Lulismo senza Lula? Dal gennaio 2011 Dilma Rousseff, ex capo di gabinetto del secondo governo Lula, succederà al presidente più popolare della storia del gigante sudamericano: Lula da Silva, che lascia Plan Alto con un tasso di consensi vicino all’85%. La portata “eccezionale” della congiuntura storica vissuta dal Brasile dal 2002 ad oggi (crescita economica stabile, significativa riduzione della povertà, sviluppo tecnologico nei settori petrolifero e agricolo, protagonismo diplomatico su scala globale) ha pesato come un macigno sulle sorti elettorali. Il desiderio di continuità e la capacità del presidente Lula nel presentare l’elezione di Dilma come un referendum sul suo operato hanno infatti prevalso su considerazioni di stampo programmatico, soffocando le flebili speranze del principale oppositore, il socialdemocratico José Serra. La candidata prescelta da Lula per dare continuità al progetto di sviluppo economico e sociale oggi denominato “lulismo”, è riuscita nell’impresa che era per due volte sfuggita al suo predecessore: conquistare, mediante il supporto di un’eterogenea coalizione di 11 forze politiche, la maggioranza in entrambe le camere del congresso (oltre al sostegno di 16 governatori su 27, figure chiave dell’assetto federale brasiliano). Quella ottenuta da Rousseff, però, non è un’investitura plebiscitaria, come dimostrano il sostanziale rafforzamento del principale partito di opposizione – il Partido da Social Democracia Brasileira di Serra - e la spaccatura in due tronconi dell’elettorato su linee socio-economiche. Il PSDB governerà negli stati più ricchi e popolati del paese, conservando il controllo di São Paulo, Minas Gerais e Paraná, rimanendo così la prima forza politica in un territorio dove vive il 47,5% degli elettori brasiliani e dove, nel complesso, si produce il 70% del Pil. D’altro canto, il PT conferma la sua metamorfosi da partito dei lavoratori e della classe media urbana, in forza politica che ha la sua roccaforte nelle povere aree rurali del nord e del nord est, dove le politiche sociali promosse dal governo Lula hanno avuto il maggior impatto.
Con l’elezione di Rousseff si apre una fase delicatissima per il Brasile. Non si dovranno solo preservare i grandi risultati ottenuti negli ultimi otto anni, ma anche affrontare alcuni “dilemmi strutturali” che affliggono il gigante sudamericano, minandone l’armonia interna e la proiezione globale. Tra questi spiccano gli ancora elevati livelli di povertà (rimangono 21 milioni di persone sotto la soglia di povertà), le profonde sperequazioni del sistema educativo (circa 30 milioni di analfabeti e un baratro qualitativo tra l’educazione primaria e secondaria pubblica e quella privata, ancor più grave in un paese dove il 30% della popolazione ha meno di 14 anni) e fiscale (l’aliquota più alta è fissata a un misero 27%, privando lo stato delle necessarie entrate fiscali), la violenza urbana (con il 2,8% della popolazione mondiale, il Brasile è responsabile del 15,8% delle morti violente che ogni anno si consumano a livello mondiale), una concentrazione latifondistica della proprietà terriera, alti tassi di corruzione e inefficienza nella pubblica amministrazione; senza dimenticare la sfida - tecnologica e politica - posta dalla gestione dell’enorme giacimento petrolifero scoperto nel 2008 al largo della costa brasiliana (il Presal) e destinato a trasformare il Brasile in uno dei principali esportatori mondiali di greggio nell’arco di un decennio. Sebbene Rousseff si sia dimostrata un’abile amministratrice della macchina economica, ben altra cosa è governare un paese complesso come il Brasile, a maggior ragione in un passaggio storico così decisivo per la realizzazione dei sogni di grandeur che da sempre animano l’immaginario politico nazionale. Per far fronte a queste sfide strutturali che si frappongono al raggiungimento di un pieno e più equo livello di sviluppo interno, Dilma dovrà dunque cercare il supporto di tutte le forze politiche e sociali capaci di apportare un contributo riformista. Un lulismo senza Lula, con la sua carica emotiva e personalistica, non è infatti percorribile. Dilma dovrà formulare soluzioni originali e condivise, andando a toccare nervi scoperti del sistema paese che neanche Lula è mai andando a toccare, se non superficialmente. La battaglia campale che infuria nella favelas di Rio de Janeiro da settimane e che vede contrapposte le forze di polizia ai due grandi cartelli del narcotraffico carioca (amigos dos amigos e comando vermelho) –per la prima volta coalizzati nel tentativo di resistere all’offensiva di uno stato deciso a recuperare il controllo del territorio colpevolmente lasciato per decenni nelle mani del narcotraffico – dimostra come la strada verso il pieno consolidamento della democrazia brasiliana sia ancora lunga e tortuosa.
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