Le guerre per l’acqua. Le guerre per l’acqua esistono. Non è una novità, ma sicuramente è una questione spesso sottovalutata per capire le dinamiche che alimentano i conflitti. Succede così che un articolo comparso sul quotidiano «Daily Star» di Beirut lo scorso 4 agosto, costringa a fare i conti con lo spettro inquietante della scarsità reale. Il titolo fa sorridere: «L’Unfil sta costruendo difese sulla Linea Blu contro le mucche sioniste».
Il contenuto del pezzo racconta di come la United Nations Interim Force in Lebanon (Unifil) sia in procinto di costruire sbarramenti per impedire che le mucche israeliane oltrepassino il confine libanese nella zona di Kfar Shuba violandone la sovranità, per approvvigionarsi d’acqua. La notizia di per sé potrebbe apparire secondaria, ma nasconde due elementi di prim’ordine. Da un lato sottolinea come la nuova allocazione delle risorse fondamentali, imposta dalla crescente siccità, contribuisca ad alimentare nuove tensioni in un’area già di per sé esplosiva. Dall’altro evidenzia la necessità crescente di ripensare gli organismi internazionali in funzione di una nuova realtà operativa, imposta anche dai mutamenti climatici. Queste dinamiche si intersecano sul suolo libanese dove, nonostante l’apparente stabilizzazione ottenuta con la conquista del governo da parte di Saad Hariri (non senza l’aiuto dei paesi occidentali che hanno favorito il rientro di migliaia di libanesi residenti all’estero per la diaspora) in occasione delle elezioni dello scorso giugno, nelle quali ha prevalso sulla coalizione guidata da Hezbollah, una serie di tensioni cova ancora sotto la cenere.
Problematiche irrisolte a vari livelli che tornano prepotentemente in gioco nel momento stesso in cui l’equilibrio geopolitico dell’area medio-orientale implica l’accesso alle risorse essenziali in una fase di scarsità crescente. Dopo una siccità prolungata di circa cinque anni, infatti, la regione sta affrontando il rischio di una catastrofe idrica. I maggiori bacini d’acqua - il fiume Giordano e il lago Tiberiade in primis - si sono ridotti in modo critico, compromettendo l’autosufficienza israeliana. L’Unione Europea, d’altra parte, ha stanziato 6 milioni di euro a metà giugno per garantire il rifornimento d’acqua alle popolazioni colpite nei Territori Occupati e in Siria.
Quello che emerge chiaramente è un quadro destinato a peggiorare nei prossimi anni per l’aumento di problematiche analoghe dovute al cambiamento climatico. L’Istituto Internazionale per lo Sviluppo Sostenibile ha previsto che entro il 2020 la scarsità idrica raggiungerà livelli di estrema criticità, contribuendo a esasperare le tensioni latenti nell’area. L’accesso al fiume Litani e il controllo del fiume Hazbani nel Sud del Libano potrebbero trasformarsi nell’obiettivo strategico di violenti conflitti, di cui presto potremmo vedere pesanti avvisaglie. Lo stesso discorso vale per i territori palestinesi. Un punto essenziale, troppo sottovalutato, dalla comunità internazionale è proprio la necessità di affrontare apertamente il tema del riassetto, della gestione e dell’accesso alle risorse fondamentali creando interlocutori riconosciuti. Va ricordato, infatti, che attualmente due delle tre maggiori falde acquifere da cui dipende l’approvvigionamento di Israele si trovano quasi interamente sotto la West Bank, ragione che rende sempre più urgente la ricerca di una reale interazione tra i territori e le autorità israeliane e palestinesi. La partita, benché spesso considerata a torto secondaria, appare determinante per giungere a una duratura stabilizzazione dell’area.
Riproduzione riservata