Ivan e i suoi fratelli. L’immagine di Ivan Bogdanov, il capo ultrà della Stella Rossa, tatuato con le “sacre” date e immagini serbe (non poteva certo sfuggire l’anno 1389, data della famosa battaglia di Kosovo Polje, essenziale punto di riferimento mitologico del nazionalismo serbo) mentre cavalca la recinzione della curva dello stadio Marassi con il braccio destro teso, ha fatto il giro del mondo.Chi ha cercato di mostrare questo volto della Serbia in mondovisione ha raggiunto il suo obiettivo. Sono in molti a pensare che il triste spettacolo a cui si è assistito martedì sera a Genova sia stato orchestrato e (cosa di non poco conto) finanziato da chi non sopporta l’idea di una Serbia democratica ed europea. L’indomani gran parte dei quotidiani serbi ha riportato nei titoli di testa la parola “vergogna”, per prendere le distanze dalla guerriglia scatenata dai tifosi al seguito della nazionale. I principali esponenti del governo di Belgrado hanno reagito e condannato le violenze senza riserve, chiedendo scusa – tramite il ministro degli Esteri Vuk Jeremić – all’Italia e agli italiani. Tuttavia, i fatti di Genova devono essere analizzati in un contesto più ampio, senza limitarsi alle recenti violenze in occasione del Gay Pride (quando il centro di Belgrado è stato distrutto in una escalation di guerriglia urbana), ma guardando ad un processo più lungo e sempre più radicale: infatti, da anni ormai le forze di estrema destra tentano con ogni mezzo di ostacolare il travagliato percorso democratico della Serbia. Basti ricordare l’assalto all’ambasciata americana (guidato, manco a dirlo – come ha rivelato il quotidiano “Blic” – da “Ivan il Terribile”) nel febbraio 2008 dopo la proclamazione dell’indipendenza del Kosovo.
E’ un segreto di pulcinella che in Serbia le forze antieuropee e antidemocratiche si propongano di sovvertire un governo democraticamente eletto, facendo ancora una volta ricorso al richiamo del “serbismo”. In questa partita complessa e decisiva gli ultras appaiono pedine utilizzate, a seconda dei casi, contro gli occidentali, i gay e persino i calciatori della propria squadra nazionale. Alla base di queste azioni sta un nazionalismo radicale che, legandosi all’estremismo di destra (incarnato da Mladen Obradovic, discusso leader di Obraz, formazione che si dichiara ortodossa-clero-fascista), potrebbe portare a conseguenze ben più tragiche. Specie se si considera che queste frange estremiste sono lautamente finanziate dalla malavita (a partire dal boss montenegrino del narcotraffico, Darko Saric), che ha un evidente interesse nel destabilizzare e isolare il paese. Non occorre ricordare che la storia nei Balcani spesso tende a ripetersi. Proprio per questa ragione l’Europa, ora più che mai, ha il dovere di giocare un ruolo nel consolidamento della democrazia in Serbia, senza cadere nel radicato pregiudizio della “innata tendenza dei serbi alla violenza”. Considerate le (gravi) responsabilità che l’Unione europea ha avuto nelle guerre degli anni Novanta, ora ha un’occasione da non perdere per aprire le porte dell’integrazione alla Serbia e non lasciarla in mano agli eredi di Arkan.
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