Euskadi, un autonomismo alternativo? A tre mesi dal voto per il rinnovo del Parlamento della Comunità Autonoma dei Paesi Baschi, lo scenario che si è realizzato ha sorpreso tutti, non solo per l’impatto sulla vita della Comunità, ma anche perché ha dato nuova linfa al dibattito sull’autonomismo a livello nazionale.
Alla luce dei risultati elettorali, i nazionalisti del PNV hanno ottenuto 30 seggi, mentre 25 sono stati assegnati ai socialisti del PSE-EE, e 13 ai popolari del PP. Nonostante il PNV sia stato il partito più votato, per la prima volta in trent’anni esso è stato escluso dal governo autonomo. Infatti, la Comunità basca sarà governata da una coalizione di socialisti e popolari, insolito connubio guidato da un lehendakari – il presidente del Governo basco – socialista: Patxi López il primo presidente non nazionalista nella storia dell’autonomia basca.
López ha iniziato il suo mandato tra le polemiche del PNV, della sinistra nazionalista e dei sindacati, e nel pieno di una crisi economica che mette a dura prova il nuovo governo. Inoltre, il rischio di una deriva terroristica è un elemento che non favorisce la stabilità di un governo guidato da forze che simpatizzano per un’autonomia più soft – se non nella sostanza, nei toni – e per una collaborazione più stretta con il governo centrale. Il nuovo governo basco, si è affrettato a dichiarare López, non intende abbandonare il percorso dell’autonomia - ponendo l’accento su politiche culturali fondate, in particolare, sull’insegnamento dell’euskara (la lingua basca) – che ha caratterizzato i governi baschi dell’ultimo trentennio. Allo stesso tempo, però, socialisti e popolari vogliono costruire una Comunità più aperta, fondata sul dialogo, in cui trovino espressione tutte le identità del popolo basco e in cui la vera garanzia dei diritti sia la cittadinanza, piuttosto che l’ideologia nazionalista. Il nuovo governo promette stabilità per arginare la crisi economica e impostare un nuovo modello di sviluppo sostenibile. Infine, la lotta al terrorismo dell’ETA sarà condotta su tutti i fronti: sostegno attivo alla polizia basca, politiche di delegittimazione del terrorismo separatista nelle scuole e sui media pubblici.
Le elezioni del 2009 segnano, in qualche modo, la fine di un’era, e aprono per i nazionalisti baschi un periodo di riflessione e di rinnovamento. Lo storico leader del PNV Juan José Ibarretxe, presidente del governo basco dal 1998, ha rinunciato all’incarico parlamentare il 6 maggio scorso, alla notizia della nomina del nuovo lehendakari, dopo aver rivolto forti critiche alla ‘strategia di Stato’ utilizzata dal governo centrale per indebolire i nazionalisti baschi favorendo la coalizione ‘spagnolista’ tra PSE e PP. In realtà, buona parte dei cittadini baschi (circa il 57% degli elettori hanno votato per forze non-nazionaliste) non è d’accordo con la linea del PNV, apertamente orientata verso un autonomismo polemico verso Madrid e con tendenze escludenti verso i cittadini che non corrispondono al modello dei ‘veri baschi’. La sensazione che il PNV ultimamente stesse un po’ forzando la mano sugli argomenti identitari era rafforzata anche dalla proposta – bocciata dal Parlamento nazionale – di riformare lo Statuto dell’autonomia sulla base del modello del Québec e dagli atteggiamenti contraddittori tenuti dal governo basco verso le forze politiche della sinistra separatista legate all’ETA. All’indomani delle dimissioni di Ibarretxe, il presidente del PNV Iñigo Urkullu ha precisato che il partito, senza rinunciare alla propria identità, dovrà imparare dagli errori e allontanarsi dalle posizioni più radicali assunte negli ultimi anni di governo.
L’appoggio del governo Zapatero al nuovo esecutivo basco è garantito. Alla vigilia delle europee, i socialisti hanno ottenuto una vittoria importante, soprattutto per la coesione del partito. L’impressione è però che, in una congiuntura di estrema polarizzazione politica e di rinnovata competizione a livello nazionale tra i due maggiori partiti spagnoli, l’atteggiamento risentito del PNV verso i socialisti potrebbe avvantaggiare il PP. Certo è che l’esperimento basco è per i socialisti un’occasione imperdibile per dimostrare ai cittadini delle comunità autonome che le sfide del governo locale non sono esclusivo appannaggio dalle forze nazionaliste e identitarie.
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