Elezioni europee: Belgio. Chissà se questa volta faranno in fretta? Capire la politica belga può essere arduo come comporre il puzzle di un quadro di Mondrian durante un attacco di daltonismo. Le linee divisorie sono rigorose, distinguono le opulente Fiandre e la meno ricca Vallonia, tutto è sovrinteso da un preciso impianto federale che cerca di tenere insieme due mondi in perenne conflitto, i fiamminghi e i francofoni, e anche la piccola e sempre problematica minoranza di lingua tedesca.
I colori tendono però a mescolarsi in funzione delle alleanze. A due anni dal voto per il parlamento nazionale, il governo sta su con le stampelle dopo una lunga crisi che ha rischiato di strangolarlo nella culla. Stavolta, nella giornata della consultazione europea, il Belgio ha rinnovato i parlamenti regionali, traendone auspici per una volta meno nebulosi che potrebbero avere pericolose ricadute a livello nazionale.
Alcuni segnali sono chiari. Uno: la diversità è confermata, le Fiandre vanno a destra e la Vallonia va a sinistra. Due: il rifiuto della politica tradizionale si è coagulato nella scelta dei verdi, vincitori netti della tornata e possibile ago della bilancia di ogni futuro. Tre: gli estremismi perdono terreno e gli indipendentisti radicali del Vlaams Belang calano ai minimi. Morale: resta la pressione separatista nel regno di Alberto, avremo ancora litigi e dispetti nei comuni della grande Bruxelles dove i sindaci neerlandesi sognano di sradicare chi si esprime nella lingua del giglio; ma il giorno del gran divorzio dei belgi rimane vicino come quello in cui a Bruxelles serviranno le cozze senza patate fritte.
In Vallonia va di moda la formula “Olivier”, l’Ulivo diremmo noi. Il voto ha rafforzato i socialisti e il loro leader Elio di Rupo, vincitori nonostante alcuni scandali della vigilia (32,7% dei consensi; 29 seggi su 75 del parlamento vallone). Sarà con ogni probabilità lui a presiedere il nuovo esecutivo francofono. I pronostici dicono che metterà insieme gli “Ecolo” (18,5%; 14) e cristiano sociali (16,4%;13). Questo lascerebbe fuori i riformisti (Mr) del ministro delle Finanze Didier Reynders che lavora a un modello alternativo detto “giamaicano” (dai colori dei partiti che vi partecipano), in cui unire il suo Mr (23,41%;19) con verdi e cristiano sociali. Difficile. Tutti scommettono sul centrosinistra.
Nelle Fiandre si va verso un accordo fra i cristiano democratici fiamminghi (CD&V 22,86%;31 seggi su 124), i trionfatori della populista Nuova Alleanza Fiamminga (13%;16), e terzo partner scelto fra i verdi (6,77%;7) e gli indeboliti socialisti (15,27%;21). Il boccino è nelle mani di Kris Peeters, leader del CD&V, certo di un nuovo mandato come presidente. Chiederà più autonomia e un approfondimento del federalismo, cosa che i suoi elettori giudicano basilare, se non altro perché l’economia e le casse pubbliche delle Fiandre godono di migliore salute rispetto a quelle delle province del sud.
Detto che nella regione di Bruxelles ci si orienta verso una riconferma dell’Ulivo che ha retto (bene) sinora, la domanda è se i nuovi assetti regionali avranno effetto sul governo federale composto per parte neerlandese da cristiani sociali e liberali, e per parte francofona da socialisti, cristiano democratici e liberali. L’uscita di quest’ultimi, dunque la messa all’angolo del ministro Reynders, potrebbe riflettersi anche sulla claudicante compagine del premier Herman Van Rompuy, cristiano democratico fiammingo. C’è chi già vede l’ennesimo rimpasto e una possibile tornata di elezioni anticipate. Presto per dirlo. In Belgio, molto più che in altri paesi, la politica è l’arte del possibile. Talvolta anche dell’impossibile.
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