Il senso della vergogna. Uno spettro si aggira per l’Europa in queste settimane. Più temibile delle rivelazioni di Wikileaks, più minaccioso dell’imbarazzo delle nostre cancellerie nel giustificare i cospicui rapporti politico-economici con gli autoritarismi mediorientali, ora che molti di essi sono stati abbattuti o vivono gravi crisi interne. È quel senso di turbamento e vergogna che ancora colpisce chi occupa incarichi di pubblica responsabilità ed è “pizzicato” nel falso o nell’inopportuno. È lo sguardo, cupo e sfuggente, di chi sa, anche senza ammetterlo, di aver oltrepassato il limite del senso comune, o addirittura della legge, e che proprio a causa di quel sentimento deve lasciare il suo ruolo di governo. Per rispetto ai suoi elettori, ai suoi concittadini, per il buon nome del suo paese nel mondo. Una sanzione imposta da un’opinione pubblica matura attraverso mezzi di informazione liberi, non servili.
Il caso più recente è quello di Karl-Theodor zu Guttemberg, 39enne ex-ministro della Difesa tedesco, astro nascente dell’esecutivo di Angela Merkel e della CSU bavarese. L’accusa: aver copiato, anni fa, la tesi di dottorato in giurisprudenza presso l’Università di Bayreuth. La fonte: Süddeutsche Zeitung, uno dei principali quotidiani tedeschi. Il ministro minimizza, ma l’opposizione e soprattutto il rettore dell’ateneo protestano chiedendo chiarezza. Lui afferma di rinunciare temporaneamente al titolo, sperando che basti. Ma la protesta si gonfia: è chiamato “Googleberg” o “il ministro copia e incolla”, esponenti della maggioranza e del governo dichiarano di “vergognarsi”. La Bild lo difende, ma è costretto a dimettersi.
Caso isolato? Niente affatto. A Parigi, 24 ore prima, un altro terremoto politico, le dimissioni del Ministro degli Esteri, Michèle Alliot-Marie, neo-gollista di ferro. L’accusa: aver usufruito per le vacanze natalizie, insieme ai genitori e al compagno, Patrick Ollier, attuale ministro per i Rapporti con il Parlamento, dell’aereo privato di Aziz Miled, uomo d’affari tunisino molto legato a Ben Ali. La fonte: Le Canard Enchaîné, settimanale satirico. Nulla di illecito, aveva dichiarato. Ma quando è scoppiata la rivolta popolare contro la corruzione del regime, e la Alliot-Marie si è subito schierata in difesa di Ben Ali, il fatto è diventato inaccettabile. Due settimane prima, Miled aveva mietuto un’altra vittima: la deputata socialista Elisabeth Guigou, dimessasi dalla presidenza di “Ipemed”, un think tank per lo sviluppo delle economie del Mediterraneo, creato dal marito della Guigou, e del quale Miled è uno dei principali finanziatori. Sempre la stessa fonte, sempre le stesse accuse: inopportuno conflitto di interessi. Altri scenari. Nei giorni scorsi in Spagna il Partido Popular, oggi all’opposizione ma probabile vincitore delle prossime elezioni, ha deciso di ricandidare alla guida della Comunità Valenciana il Presidente uscente, Francisco Camps, accusato di corruzione. Come molti sostengono, vale finora la presunzione di innocenza. Tuttavia, il dibattito è acceso: se rieletto e poi condannato, con che autorità potrebbe continuare a governare? E, dunque, quali potrebbero essere i contraccolpi elettorali per il PP di questa “inopportunità”? Che dire poi di Jacqui Smith, ex-ministro degli Interni britannico, laburista, dimessasi nel giugno 2009 per uno scandalo su rimborsi gonfiati (ad esempio la richiesta del marito di farsi risarcire il noleggio di dvd a luci rosse)?
Ognuno la pensa come crede. Esiste però un punto ineludibile: come è vero che la responsabilità giuridica di un individuo è separata da quella politica, così la credibilità di un paese e della sua classe dirigente si misurano anche nella loro risposta al senso comune di vergogna. Il pluripremiato film Il discorso del re rivela, oltre alla bravura degli attori, il grande valore del senso dello Stato. Ugualmente, il “caso zu Guttemberg” insegna che forma e sostanza delle nostre azioni sono intimamente connesse. È questo che ci stanno dicendo i nostri vicini europei, forse in modo ancora più chiaro di quelli nordafricani.
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