Lula, il gigante brasiliano. A sei mesi dalle elezioni presidenziali di ottobre, il Brasile è già in fermento. A fronteggiarsi in una competizione che si prospetta combattuta, sarà l’attuale governatore di San Paolo, José Serra, e Dilma Rousseff, ex Ministro dell’Energia e attuale capo dello staff presidenziale.A catturare l’attenzione del dibattito politico è però, ancora una volta, la figura del presidente Lula. Dopo cinque tornate elettorali consecutive (1989, 1994, 1998, 2002 e 2006) Lula non prenderà parte al confronto politico, almeno direttamente. La costituzione brasiliana proibisce la candidatura per un terzo mandato consecutivo e Lula, a differenza dei suoi omologhi Chávez e Uribe, non ha mai pensato a una riforma costituzionale su misura.
Rispetto alle presidenziali del 2002, il Brasile è un paese radicalmente cambiato. La metamorfosi vissuta dal gigante brasiliano è impressionante, in particolare dal punto di vista socio-economico. I tassi di povertà ed indigenza sono stati ridotti in modo significativo (rispettivamente dal 35.1% al 22.7% e dal 14% all’8%), la piaga dell’iperinflazione sconfitta (il tasso di inflazione dal 2003 ad oggi è rimasto al di sotto del 5%) e la disuguaglianza, storica piaga del Brasile post-coloniale, affrontata in modo aggressivo e strutturato. Nonostante le lacune da colmare siano ancora molte, da una spesa sociale regressiva a un sistema educativo classista e discriminatorio, il Brasile contemporaneo è un paese relativamente più equo ed economicamente solido; forza agricola su scala mondiale, leader silenzioso in Sudamerica e potenza emergente in uno scacchiere internazionale in piena evoluzione. Sebbene i risultati maturati durante gli otto anni di governo del Partito dei Lavoratori (PT) affondino le radici nel processo di aggiustamento strutturale portato avanti dall’amministrazione Cardoso (1994-2002) in aree scottanti quali salute e pensioni, agli occhi del Brasile e del mondo, l’artefice del “decollo Brasiliano” (The Economist), è il figlio di Caetés, piccolo paese nel cuore del povero stato nordestino del Pernambuco. Eletto personaggio del 2009 dal quotidiano spagnolo El País, protagonista di un film che ripercorre la sua vicenda di migrante nordestino che approda nella periferia industriale di San Paolo alla ricerca di miglior vita, Lula rappresenta per il Brasile il simbolo della rinascita, la fine dell’attesa per quello che Stefan Zweig, nel 1941, definì “l’eterno paese del futuro”.
La parabola politica di Lula è una sorta di filo rosso che accompagna il paese fin dalle concitate battute finali del processo di abertura, la lunga transizione democratica iniziata nel 1974 e conclusasi nel 1985, ventuno anni dopo il golpe del 1964. Tra il 1978 e il 1980, in veste di leader sindacale dei metalmeccanici di San Bernardo do Campo (San Paolo), Lula guida una serie di scioperi che arrivano a mobilitare un milione di persone contro il regime militare e la sua politica salariale. Nel 1980 fonda il Partido dos Trabalhadores, nel 1982 si candida alla carica di governatore di San Paolo e perde. Segue, fino al 2002, una lunga serie di sconfitte che però non fiaccano la lunga rincorsa di Lula e del PT che, nel frattempo, conosce una straordinaria metamorfosi, da forza anti-sistema a partito di governo in una coalizione che include forze di centro-destra. Dal 2002 ad oggi, la credibilità interna e internazionale di Lula è cresciuta a dismisura, fino ad offuscare quella di un PT in piena transizione, travolto da uno scandalo di corruzione nel 2005 (mensalão) e sempre più dipendente dall’inscalfibile popolarità del presidente (ben oltre il 60%). In controtendenza rispetto alle sue radici programmatiche, oggi il PT è il partito di Lula, la cui ingombrante eredità proietta l’ombra fosca del personalismo sul futuro non solo del PT ma dell’intero progetto di sviluppo brasiliano. Nonostante il recente Congresso nazionale abbia ribadito la volontà del partito di recuperare la propria identità politica, spostando gradualmente a sinistra le politiche implementate dal governo in materia di pianificazione economica, l’impressione è che la figura di Lula, come una sorta di deus ex machina, possa condizionare il voto di ottobre ben oltre i singoli programmi. C’è da credere che se la Rousseff dovesse trovarsi in difficoltà, Lula non tarderà a spendere l’immenso capitale politico accumulato negli otto anni che hanno cambiato la storia del gigante brasiliano.
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