Questo articolo fa parte dello speciale La guerra in Ucraina
Il 1° marzo scorso, le truppe della Federazione Russa hanno lanciato tre attacchi missilistici a Kiev, sul territorio di Babyn Jar, luogo del più grave eccidio di popolazione civile commesso in Europa durante il secondo conflitto mondiale. Qui, fra il 29 e 30 settembre 1941, le truppe tedesche sterminarono, a colpi d’arma da fuoco, 33.771 ebrei. Poi, nell’arco di circa due anni, in quello che era il burrone (jar) più ampio e profondo della capitale, fu trucidata la quasi totalità degli ebrei kieviani, dei malati di mente, dei residenti in campi nomadi, dei partigiani e altri resistenti, oltre a prigionieri di guerra sovietici, membri del Partito comunista e attivisti di formazioni nazionaliste, per un totale di oltre centomila persone. Prima di abbandonare la città di fronte all’avanzata dell’Armata rossa, nell’agosto-settembre del 1943, i nazisti si adoperarono per cancellare le tracce delle esecuzioni, facendo rimuovere le sepolture e incenerire non meno di 70.000 corpi.
Il bombardamento di quest’anno, che ha provocato l’uccisione di cinque civili e il ferimento di altrettante persone, ha danneggiato l’antenna televisiva, alta 385 metri, presente nel comprensorio e il contiguo ex-complesso sportivo Avangard, probabilmente toccato in modo incidentale. Non sono risultati colpiti dall’attacco missilistico i numerosi memoriali eretti, a partire dal 1991, per commemorare le vittime di diverse comunità o appartenenze. Né lo sono stati i più recenti segni materiali del ricordo disposti nell’area circostante: la sinagoga simbolica “Luogo per la riflessione”, progettata dall'architetto Manuel Herz sul modello delle sinagoghe in legno degli shtetlekh dell'Europa orientale; il “Muro del Pianto di cristallo” dell'artista Marina Abramović; l'installazione audiovisiva “Campo speculare” e una serie di altre installazioni per “Guardare nel passato”.
Se è vero che l'intera area ha rappresentato una immensa fossa comune, simbolo di una contaminazione profonda dello spazio, è anche vero che il burrone stesso è scomparso da tempo dal paesaggio di Kiev. Nell’immediato dopoguerra, le autorità sovietiche operarono infatti con determinazione al fine di modificarne radicalmente la forma, la struttura e la funzione. Intervennero con il suo livellamento e rimboschimento; poi, con la costruzione di una imponente rete viaria che lo circondò e, in parte, lo attraversò; con l’approvazione di un piano urbanistico che comportava l’edificazione dell’intera area contigua; infine, con la distruzione delle vestigia dei molti cimiteri presenti nella zona. La stessa antenna televisiva e il complesso Avangard si trovano in una porzione di territorio in cui un tempo era presente, oltre a una necropoli militare, il cimitero ebraico di Luk’janivka, ufficialmente chiuso nel 1966, quando alle famiglie dei defunti furono concessi pochi mesi per traslare le salme in un nuovo camposanto cittadino. La maggior parte non furono dislocate, visto che i nuclei familiari erano stati decimati durante la guerra e non vi erano congiunti a farsene carico. Dopo di che tombe e lapidi furono distrutte e il territorio venne riedificato.
Per diversi anni, per non dire decenni, l’intera area è stata oggetto di un animato dibattito pubblico con l’obiettivo di creare una struttura per lo studio e la commemorazione della Shoah
Per diversi anni, per non dire decenni, l’intera area è stata oggetto di un animato dibattito pubblico con l’obiettivo di creare una struttura per lo studio e la commemorazione della Shoah nella città di Kiev. Infine, si è giunti ad approvare la fondazione di un memoriale poliedrico, che dovrebbe includere, tra le altre cose, un centro di ricerca e documentazione, una biblioteca e un museo. L'apertura del museo era prevista per il 2025.
Il bombardamento ha prodotto grande emozione e indignazione a livello internazionale. Ciò non ha però riguardato l’offensiva nei confronti delle strutture, i segni o le installazioni memoriali oggi presenti a Babyn Jar. Lo sdegno odierno è soprattutto legato alle motivazioni invocate dalle autorità russe per spiegare l’invasione, come ben emerge dal comunicato diramato dal Babyn Yar Holocaust Memorial Center (Byhmc): «In quanto esperti impegnati nella ricerca e commemorazione dell'Olocausto, siamo profondamente indignati dal fatto che il paese aggressore abbia usato la retorica genocidiaria per giustificare le sue azioni disonorevoli. La Russia ha volgarmente strumentalizzato la retorica antinazista e sta cercando di assumere il ruolo di combattente contro il nazismo». Vladimir Putin ha in effetti definito l'invasione dell'Ucraina come un’“operazione militare speciale”, condotta con l'obiettivo di “denazificare” l'Ucraina. Per legittimare la guerra, ha descritto i dirigenti ucraini, incluso il suo primo presidente ebreo Volodymyr O. Zelens’kyj, come “neo-nazisti”.
Altrettanto eclatanti sono apparse le accuse rivolte alle forze armate ucraine di aver perpetrato un “genocidio” nei confronti dei russi nella regione del Donbass, una mitologia che Putin ha costruito nel corso degli anni senza attirare, in verità, l’attenzione dell’opinione pubblica internazionale. Travisamento, appropriazione indebita, distorsione e manipolazione sono solo alcuni dei termini che traducono la sorpresa con cui sono state accolte le sue parole. Per non parlare della flagrante contraddizione prodotta dalla visione delle macerie di città come Kiev, Charkiv, Cherson, Mariupol’, e molte altre ancora, già devastate dai massicci bombardamenti tedeschi durante la Seconda guerra mondiale. Nelle parole del Byhmc: «Sono in fiamme case, ospedali, asili nido. Le persone si nascondono in scantinati e rifugi antiaerei. Centinaia di migliaia sono costrette a lasciare le loro case e trasferirsi in luoghi più sicuri e all'estero. Tutto sta accadendo perché Putin ha deciso di “denazificare” l'Ucraina e il suo popolo». Per tale ragione, uno dei principali impegni del Centro sarà di raccogliere e registrare la documentazione che dia conto dei crimini degli aggressori, creando un database da depositare presso la Corte internazionale di giustizia delle Nazioni Unite, con sede all'Aja.
Occorrerà in futuro analizzare con più attenzione la scelta di Putin di motivare la guerra come un tentativo di “denazificazione” dell'Ucraina, una strategia discorsiva la cui elaborazione si è perfezionata dopo la crisi di Crimea del 2014
Occorrerà in futuro analizzare con più attenzione la scelta di Putin di motivare la guerra come un tentativo di “denazificazione” dell'Ucraina, una strategia discorsiva la cui elaborazione si è perfezionata dopo la crisi di Crimea del 2014 (occupazione, separazione, annessione). Importanti segnali di radicalizzazione si erano manifestati lo scorso 11 ottobre con la pubblicazione su “Kommersant”, uno dei maggiori quotidiani politico-finanziari russi, di un violento articolo con il quale Dmitrij A. Medvedev, attuale vicepresidente del Consiglio di sicurezza della Federazione Russa, presentava «cinque brevi tesi polemiche». In sostanza, con tono aggressivo e volgare – e sulla scorta di argomenti utilizzati dallo stesso Putin, nel luglio 2021, nell’ormai celebre saggio Sull'unità storica di russi e ucraini – descriveva l’Ucraina come un paese reo di aver perduto la sua identità e vassallo dell’Occidente, guidato da una classe ignorante e corrotta, con la quale era impossibile ogni negoziazione. Il presidente Zelens’kyj, uomo con «precise radici etniche» e in preda ad una «dissonanza cognitiva», era accusato di aver completamente modificato il suo orientamento politico per servire le forze nazionaliste «più rabbiose» – un «salto mortale» che, a dire di Medvedev, ricordava «l’insensata situazione» in cui i membri dell'intelligencija ebraica nella Germania nazista, per ragioni ideologiche, si erano posti «al servizio delle SS».
Da qui anche l’attacco a Babyn Jar, accidentale o meno che sia il suo bombardamento. Babyn Jar, nella prospettiva di Putin o Medvedev, deve essere occupata, separata dall’Ucraina e annessa. La sua simbologia va “russificata”, così come un tempo era stata “sovietizzata”, cancellandone l’appartenenza ad una storia ebraica e ucraina infine riconciliata.
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