«Ascoltando, infatti, i gridi d’allegria che salgono dalla città [si tratta dei sopravvissuti della città di Orano che stanno festeggiando la fine di un’epidemia di peste, N.d.R.] Rieux ricordava che quell’allegria era sempre minacciata. Sapeva quello che ignorava la folla, e che si può leggere nei libri, ossia che il bacillo della peste non muore né scompare mai, che può restare per decine d’anni addormentato nei mobili e nella biancheria, che aspetta pazientemente nelle camere, nelle cantine, nelle valige, nei fazzoletti e nelle cartacce e che forse verrebbe giorno in cui, sventura e insegnamento agli uomini, la peste avrebbe svegliato i suoi topi per mandarli a morire in una città felice».
Qui termina il romanzo La peste del filosofo e scrittore Albert Camus (1913-1960), che equipara le tragedie del XX secolo a epidemie infettive. Oggi, con il lungo passare del tempo, riduciamo a una sola le due guerre mondiali, la fine dell’Europa, e cominciamo a pensare che definire epidemie i collassi sociali non sia una metafora pura e semplice, e non lo fosse per Camus già nel 1945.
L’insegnamento dato agli uomini dal ripetersi delle sventure vissute e la peste personificata nel suo subdolo agire, ci spaventano soprattutto oggi che, nel disordine e nell’incertezza, cominciamo a identificare segni funesti che a noi vecchi non appaiono neppure nuovi
L’insegnamento dato agli uomini dal ripetersi delle sventure vissute e la peste personificata nel suo subdolo agire, ci spaventano soprattutto oggi che, nel disordine e nell’incertezza, cominciamo a identificare segni funesti che a noi vecchi non appaiono neppure nuovi: i meneurs de foule sfruttano le paure sbandate delle genti a proprio miserabile vantaggio immediato incuranti delle conseguenze del panico delle masse, sollecitano l’individualismo più animalesco contrapposto al termine sarcastico «buonismo», e predicano l’egocentrismo etnico con il quale riappaiono «i sacri confini della Patria» da difendere contro l’invasione del nemico straniero: il barbaro immigrato, gli euroburocrati anti-italiani di Bruxelles, il complotto oscuro della finanza globale agli ordini di Soros…
È quasi certamente sbagliato parlare di fascismo in questo squallido panorama, ma non del tutto incomprensibile, stante il fatto che ci mancano per ora parole adatte per descrivere la spregevole situazione nella quale viviamo.
Sento già il rimprovero: «Ma ti sembra questo il modo migliore di iniziare un bilancio del giorno della memoria, che si celebra ogni anno il 27 di gennaio?» E subito rispondo: «Sì, è necessario, la memoria deve essere sempre riempita di nuovi contenuti, nuovamente inquadrata affinché possa difenderci nel presente. La strage, oltre che inutile, era anche cretina. Demenziale». Jack lo Squartatore si aggira ancora negli angiporti. Le sue vittime non possono testimoniare, ma i cittadini sanno che non fu un’invenzione dei padroni delle bettole dietro Fleet Street, e adesso vogliono sapere perché lo ha fatto.
Quest’anno, il 2019, noi testimoni siamo stati sorpresi per l’interesse e per l’alto numero di inviti che abbiamo ricevuto a celebrazione del 27 gennaio.
Il bisogno di sentire e risentire quel che è accaduto durante «La peste» di Camus (1914-1945) si è diffuso tra i giovani, liceali e universitari, docenti e studenti, assai più di quanto non ricordassi degli anni trascorsi e oggi confesso che le mie scettiche previsioni dell’inizio erano sbagliate. Il giorno della memoria non è più la vuota cerimonia ripetitiva che tanto temevo, ma quello di una ricerca spirituale anche attraverso la voce di chi, come me, in quel giorno del tempo presente di allora era morto. Avrei dovuto scrivere «seduta spiritica» perché, come molti altri, sono morto a dodici anni il 27 gennaio 1945 alla rivelazione, in una sola serata, di quel che era accaduto nell’Universo finale dei campi di sterminio. Il fatto che sia casualmente rinato dopo quel giorno mi rende testimone di una realtà inconcepibile che oggi molti giovani sono assetati di conoscere.
E sono talmente vecchio da non riuscire più a distinguere i docenti dagli studenti: ragazzi con i loro occhi così pieni di vita. Ho dato del tu a tutti per poi chieder scusa ai ragazzi-docenti che avevano preparato la seduta e individuato me come medium di quel passato che minaccia di tornare. E loro non vogliono che torni.
Perché mai, dopo la rievocazione delle sconvolgenti realtà del passato, eravamo sempre tanto allegri e sorridenti da apparire felici? Non certo come gli ignari cittadini di Orano, città della peste, che festeggiavano il pericolo che credevano scampato, ma perché la seduta è in qualche modo riuscita e intuiamo che le cause di quelle tragedie potranno un giorno, vicino o lontano, essere combattute, anzi, addirittura curate».
«Ho speso tutta la mia carriera cercando di capire il funzionamento interno del cervello e le motivazioni del comportamento umano. Essendo fuggito da Vienna da giovane, poco dopo che Hitler l’aveva occupata, ero assillato da uno dei grandi misteri dell’esistenza umana: come può una delle società più avanzate e colte della Terra dirigere le sue energie verso il male? Come fanno le persone, di fronte a un dilemma morale, a compiere delle scelte? Un sé lacerato può essere guarito attraverso opportune interazioni umane? Sono diventato psichiatra nella speranza di capire e intervenire su questi difficili problemi.
Mi rendo conto che le mie scoperte rappresentano solo un piccolo passo avanti nel tentativo di comprendere l’entità più complessa dell’Universo: la mente umana».
Così inizia La mente alterata dello scienziato Eric Kandel, Premio Nobel 2000 per gli studi sulle basi fisiologiche della conservazione della memoria nei neuroni.
Oggi, la frase del Talmud «Chi uccide un uomo, distrugge un intero universo» non appare più solo evocativa e aulica, ma anche realistica, alla luce dei progressi della neurobiologia…
Oggi, la frase del Talmud "Chi uccide un uomo, distrugge un intero universo" non appare più solo evocativa e aulica, ma anche realistica
Per anni si è discusso della unicità della Shoah, ma possiamo dire che mai nessun crimine umano ha avuto tanti studi, tante riflessioni quanto «la Soluzione finale» e in questo senso la Shoah è unica, e non diverrà mai un cold case… un caso freddo.
Dopo i processi ai colpevoli si sono raccolti e diffusi i documenti di prova, hanno scritto le loro memorie i superstiti; storici, filosofi, sociologi hanno elaborato e discusso teorie, anche l’arte ha dato i suoi contributi ed è stato reso impotente il negazionismo.
E adesso, nella serenità della memoria ritrovata, possiamo sperare che quando si capirà come guarire le malattie mentali individuali, si dissiperà anche la nebbia che tuttora circonfonde le malattie mentali sociali collettive, da quella del panico alle altre ancor più minacciose… Questo sarà il nuovo umanesimo.
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