Finalmente il 31 ottobre sarà inaugurato il nuovo aeroporto di Berlino e del Brandeburgo: sabato un aereo della Lufthansa e uno di Easyjet atterreranno insieme sulla pista, dal primo novembre l’aeroporto accoglierà i voli di linea, per quanto il traffico aereo sia “estremamente” ridotto (solo ad agosto 2020 il numero di passeggeri in transito negli aeroporti tedeschi è calato di circa il 75% rispetto all’agosto 2019). Un’inaugurazione, quindi, che fa certamente i conti con il Coronavirus, ma che tutti hanno voluto estremamente sobria e, quasi, dimessa: dopo tanti anni e tantissimi soldi (stime indicano in oltre sei miliardi e mezzo di euro l’aumento dei costi inizialmente previsti) nessuno ha davvero voglia di festeggiare, ma solo di mettere fine a una pagina nera e aprire, finalmente, l’aeroporto.
“Il più grande scandalo edilizio della storia tedesca dal dopoguerra”: così l’Institut der deutschen Wirtschaft ha definito le vicende legate alla costruzione del nuovo aeroporto di Berlino, la cui storia comincia quasi con la caduta del Muro e si snoda lungo gli anni Novanta e i primi anni del nuovo millennio. Già allora, la preistoria del nuovo aeroporto mostra più di una difficoltà: una società interamente pubblica o con capitali privati? Con il classico seguito di dibattiti politici e decisioni di organi giudiziari: del ‘99 è la sentenza della Corte d’appello del Brandeburgo che ferma il processo di privatizzazione. Finché nel 2003 non si sceglie la strada della società completamente pubblica (divisa tra Land Brandenburg, Città-Stato di Berlino e Federazione) che abbozza una prima data per l’inaugurazione: 30 ottobre 2011, poi rinviata al 3 giugno 2012.
I lavori procedono, sembra che la Capitale possa finalmente avere il suo nuovo aeroporto, superando la divisione tra i vecchi aeroporti di Tegel, sfruttato ben oltre la sua capacità di cinque milioni di passeggeri l’anno, e Schönefeld (dopo la chiusura di Tempelhof nel 2008). La città si prepara a una festa, per l’inaugurazione sono previste 40.000 persone. Il volto di Willy Brandt, ex Borgomastro di Berlino e Cancelliere federale della Ostpolitik che dà il nome al nuovo aeroporto, appare ovunque nella capitale tedesca, che vive, dopo i Mondiali del 2006, un nuovo momento di esaltazione. Si vendono già biglietti aerei con la destinazione BER, il codice del nuovo aeroporto.
Tuttavia, l’8 maggio 2012 le agenzie battono la notizia: i sistemi antincendio non sono a norma (lo “Spiegel” afferma che la situazione era nota già dal 2009), “l’intero piano antincendio presenta considerevoli difetti”, le lacune sono gravi, in più parti il nuovo aeroporto non supera i controlli. L’inaugurazione è rinviata. Il 23 maggio 2012, la società pubblica disdice il contratto con lo studio incaricato di controllare i lavori (Planungsgemeinschaft bbi, che di lì a poco fallirà). Nella lettera si fa riferimento al fatto che, da mesi, sarebbe stato chiaro ai responsabili dei lavori come “il termine per l’inaugurazione fosse irrealistico” e pertanto sarebbe completamente venuta a mancare “la necessaria fiducia nella società come responsabile dello sviluppo dei lavori”.
Secondo molti è un errore: si perdono così competenze importanti, la Flughafengesellschaft non può farcela da sola (il bbi dispone di oltre trecento tra ingegneri e architetti, la seconda appena cento). Ma del resto, ribattono i difensori di quella scelta, se non ha controllato sino ad oggi le lacune e le inadempienze, perché dovrebbe farlo in futuro? Nel 2015 la società incaricata dei sistemi antincendio, sui cui c’erano già una serie di inchieste (la “Zeit” in una sua inchiesta la definisce “un modello imprenditoriale criminale”, che punta su ritardi e mancati controlli per aumentare i propri profitti), la Imtech, responsabile anche dei ritardi per la nuova sede dei Servizi segreti tedeschi (600 milioni di euro in più rispetto ai costi previsti) e di altri importanti edifici, deve portare i libri in tribunale. I controlli degli anni successivi certificheranno il fallimento più totale: gli impianti antincendio devono essere modificati completamente.
Gli anni passano, si promettono nuove date per l’inaugurazione. Tutte mai mantenute. Perché con gli anni e i soldi spesi, aumentano anche le norme edilizie, sempre più stringenti, ad esempio quelle finalizzate a ridurre l’inquinamento acustico. Gli edifici del 2012, quindi, non sono più al passo con le norme degli anni successivi: nell’agosto del 2013, si legge una interpellanza al governo federale pubblicata dal “Bundestag”, sono da superare ancora 85.000 (!) difetti. Nel frattempo, i treni devono continuare, ogni giorno, a percorrere, vuoti, la tratta verso l’aeroporto, pena il logoramento dei binari. A dicembre 2014 Klaus Wowereit, Borgomastro di Berlino, considerato tra gli astri nascenti della politica tedesca e grande sostenitore del progetto, si dimette e lascia la politica: non sarà il solo.
Manager vanno e vengono ma nel 2017 arriva alla guida della società Engelbert Lütke-Daldrup ed è la vera svolta perché si rivelerà un manager capace e scrupoloso. Si prende il tempo di analizzare carte e stato dei lavori, poi fa un annuncio, immediatamente molto criticato: l’aeroporto aprirà, ma nel 2020. Per molti è la conferma che a Berlino non sanno più che pesci prendere. Tuttavia, passano i mesi e sembra che la promessa possa essere mantenuta. Tra la fine del 2018 e l’inizio del 2019 la società presenta la tabella di marcia per le ultime verifiche tecniche, lo spostamento delle attività da Tegel al nuovo BER e il collaudo dell’aeroporto con figuranti (conclusosi nelle scorse settimane): l’aeroporto verrà inaugurato il 31 ottobre 2020.
Si apre subito un nuovo fronte polemico: ora che l’aeroporto aprirà i battenti, Berlino e il Brandeburgo chiedono più voli a lungo raggio, che oggi transitano quasi esclusivamente da Francoforte e Monaco. Se ad inizio 2018 il ministro dei Trasporti, il bavarese Andreas Scheuer aveva ricordato che “tutto il mondo ride dello scandalo dell’aeroporto di Berlino”, a inizio 2019 gli risponde il presidente della camera di Commercio del Brandeburgo: “Finché ci sarà un bavarese ai Trasporti, il BER non potrà svilupparsi a dovere”.
Si riapre così una discussione già avuta ai primi anni Novanta con la scelta di Berlino nuova capitale: se questa è la sede del governo, se è la nuova capitale della Repubblica, l’equilibrio sociale ed economico della vecchia Repubblica di Bonn non tiene più. Berlino e Brandeburgo vogliono un investimento sul nuovo aeroporto, chiamano in causa la politica. Persino Air Berlin aveva puntato su questa strategia per risolvere la sua storica crisi (vale a dire l’incapacità di reggere la concorrenza con le nuove società low cost) ma il ritardo nell’apertura ne ha decretato il fallimento nel 2017. L’equilibrio attuale, eredità della Repubblica di Bonn, è invece focalizzato a Sud: nonostante l’incredibile crescita degli ultimi anni dei passeggeri a Berlino (oltre il 42% secondo l’Idw), i due aeroporti principali restano Francoforte e Monaco, a cui vanno la maggior parte dei collegamenti intercontinentali.
La questione, per ora, è solo rinviata: molti sono scettici sulla possibilità di rendere BER un vero hub per i voli verso America e Cina, a Berlino sanno che ora, in tempi di pandemia, non vale nemmeno la pena continuare a mostrarsi intransigenti. Se ne riparlerà quando il settore tornerà a pieno regime, non prima di due anni: il traffico privato (ad esempio quelle delle vacanze) potrebbe riassestarsi su cifre precedenti alla pandemia, quello business, invece, sul quale ci sono maggiori profitti, probabilmente no. Tenendo presente che, oltre agli effetti della pandemia, il settore sarà colpito anche dalle politiche per il clima, che preferiscono spostamenti con il treno (almeno fino all’introduzione di aerei ecologicamente più sostenibili).
Nel frattempo, inizia una nuova trattativa: l’aeroporto inaugurato ha le casse vuote, servono soldi. Lütke-Daldrup negli ultimi mesi si è mostrato nuovamente pragmatico, ha ammesso che la fase di privatizzazione sfrenata degli anni Novanta è esaurita, l’aeroporto ora c’è ed esiste anche un piano per il suo sviluppo fino al 2040. Si procederà insieme ai tre soggetti istituzionali per verificare come garantire l’ingresso anche di capitali privati, indispensabili vista anche l’indisponibilità di ricorrere a nuovi contributi federali e le ristrettezze del bilancio berlinese.
Berlino chiude così una pagina nera della Repubblica post riunificazione: come sarà gestito l’aeroporto e come modificherà gli equilibri economici della Repubblica federale, è una storia ancora tutta da scrivere.
Riproduzione riservata