Anche gli svizzeri piangono. La recente decisione del governo svizzero di limitare il segreto bancario, introdotto negli anni Trenta, sembra preludere, come altri cambiamenti, ad un consolidamento della frattura politica che domina il sistema svizzero dei partiti. Essa si è determinata a partire dagli anni Novanta essenzialmente attorno alle scelte di politica estera
che, pur non mettendo in discussione la tradizionale neutralità del paese, sono state improntate ad un maggiore attivismo rispetto al passato, specie con un ruolo di mediazione rispetto a contese tra stati terzi.
In realtà la crisi politica apertasi con il confronto sull’allentamento delle regole che disciplinano il segreto bancario elvetico (i socialisti spingono verso un’abolizione del segreto bancario, i partiti centristi si allineano con il governo, mentre la destra populista si oppone a qualunque concessione alle pressioni internazionali) non è un fulmine a ciel sereno. Le prime fratture interne al sistema politico svizzero sono emerse ormai vent'anni fa, quando la fine del mondo bipolare ha reso sempre più fragile la posizione internazionale della Svizzera. Era il 1989, l’anno del crollo del Muro di Berlino, quando un’iniziativa popolare, che chiedeva l’abolizione dell’esercito svizzero - fino a quel momento considerato un simbolo indiscusso del patriottismo nazionale - raccolse più del 30% dei suffragi. Nel 1991, il governo federale, con una decisione senza precedenti, rimetteva in discussione la posizione di marcata indipendenza in politica estera, accettando un’adesione - pur condizionata - al processo di integrazione europeo. Anche il principio di neutralità veniva relativizzato, soprattutto dopo la decisione di mettere contingenti dell’esercito svizzero a disposizione dei caschi blu dell’ONU. A metà degli anni ’90, dopo che le banche svizzere vennero accusate di detenere fondi appartenenti alle vittime dell'Olocausto, il governo fu costretto a creare una Commissione indipendente d’esperti per studiare gli aspetti controversi del ruolo della Svizzera durante la Seconda guerra mondiale, dalla politica d’asilo ai rapporti ambivalenti con le potenze dell’Asse.
Da venti anni, ciò che è in gioco è sostanzialmente il modello che si era imposto nel XX secolo: da un lato, una forte apertura economica e finanziaria internazionale; dall’altro, un’altrettanto forte difesa di un’eccezionalità fondata su alcune peculiarità istituzionali (fra cui l’indipendenza in campo internazionale). Certo, l’impatto politico interno della crisi finanziaria globale è ancora tutto da valutare. Tuttavia, le recenti decisioni sul segreto bancario non sembrano favorire un recupero delle tradizionali logiche consensuali, che hanno contraddistinto per lungo tempo la politica elvetica.
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