Un bambino triste e grigio seduto su un piccolo pianeta circondato da una grande bolla. La tristezza si trasforma in una traccia di sorriso solo con l’intervento di una signora, verosimilmente la mamma, che raggiunge il bambino grazie a un cuore rosso, unica nota di colore, disegnato sulle pareti della bolla che, alla fine, li ingloba entrambi. Questa l’immagine dell’autismo voluta dalla Federazione italiana autismo, dall’Angsa e dalla Rai per il 2 aprile, giornata internazionale istituita dall’Onu per richiamare l’attenzione di tutti proprio sull’autismo, la forma di disabilità più frequente al mondo. Uno spot che sta però suscitando molte perplessità nel web e prese di distanza da parte di associazioni di famiglie (e non solo) di persone autistiche.
Il motivo è che il corto ripropone gran parte degli stereotipi del secolo scorso sepolti dalla massa di conoscenze fornite dalla scienza negli ultimi due, tre decenni. Stereotipi quali l’autismo condizione di isolamento infrangibile e fonte di infelicità senza soluzione per chi ne è coinvolto, ma anche e soprattutto il ruolo allo stesso tempo determinante e salvifico della mamma di turno. La mamma, grazie al suo amore simboleggiato dal cuore disegnato sulle pareti della bolla, supera l’isolamento del bambino ma ne resta, in qualche modo, inglobata in un isolamento a due.
Non credo di esagerare se in questa rappresentazione molti, e io tra questi, colgono una versione rivisitata dello stereotipo psicodinamico di oltre mezzo secolo fa, mai del tutto abbandonato. Ignorando i pronunciamenti dell'Organizzazione mondiale della sanità, infatti, gli psicoanalisti ancor oggi si ostinano a ricondurre l’autismo a una freddezza relazionale della madre nei confronti del bambino fin dalle primissime fasi del suo sviluppo. Madri secondo Lacan «coccodrillo», o per Bettelheim «frigorifero», incapaci di relazioni emotivamente positive coi loro figli i quali, a causa di ciò, diventano autistici o, per dirla ancora con Bettelheim, «fortezze vuote». La bolla dello spot altro non è che una rappresentazione attualizzata della fortezza vuota e l’autismo viene ricondotto così a una visione medioevale, tanto per restare in tema.
Ma ormai sappiamo, con certezza, che l’autismo e i disturbi dello spettro autistico, come vengono definiti oggi, sono disturbi del neurosviluppo legati, cioè, a una anomala maturazione cerebrale determinata biologicamente e su base genetica che inizia, quindi, già in epoca fetale, molto prima della nascita del bambino. Per questo il funzionamento mentale delle persone autistiche risulta essere atipico già nei primissimi anni di vita e tende a perdurare per tutta la vita indipendentemente dal calore emotivo che le mamme riescono a fornire ai loro bimbi. La sopravvivenza dell’approccio psicanalitico nella cura dell’autismo non trova alcun fondamento nella scienza ma, verrebbe da malignare, solo nella forte resistenza degli psicanalisti stessi e della loro lobby ben rappresentata in Parlamento.
L’autismo si presenta in modo molto variabile da caso a caso. Forme lievi compatibili con una vita adulta autonoma convivono con quadri più gravi associati a un deficit cognitivo marcato. L’espressione di «spettro autistico» adottato di recente traduce questa enorme variabilità indicando come la condizione autistica sia spesso in continuità con la cosiddetta «normalità» con dei confini che appaiono, a volte, sfumati. Perciò il termine «neurodiversità» ha acquisito, negli ultimi anni, un significato e un valore che vanno al di la del solo politicamente corretto traducendo un modo di essere non necessariamente caratterizzato dalla «patologia», dall’infelicità e dal grigiore.
Una condizione di questo tipo può, perciò, essere ancora presentata in modo così superficiale, così come fa lo spot della Rai? Perché indugiare così tanto sulla visione dell’isolamento quasi fosse responsabilità del bambino e non del mondo «neurotipico» che non riesce ad accogliere ma nemmeno a capire la diversità?
Le persone autistiche sono innanzitutto persone con un loro modo speciale, diverso, di sentire, percepire, godere e stare tra gli altri. La capacità di accettare tale diversità è un problema che riguarda quelle persone neurotipiche che sanno immaginare e vivere solo in un mondo omologato, uniforme, che teme ed esclude la diversità.
Se il grigio è il colore della omologazione allora dovrebbe essere utilizzato, negli spot televisivi, per descrivere la comunità dei neurotipici ma non quella di chi vive, incarnandola, la diversità. Imprevedibile, incalcolabile e, ancora per molti purtroppo, inconcepibile.
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