La laicità di Obama. A due mesi dall’inaugurazione della presidenza di Barack Obama è già possibile intuire alcune caratteristiche del rapporto continuità-discontinuità rispetto agli otto anni della presidenza Bush relativamente ad un tema sensibile come quello dei rapporti tra Stato e Chiesa.
Se a portare Obama alla Casa Bianca è stato il pragmatismo della classe media americana stanca dell’ideologismo (in politica interna come in politica estera) dei neoconservatori al potere, la voglia di lasciarsi alle spalle il "born again Christian" G.W. Bush ha giocato un ruolo non secondario nel consegnare a Obama il consenso di quella parte dell’America convinta che non sia mai abbastanza alto il "muro di separazione" tra Stato e Chiesa negli Stati Uniti. Tuttavia, sembra un’illusione rappresentare Obama come un presidente laicista o laico, impegnato a ripristinare la distinzione (se non la divisione) tra le liturgie del potere politico e gli elementi propriamente religiosi (vale a dire, del cristianesimo protestante) della "religione civile" americana. Sono segnali di continuità la cerimonia dell’inaugurazione del 20 gennaio scorso e le liturgie di preghiera dei giorni precedenti e seguenti il 20 gennaio (che hanno visto predicare pastori protestanti che rinnovano la tradizione della "religione civile" americana) e la riattivazione del "Office of Faith Based and Community Initiatives" presso la Casa Bianca (creato nel 2001 dal presidente Bush per sostenere le iniziative portate avanti, in America e all’estero, da organizzazioni religiose statunitensi spesso in partnership con agenzie del governo federale USA). Ma anche altri elementi rappresentano una netta discontinuità rispetto al recente passato. In particolare, la nomina del governatore del Kansas, la cattolica pro choice Kathleen Sebelius a segretario del Department of Health and Human Services (HHS) e l’executive order con cui il presidente ha riaperto il dibattito sulla ricerca sulle cellule staminali rappresentano da parte di Obama due chiare inversioni di rotta rispetto all’ortodossia governativa recente. Queste decisioni hanno suscitato prese di posizione su vari fronti. Da un lato, le "faith-based initiatives" inquietano lo schieramento liberal, perché presentano non poche ambiguità non solo rispetto al primo emendamento della Costituzione, ma anche sulla questione della non discriminazione su base confessionale e morale delle assunzioni del personale di queste organizzazioni. Dall’altro, sia il mondo pro-life sia gli ambienti a favore della ricerca sulle staminali hanno sottolineato la provvisorietà della decisione del presidente, che ha rimesso al "National Institutes of Health" l’elaborazione di linee-guida sulla ricerca in questo campo, e quindi l’inevitabilità di un futuro dibattito parlamentare sulla questione. Ma l’elemento di sicura discontinuità di Obama rispetto a Bush è l’atteggiamento nei confronti del movimento pro-life (e della chiesa cattolica in particolare): atteggiamento che non ha a che fare con un inesistente laicismo del nuovo presidente, ma con una questione politica e culturale interna al cristianesimo americano. Sorto nei tardi anni Sessanta con un programma che univa la condanna dell’aborto e la protesta contro la guerra in Vietnam, nel corso degli ultimi due decenni il movimentismo pro-life (cattolico e non) si era progressivamente identificato con la piattaforma ideologica del Partito repubblicano di Reagan e di G.W. Bush. È certamente finito il periodo in cui la Casa Bianca in mano ai repubblicani si era fatta paladina della "cultura della vita", con il fine non secondario di squalificare agli occhi dell’elettorato religioso (e cattolico in particolare) i democratici pro-choice. La sensibilità religiosa di Obama e il suo laico rifiuto di ideologizzare le questioni legate all’aborto e alla bioetica rappresentano un change politicamente e culturalmente difficile da elaborare per i rappresentanti dello schieramento pro-life.
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