I prodotti Kosher alla conquista del Nuovo mondo. Gli americani notoriamente mangiano male ma negli ultimi anni, anche nel paese di McDonald’s e della Coca-Cola, i gusti stanno cambiando.
Dopo i recenti scandali sulla contaminazione degli alimenti, mentre il tasso d’obesità e le allergie sono in aumento, il tema è all’ordine del giorno. Queste inquietudini sono state corroborate dalla cultura mass-mediatica con film come Food, Inc. (finalista quest’anno nella corsa all’Oscar come miglior documentario), e i libri di grande successo di Michael Pollan, The Omnivore’s Dilemma (2006) e In Defense of Food (2008). Anche la First Lady Michelle Obama, con il suo orto nel giardino della Casa Bianca e la campagna nazionale contro l’obesità degli adolescenti, si è unita alla crociata per il mangiar sano. Secondo un’indagine effettuata da Mintel, il 70% degli americani dedica un’attenzione crescente alla propria alimentazione. Per molti di essi questo significa procurarsi prodotti con l’etichetta kosher.
Gli Stati Uniti costituiscono il più grande mercato del mondo per i cibi kosher e negli ultimi anni la richiesta dei consumatori è esplosa. Ma cosa si intende con la parola kosher? Per essere considerati kosher i generi alimentari devono adeguarsi ad antiche leggi ebraiche, dette kashrut, che prescrivono, tra l’altro, l’allevamento degli animali e la macellazione effettuate secondo regole tradizionali, la pulizia delle carcasse con sale e acqua, e la proibizione di maiale e frutti di mare, nonché della mescolanza di carne e latticini. Attualmente i cibi trattati possono ricevere la certificazione kosher da rabbini specializzati, i mashgihim, che ne controllano severamente ingredienti e metodi di produzione, spingendosi anche a ispezionare le condizioni igieniche delle fattorie in cui sono prodotti e confezionati (questo non ha peraltro impedito l’affermazione sul mercato mondiale dei produttori di cibi kosher di Pechino). L’etichetta kosher, con tutti i controlli di qualità che essa garantisce, apre le porte ad un mercato il cui valore è stimato superiore ai dieci miliardi di dollari solo negli Stati Uniti. Grazie all’attenta sorveglianza sui prodotti da parte dei mashgihim, molti consumatori ritengono che i cibi kosher – che secondo uno studio recente della Cornell University costituiscono circa il 40% dei cibi venduti nei negozi di alimentari statunitensi – siano meno suscettibili a contaminazioni, di qualità più elevata, e, quindi, più sani. Un altro sondaggio Mintel informa che tre consumatori su cinque comprano kosher in primo luogo per la qualità degli alimenti. Meno di uno su sei, invece, cercherebbe l’etichetta kosher per motivi religiosi.
I cibi kosher sono in realtà ricercati dai consumatori americani non ebrei per svariate ragioni. Alcuni comprano carne kosher perché ritengono che il metodo di macellazione – che prevede una morte quasi istantanea dell’animale – sia più umano. Altri credono – anche se non è scientificamente provato – che il lavaggio della carcassa con acqua e sale riduca il rischio di malattie quali, per esempio, la salmonella. Anche i musulmani, oltretutto, possono scegliere gli alimenti certificati kosher purché siano conformi, come del resto la maggior parte di essi, alle norme halal. Infine c’è chi, come i vegetariani, i vegani, e coloro che soffrono di allergie alimentari, apprezza i cibi kosher poiché segnalano la presenza anche solo di tracce di latticini, carne e glutine. Le autorità ebraiche, però, si dimostrano caute nello stabilire un collegamento tra la parola kosher e il mangiar sano. Gli ebrei che rispettano le leggi kashrut – di provenienza biblica, ma reinterpretate a seconda delle necessità contingenti – lo fanno non per ragioni igieniche: lo scopo finale è di sottomettersi alla volontà divina. Sul sito web della Orthodox Union, la più grande compagnia di certificazione kosher al mondo, il rabbino Joseph Grunblatt sostiene: «Non intendiamo sottintendere che le leggi kashrut siano da considerare regolamenti igienici e nutrizionali, anche se qualcuno lo ha sostenuto. Saremmo in difficoltà se dovessimo provare che l’osservanza kashrut faccia bene alla salute».
Di fatto, mentre i prodotti kosher sono sempre più ricercati, una parte dell’opinione pubblica critica quella che alcuni reputano come una semplice «moda». Un articolo sull’ascesa del mercato kosher pubblicato il mese scorso sul «New York Times» ha generato moltissime reazioni da parte dei lettori. Se in molti hanno applaudito gli standard dei prodotti kosher e la leggendaria bontà del pollo prodotto secondo la normativa kashrut, altri hanno deprecato le modalità di macellazione (che non sono conformi alle leggi americane che richiedono lo stordimento degli animali prima dell’uccisione), ritenute barbariche e sanguinarie. Di tutti, Pat dal Tennessee è probabilmente quello che ha centrato meglio la questione: «I würstel Hebrew National sono ottimi e secondo me questa è l’unica cosa che importi».
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