Buone nuove dall’Unione. Lungo, complesso, faticoso. Così è l’accordo definitivo (o presunto tale) raggiunto dopo due anni di lunghe riunioni dei capi di Stato e di governo, spesso improvvisate, sovente inadeguate, costantemente caratterizzate dagli egoismi nazionali. Dopo l’ennesima notte passata quasi in bianco, i dirigenti europei hanno definitivamente messo a punto le misure per governare la zona euro. Oltre all’attuazione del pacchetto di regole adottate a luglio per rafforzare il coordinamento delle politiche economiche e di bilancio (dove per esempio non c’è traccia di coordinamento delle politiche fiscali), il Consiglio europeo doveva fissare i paletti definitivi del Fondo europeo di stabilizzazione finanziaria (il cosiddetto fondo salva-Stati), nonché dare indicazioni precise sugli impegni dei Paesi interessati, in primo luogo quello di raggiungere il pareggio di bilancio entro la fine del 2012.
Le decisioni per migliorare il sistema di governo dell’economia si pongono in un’ottica di continuità rispetto al passato e prevedono il coinvolgimento di nuovi attori. Si conferma per esempio che i capi di Stato e di governo si riuniranno, come avviene per i ministri economici, nella formazione eurozona. E che il presidente dell’eurovertice sarà l’attuale chairman del Consiglio europeo van Rompuy. L’eurogruppo a livello ministeriale, continuerà ad avere un suo presidente (oggi il lussemburghese Junkert). Successivamente, potrebbe essere deciso il carattere permanente di questa figura, allo stesso modo del presidente del Consiglio europeo. È stata di fatto bocciata la proposta di Barroso di conferire questo ruolo al Commissario europeo agli affari economici con il rango di vicepresidente (un po’ come avviene oggi con la baronessa Asthon per la politica estera). Sono poi state previste ulteriori regole che fanno del governo della zona euro una babele di soggetti e procedure tutt'altro che semplici (e dall’efficacia tutta da verificare).
Si è talmente consapevoli di questa complessità e timorosi dei risultati concreti che si raggiungeranno che nelle conclusioni del vertice è inserita, in maniera quasi nascosta, una frase dagli effetti in un certo senso rivoluzionari rispetto al pensiero unico di questi ultimi mesi. Per conseguire l’obiettivo di rafforzare l’unione economica – si legge nell’ultimo paragrafo delle conclusioni dell’ultimo Consiglio europeo – si evoca la possibilità di “limitate modifiche del Trattato”. Il tabù è stato spazzato via: dopo l’entrata in vigore del Trattato di Lisbona, nessuno voleva parlare più di un’ulteriore riforma delle leggi fondamentali dell’Unione. Questa semplice frase, nascosta nelle centinaia di parole della dichiarazione ufficiale, apre inaspettati margini di manovra per riprovare a dare sostanza alla dimensione politica dell’Unione europea nell’ambito oggettivamente più debole di integrazione da Maastricht in poi, l’unione economica.
Certo, chi doveva sapere sapeva che le misure previste dal nuovo Trattato (quello nato dalle ceneri della Costituzione europea) non disponeva di mezzi adeguati per il governo dell’economia. Né le cooperazioni rafforzate (da attuare per esempio in materia fiscale) né le clausole “passerella” per favorire l’uso del voto a maggioranza in settori dove forti sono le resistenze di alcuni Stati potevano costituire le leve su cui poggiare. Chi doveva sapere sapeva che gli accordi politici raggiunti del Consiglio europeo arrivano fino a dove il Trattato di Lisbona concedeva di andare, ma niente di più.
E chi doveva sapere ha saputo fino a un certo punto (nei media generalisti non ce n’è traccia) delle tentazioni della Germania di spingere la barca europea nelle acque della cooperazione intergovernativa, con l’idea di predisporre un trattato internazionale per disciplinare le relazioni dei Paesi dell’eurozona in maniera più conforme agli imperativi di stabilità e sanzioni ancor più impegnativi. Nel silenzio dei media – attraverso l’accalorata difesa del metodo comunitario eretta da Manuel Barroso nel suo discorso sullo “Stato dell’Unione” (il governo economico dell’euro è la Commissione), la silenziosa ma non per questo efficace difesa dell’Europa degli “altri” (i Paesi senza l’euro) – ogni tentazione intergovernativa sembra essersi arenata.
Chi doveva sapere sa che per creare un vero governo dell’economia, (il catalogo delle misure necessario è lunghissimo, dai meccanismi decisionali per definire la politica economica dell’Unione al rafforzamento della dimensione politica della Bce, dall’estensione della politica sociale tra le competenze condivise all’istituzione del Fondo monetario europeo come agenzia del debito pubblico) bisogna andare “al di là dei trattati”. Ecco spiegata e poco evidenziata naturalmente quella frase “buttata” la quasi con nonchalance nelle conclusioni sul governo della zona euro, anticipate dalle conclusioni del Consiglio europeo a 27.
C’è chi sta già lavorando in questa prospettiva. La commissione affari costituzionali del Parlamento europeo si confronterà sull’opportunità di modificare il Trattato attraverso la convocazione di una nuova convenzione il cui mandato dovrebbe limitarsi all’unione economica. L’obiettivo è quello di saltare la conferenza diplomatica tradizionale dopo la conclusione della convenzione e presentare il progetto di modifica direttamente al Consiglio europeo.
Quello che sembrava impossibile fino a pochi mesi fa sta tornando di grande attualità e nuovi scenari di cambiamento di stanno aprendo. È probabile che si confronteranno ancora la tesi tedesca, che punta a un sistema di regole molto forte (con sanzioni) e la tesi francese che pensa più al quadro istituzionale che dovrà decidere. Si torna dunque, in una specie di gioco dell’oca, a vecchie questioni. E se la tendenza sarà quella di enfatizzare il ruolo del Consiglio, forse non sarà ancora tardi per ridare possibilità e slancio alla Commissione europea come motore dell’integrazione.
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