L’Italia è entrata nell’emergenza Covid come uno dei Paesi in Europa con maggiori squilibri demografici e sociali a svantaggio delle nuove generazioni, erose dalla bassa natalità e con alto rischio di povertà materiale ed educativa. Eppure, nonostante il già basso livello di partenza, la condizione dei giovani, a partire dall’infanzia, sembra destinata a peggiorare ulteriormente, con ancora troppo scarsa consapevolezza delle conseguenze sia di breve sia di medio e lungo periodo che ne derivano.

Per ribaltare questo destino dobbiamo considerare la crisi sanitaria e socio-economica in atto uno stress test sul nostro sistema di Welfare e sul nostro sistema educativo, per far emergere con tutta evidenza ciò che non funziona e cogliere le fragilità principali.

Dove eravamo a febbraio 2020. Nel confronto con gli altri Paesi europei, le cause della più bassa natalità, più che nel calo dell’aspirazione ad avere figli vanno imputate alle difficolta che incontrano coloro che vorrebbero averne. I genitori italiani non ricevono sostegno adeguato nella responsabilità di crescere un figlio né sotto il profilo della conciliazione né di quello economico né di quello educativo. Di conseguenza siamo fra i Paesi con più bassa partecipazione al mercato del lavoro da parte delle donne e in particolare di quelle con figli. Una donna lavoratrice su cinque lascia il lavoro all’arrivo di un figlio per difficoltà nel conciliare maternità e lavoro. Anche coloro che non lasciano il lavoro pagano spesso una penalità in termini di rallentamento di carriera e di salario, con effetti di medio periodo sul benessere economico familiare e di lungo periodo sul valore della pensione che riceveranno.

Difficoltà per le madri a stare nel mercato del lavoro, frammentarietà e inadeguatezza dei trasferimenti monetari legati alla presenza di figli, insieme a bassi salari fanno dell’Italia uno dei Paesi in cui l’incidenza della povertà è maggiore tra i minorenni che tra gli adulti e gli anziani.

Oltre un minorenne su dieci (12%) in Italia si trovava già prima della crisi in povertà assoluta. Si tratta di livelli inaccettabili per un Paese civile.

Benché tutti gli studi mostrino l’importanza, accanto al ruolo cruciale della famiglia, di poter fare esperienze educative precoci anche in contesti non familiari, in Italia i servizi per la prima infanzia (fascia 0-3 anni) hanno ancora livelli di copertura molto bassi e costi che rischiano di renderli inaccessibili per molte famiglie. Sono, inoltre, presenti in modo diseguale a livello territoriale e disomogenei come qualità, accentuando in molti casi lo svantaggio delle aree più povere e marginali (quindi a sfavore dei bambini e delle bambine che ne trarrebbero maggiore vantaggio perché in condizioni familiari disagiate). Nelle età successive i livelli di copertura sono invece elevati, ma rimangono ampie differenze territoriali in termini di orari e di qualità.

Quello che sta accadendo durante la pandemia. Le famiglie con figli minori sono state fra i soggetti più colpiti socialmente ed economicamente dalle restrizioni imposte dalle misure di contenimento della pandemia, con difficoltà che persistono anche dopo l’uscita dal lockdown. Sono aumentate sia le difficoltà a conciliare le esigenze del lavoro (anche a distanza) con quelle di cura e di sostegno alle attività educative di bambini e ragazzi, sia l’esposizione alla povertà economica, prodotta o amplificata dalla crisi sanitaria.

Inoltre, la scuola ha attivato in modo molto differenziato la didattica a distanza, andando in ordine sparso e basandosi sulla buona volontà e soprattutto sull’iniziativa individuale di dirigenti scolastici e insegnanti. Sicuramente la situazione è stata drammatica e ha colto impreparato il sistema dell’istruzione italiana, così come quello di tanti altri Paesi. Tuttavia, una conseguenza estremamente negativa di quanto accaduto in questi mesi è che il numero di bambini e ragazzi che hanno avuto accesso a poca o nessuna offerta di didattica a distanza è stato pari a circa il 20% (stima del Miur) e ad essere colpite sono state soprattutto le famiglie con inadeguate risorse socio-culturali. Si sono quindi allargate ulteriormente le diseguaglianze economiche ed educative fra i nuclei familiari e fra i bambini e ragazzi. Particolarmente sguarniti di offerte educative sono stati i bambini tra gli 0 e i 5 anni, anche per l’impossibilità di un efficace uso della Dad in questa fascia d’età, e i bambini e ragazzi con disabilità intellettive, lasciati per intero alle risorse delle loro famiglie.

Infine, le madri lavoratrici rischiano di essere fra le principali vittime della difficile ripresa, non solo perché molte imprese, specialmente quelle attive nel terziario (commercio, turismo e ristorazione ecc.) saranno probabilmente costrette a ridurre la propria forza lavoro a seguito del calo della domanda, ma anche perché le donne con problemi di conciliazione potrebbero essere costrette a rinunciare al lavoro, a fronte della persistente chiusura dei servizi per la prima infanzia e delle scuole e dell’incertezza su che cosa avverrà in autunno.

Quello che ci si dovrebbe aspettare dalla politica. La classe politica sembra ancora non aver messo bene a fuoco la gravità della situazione dei bisogni educativi e socio-economici delle famiglie con figli piccoli e adolescenti, così come i rischi di povertà e occupazionali di tali famiglie. Il recente Decreto Rilancio inizia a muovere alcuni passi nella giusta direzione. Ma, come ha osservato l’Alleanza per l’Infanzia, non sembrano ispirarsi a un disegno di riforma coerente, mentre non sono neppure sufficienti a fronteggiare l’emergenza.

Nel campo del sostegno economico alle famiglie con figli, servirebbe una riforma che diminuisca frammentazione ed eterogeneità degli interventi, che purtroppo è una caratteristica del sistema di protezione sociale italiano e che lascia comunque scoperte molte famiglie. Nei mesi precedenti alla pandemia si era aperto un dibattito in merito all’introduzione di un “assegno unico universale”, destinato a tutti i bambini e adolescenti e continuativo (dalla nascita fino alla maggiore età), in sostituzione dei frammentati ed eterogenei trasferimenti esistenti. La ministra per le Pari opportunità e per la famiglia Bonetti si è espressa e impegnata, anche recentemente, in favore dell’introduzione di un tale strumento. Tuttavia, a questo suo interesse non ha corrisposto fino ad ora un eguale impegno da parte del governo nella sua collegialità.

Nel campo del sostegno al sistema integrato di educazione e istruzione per i bambini dalla nascita ai sei anni, le risorse previste nel Decreto Rilancio sono insufficienti non solo per un piano di rafforzo che ci avvicini alla media europea, ma anche per evitare di allontanarci ulteriormente, con un crollo dell’attuale offerta.

In campo scolastico, sembra mancare totalmente una strategia per cercare di recuperare e aiutare tutti quegli studenti che rischiano in questi mesi una drastica perdita di competenze e conoscenze e di quelli che potrebbero abbandonare la scuola. È fondamentale non abbandonare questi giovani a se stessi in un periodo di forte fragilità. Occorrerebbe in primo luogo identificarli (grazie all’aiuto di dirigenti e insegnanti) e poi avviare attività di sostegno durante l’estate, anche con piani personalizzati, con risorse aggiuntive per il mondo della scuola e con la collaborazione dell’associazionismo civile.

Quanto al tema della conciliazione, gli strumenti messi in campo – congedo parentale straordinario e bonus babysitter, oltre all’introduzione di un diritto dello smart working per chi può farlo e ha figli infra-quattordicenni – sono molto parziali. Non coprono né la durata della chiusura dei servizi e delle scuole, né il costo di servizi di sostituzione, oltre a non essere accessibili a tutti.

Complessivamente le risorse italiane da destinare a molteplici interventi in questa fase critica sono limitate e, quindi, un finanziamento ambizioso nel campo delle politiche per le famiglie potrebbe incontrare difficoltà, anche se urgentemente necessario come fin qui mostrato. Tuttavia, se le risorse a disposizione cresceranno anche grazie al recovery fund, è quanto mai opportuno che quest’ultimo venga utilizzato anche per aiutare a realizzare sia un programma di assegno unico universale sia un piano di rilancio dei servizi per l’infanzia.