La guerra del passaporto. Lo scorso 29 maggio, in occasione della seconda seduta successiva all’insediamento, il parlamento ungherese ha varato una legge che prevede la semplificazione delle procedure per l’assegnazione della doppia cittadinanza, malgrado l’elettorato avesse bocciato una proposta analoga in occasione di un referendum tenuto nel 2004. Il provvedimento ha suscitato una serie di reazioni nella regione danubiana, la maggior parte delle quali piuttosto critiche. Parte dell’ostilità è legata al retaggio storico. Fino a novant’anni fa, l’Ungheria era potenza egemone nella regione. Tra la fine della prima guerra mondiale e il secondo dopoguerra, lo stato magiaro è stato ridimensionato a circa un terzo dei confini storici, determinando una diaspora di ungheresi che si ritrovavano fuori dal territorio nazionale. Tutt’oggi un magiarofono su quattro – tre milioni e mezzo di persone circa – vive all’esterno dei confini nazionali, in uno dei sette stati confinanti con l’Ungheria, dove talvolta l’elemento ungherese assume un peso percentuale tanto rilevante da rendere delicati gli equilibri interetnici. Quando lo stato magiaro e sei paesi confinanti (l’unico a non farne parte era l’Austria) erano parte del blocco comunista, vennero intraprese due politiche differenti. Tra il 1946 e il 1951 si tentarono scambi di popolazioni, in molti casi attraverso deportazioni forzate, coinvolgendo circa un decimo delle popolazioni interessate. Dall’inizio degli anni Cinquanta in avanti, complice la scomparsa di Stalin,  i comunisti puntarono piuttosto sulla retorica della fratellanza dei popoli, mentre ognuno nel proprio Stato – salvo la Jugoslavia – tentava di rendere omogenea la popolazione con leggi discriminatorie. In seguito al crollo del muro di Berlino, i problemi di nazionalità si sono proposti immutati. 

La legge sulla doppia cittadinanza ha indispettito il governo di Bratislava, la cui popolazione è per il 10% magiarofona. L’ex premier slovacco, Robert Fico, ha dedicato buona parte dell’ultimo scorcio di legislatura e della campagna elettorale dello scorso giugno ad agitare lo spettro del revanscismo magiaro, affermando che la legge di Budapest sarebbe stata il primo passo sul fronte delle rivendicazioni territoriali. L’allora Primo ministro slovacco aveva impugnato il provvedimento in sede europea, contestando l’unilateralità del gesto ungherese. Budapest, tuttavia, ha avuto gioco facile nel replicare ricordando che proprio un anno prima Bratislava aveva emanato, senza consultare nessuno, la legge sulla lingua slovacca discriminatoria nei confronti delle minoranze. Frattanto Fico tentava di radunare un fronte slavo-latino in funzione anti-ungherese.  Tutti i possibili membri del club, tuttavia, si sono sfilati. Prima la Serbia (altro paese decisamente generoso nella concessione della doppia cittadinanza), in cui è presente una minoranza ungherese di circa 200.000 persone all’interno della regione autonomia di Vojvodina, poi l’Ucraina, che ha una popolazione al 20% russofona e varie minoranze. Kiev, dopo una frizione con Budapest lo scorso anno quando – a causa delle ristrettezze economiche generate dalla crisi – minacciò di non finanziare le scuole dei 160.000 magiarofoni presenti sul territorio ucraino, sta ora studiando proprio il «modello-Vojvodina» per applicarlo in Transcarpazia, principale regione d’insediamento della minoranza ungherese e  nuovo polo che dovrebbe attrarre investimenti da Budapest, capaci di risollevare la disastrata economia ucraina.  Nessuna reazione dalla Romania, dove abitano 1,5 milioni di magiarofoni. Bucarest attua politiche simili verso i romenofoni di Moldova. Ciononostante Fidesz, partito conservatore che ha trionfato nelle elezioni dello scorso aprile (52,76% dei voti e circa 2/3 dei seggi),  portando alla guida del paese Viktor Orbán, gioca spesso col nazionalismo magiaro. Gli slovacchi, colonizzati per secoli dagli ungheresi, rispondono pavlovianamente. Il recente arrivo al potere di una coalizione liberal-pragmatica a Bratislava, interessata a migliorare le relazioni bilaterali, basterà a dischiudere nuovi scenari?