Mai come in questa tornata amministrativa Brescia è stata sotto i riflettori e all’attenzione dei media nazionali. La ragione è semplice, in una fase politica di sbando del Pd, nella seconda città della Lombardia il sindaco uscente, il dem Emilio Del Bono, è stato rieletto alla guida di Palazzo Loggia al primo turno con il 53,8% dei consensi. Andando oltre le suggestioni che all’indomani del voto hanno spinto anche componenti nazionali del Pd ad invocare un modello Brescia che sarà tuttavia impossibile replicare vista la specificità di ogni realtà locale, è interessante ragionare sulle motivazioni che hanno portato ad un esito elettorale di questo genere, proprio mentre la Lega sembra potersi prendere il Nord oltre che il centrodestra.

Il primo dato che emerge chiaramente dal voto del 10 giugno è quello dell’astensione, un 42,5% che non ha avuto eguali nemmeno alle ultime europee, quando l’affluenza si era attestata al 65,45% con 91 mila votanti contro gli 83 mila delle recenti comunali (pari al 57,4%). Ma parlando di astensione, il vero aspetto da considerare è che ha colpito soprattutto quelle forze che oggi sono forze di governo nel Paese. In primis il centrodestra che tra le regionali del 4 marzo e il voto amministrativo ha lasciato per strada 14 mila elettori che il 10 giugno hanno disertato le urne. Non è andata meglio al Movimento 5 Stelle che ha visto perdere due terzi dei consensi dal 4 marzo a oggi. Inoltre, come conferma la primissima analisi sul caso bresciano prodotta dell’Istituto Cattaneo, anche l’elettorato pentastellato ha disertato le urne, ma secondo le stime addirittura un quarto degli elettori grillini ha preferito votare per Del Bono. Venendo al centrosinistra bresciano non solo si è rivelato immune dall’astensionismo ma ha mostrato anche un alto livello di fedeltà da parte del proprio elettorato, si tratta di una regolarità storica visto che dal 2013 ad oggi in occasione delle varie consultazioni si è sempre mostrato poco volubile.

Per ciò che riguarda i due schieramenti usciti sconfitti dalle urne le ragioni di astensione e di débâcle a soli tre mesi da esiti ben diversi a regionali e politiche possono essere sostanzialmente due, al netto di una proposta politica vincente da parte della coalizione a sostegno del sindaco uscente e dalle dinamiche del voto amministrativo: o è stata sbagliata la campagna elettorale o è stata poco efficace la scelta del candidato. Nel caso del Movimento 5 stelle, la decisione degli esponenti più noti, a partire dal neosottosegretario della presidenza del Consiglio con delega all’editoria Vito Crimi, di cercare conferme a un livello istituzionale ben superiore a quello municipale ha portato alla scelta, pur dopo un voto tra gli iscritti, di un candidato di secondo piano e sconosciuto anche all’elettore pentastellato bresciano. Il M5S si è così fermato al di sotto del 6%, un risultato che mostra le difficoltà nell’affermarsi a livello locale con una propria classe di amministratori.

Nel caso del centrodestra, invece, la determinazione con cui Mariastella Gelmini ha preteso nella sua Brescia una candidatura di Forza Italia, ha costretto gli azzurri a lasciare alla Lega l’impostazione della campagna elettorale comunale, soprattutto all’indomani del 4 marzo e con i mutati rapporti di forza a livello nazionale. L’effetto, oltre alla sconfitta è stato anche una rarefazione di FI scesa al 7% a favore di una supremazia del Carroccio arrivato al 27% e oggi seconda forza in città.

Quest’ultima considerazione ci porta nel vivo dell’analisi politica del voto bresciano, che ci ha mostrato come non abbiano avuto effetto le sirene delle tematiche securitarie di ispirazione leghista, il cui climax è stato raggiunto con la chiusura di campagna elettorale a 36 ore dal voto del già ministro degli Interni Matteo Salvini in piena mobilitazione anti-immigrati. Se è vero che nel solo Comune di Brescia gli stranieri residenti sono 36 mila, ovvero il 18,4% del totale, è ormai abbastanza chiaro che i percorsi di integrazione, seppur a fatica, stiano funzionando. La società reale ha una percezione di sé differente da quella raccontata, in particolare, dall’ortodossia leghista. Sicuramente contribuisce anche un dato di fatto: circa il 17,6% degli studenti delle scuole bresciane (intese come città e provincia) è di cittadinanza non italiana: ogni mattina dall’asilo alle superiori allo squillo della campanella oltre 32 mila studenti stranieri si siedono in classe. Un aspetto che sicuramente aiuta a superare i luoghi comuni dell’”invasione” e che si somma ad un altro dato: i 9300 stranieri che ogni anno nel Bresciano acquisiscono la cittadinanza italiana, di cui una fetta consistente nel solo comune capoluogo. Di fronte a una società che de facto sta diventando multiculturale, se non nella sostanza quantomeno nei numeri, ha pagato l’approccio unitivo dell’amministrazione uscente. L’esperienza di partecipazione dei consigli di quartiere, unica nel suo genere in tutta Italia, ha visto la possibilità per gli stranieri di essere sia elettorato attivo che passivo.

Sminato il campo dall’esplosivo tema immigratoria va dato atto al sindaco del centrosinistra di aver saputo incarnare quell’idealtipo di sindaco del buongoverno che i bresciani si aspettano di avere in municipio, a prescindere dalla colorazione politica. Non è caso che in un variegato e complesso sondaggio curato da Ipsos e pubblicato a poco più di due mesi dal voto su Il Giornale di Brescia emergeva chiaramente come 6 bresciani su 10 fossero contenti o molto contenti della gestione del Comune, da destra a sinistra passando per le file degli M5S. Un misto tra orgoglio municipale e senso di appartenenza che Del Bono e la sua Giunta hanno saputo interpretare al meglio nei cinque anni di governo cittadino avviati nel 2013. Il tutto a partire da una grande attenzione ai conti pubblici con la poderosa riduzione dell’indebitamento, che certo non ha mai effetto diretto sul voto dell’elettore medio, ma ha una traduzione diretta nei margini di spesa su altre voci a partire da quelle socio-assistenziali, che generalmente sono le prime ad essere tagliate generalmente in caso di ristrettezze di bilancio. Non solo, la Loggia di concerto con Milano ha saputo fare scelte oculate nella complessa partita della multiutility A2A, la decisione congiunta di vendere un quota di azioni, senza per questo perdere la golden share, e il rinnovo del management hanno fatto volare il titolo in borsa: il che si è banalmente tradotto in una cedola annuale sempre più consistente che nel 2018 ha toccato quota 45 milioni di euro per il solo Comune di Brescia.

A queste scelte politiche di grande respiro si sono aggiunte quelle più ordinarie ma decisive per costruire il consenso: la politica ambientale tra nuovo sistema di raccolta dei rifiuti e bonifiche di aree inquinate; la politica culturale resa più sistematica con l’apice raggiunto nella riapertura della Pinacoteca attesa da almeno un decennio; la politica infrastrutturale con le migliorie alla metropolitana leggera e al sistema dei trasporti pubblici, integrata dalla pedonalizzazione di parti del centro storico.

Emilio Del Bono ha, infine, saputo ben giostrarsi nel complesso orizzonte politico del Partito democratico: come tutti i suoi predecessori ha voluto proporre di sé un’immagine esclusivamente istituzionale e assolutamente poco partitica. Questo approccio che si potrebbe definire "alla Gentiloni" l’ha tenuto al riparo da diatribe nazionali e regionali (pur avendo per primo lanciato la candidatura di Giorgio Gori nella sfida regionale poi persa con Attilio Fontana) che avrebbero potuto indebolirne l’immagine. In assenza oggi di figure politiche di spicco nel Pd locale, in occasione della tornata amministrativa ,il candidato sindaco ha fatto da traino anche per il partito che ha ottenuto il 34,6%. Ma soprattutto Del Bono, in termini di consensi, ha ottenuto un risultato addirittura superiore al Pd renziano delle europee del 2014 che a Brescia conquistò non solo il 46,5% ma soprattutto 41 mila consensi, il sindaco uscente ha superato abbondantemente i 44 mila voti. In sostanza un’affermazione personale che ha avuto un effetto sui partiti della sua coalizione e che ora lo mette in condizione di avviare il secondo mandato con grande serenità.

 

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