentoni nelle sue relazioni internazionali e spesso l’azione dei singoli membri contraddice la politica unitaria, tanto che all’osservatore esterno non sembra strano definire la politica estera dell’Ue come una politica schizofrenica.

Nella crisi di questi giorni si è definitivamente consumato ogni barlume di credibilità europea. Dapprima area di colonizzazione europea, attraverso processi spesso drammatici e violenti la gran parte dei paesi del Nord Africa si è resa indipendente, per quanto ha potuto e per quanto i vincoli economici, politici e anche culturali neo-coloniali con le ex madrepatrie gli hanno permesso. Alcuni paesi, come il Sahara Occidentale, stanno ancora vivendo da trent’anni un processo di decolonizzazione. Vecchi e nuovi interessi degli stati europei si sono allacciati dagli anni  Cinquanta ad oggi. Interessi che hanno creato vincoli reciproci, il riconoscimento e anche il sostegno dei regimi dittatoriali che le popolazioni stanno cercando di ribaltare in questi mesi. L’Europa porta dunque con sé responsabilità che hanno superato indenni anche gli anni Novanta, i più impegnativi per il dialogo mediterraneo, quelli del processo di Barcellona, naufragato sotto i colpi degli interessi incrociati dei membri dell’Unione. È vero, l’Ue ha risposto prontamente con 30 milioni di euro per gli interventi umanitari e dal 20 febbraio affianca l’Italia con l’azione di Frontex, dedicata all’arrivo dei barconi di profughi. Ma non può essere solo una risposta umanitaria quella che l’Europa dedica alla riva sud di un Mediterraneo, che da luogo di incontro di civiltà straordinarie si è trasformato prima in un muro invalicabile e adesso in un cimitero. Le risposte sono altre e fa bene il Parlamento europeo a premere su Commissione e soprattutto sul Consiglio affinché se ne facciano carico.