La troika vigila sulla Grecia. Che fosse un’impresa titanica ne erano ben consapevoli tutti, premier in testa. Ma che le misure per il risanamento stravolgessero in tal modo la vita dei dieci milioni di cittadini ellenici, questo forse se lo aspettavano in pochi. La Grecia tenta la risalita dal fondo della crisi con un doppio provvedimento difficile da metabolizzare: un piano di privatizzazioni da 50 miliardi di euro ed un’ulteriore stretta per i dipendenti pubblici. Un paese intero ripartirà da un taglio di duecentomila impiegati, con i rimanenti che dovranno lavorare in media circa due ore e mezza in più a settimana (40 ore settimanali invece che le 37,5 attuali). Dettagli contenuti in un disegno di legge portato in Parlamento dal ministro dell’Interno Ioannis Ragusis e che dovrebbe vedere la luce entro la prossima estate. Una mossa caldeggiata dal Memorandum siglato con Fondo monetario internazionale, Unione europea e Banca centrale europea per ottenere 110 miliardi di aiuto. E con le ombre dell’annunciata (solo da un quotidiano tedesco) uscita dall’euro e della successione a Dominique Strauss-Khan alla direzione dell’Fmi.
Uno scenario in cui gli indici fiscali e le nuove tassazioni si intrecciano pericolosamente con i riverberi sociali che inevitabilmente la manovra ha e avrà. Con sacche di tensione non ancora sopite, con mutamenti rapidissimi. Si pensi solo alle vendite dei quotidiani che hanno registrato un crollo del 50%. Numeri che inevitabilmente stanno modificando completamente il tessuto produttivo, imprenditoriale e il circuito economico anche ai livelli più bassi. I provvedimenti di natura fiscale ed amministrativa contenuti in quel disegno di legge, se da un lato intendono agevolare lo smaltimento del debito, dall’altro stanno mettendo a dura prova la resistenza dei cittadini meno abbienti. Che vengono, è utile ricordarlo, da anni in cui il controllo dello stato nei fatti non esisteva. Con regimi di tassazione bassissimi, con un intero impianto di welfare gestito con eccessiva leggerezza, con spese spropositate anche da parte delle pubbliche amministrazioni, con un forte tasso di corruzione e con scarsezza di investimenti a lunga gittata. Un panorama economico e sociale che inevitabilmente deve specchiarsi in stili di vita anomali. Con uno strato di benessere, a fronte di casse dello stato drammaticamente vuote. Di Cassandre ufficiali, in verità, non ve ne sono state circa il default ellenico. Ma a voler apparire cinici, il terremoto economico che si è abbattuto sull’Ellade era ampiamente prevedibile. Perché quel tenore di vita non poteva essere retto a lungo da un sistema infrastrutturale (governativo ed istituzionale) precario e desideroso di riforme.
Ciò su cui sarebbe utile avviare una riflessione, anche in chiave europea, sono le condizioni in cui i provvedimenti di oggi vengono inseriti e soprattutto il contesto geopolitico. Il governo socialista di Papandreu non potrà che attuare quel rigore che l’intero continente gli impone, con il ministero dell’Economia di fatto commissariato dalla troika Bce-Fmi-Ue, con ulteriori tagli agli stipendi e alle pensioni, con un’impennata dei prezzi dei beni anche di largo consumo, con la benzina verde che sfiora un euro e settanta centesimi al litro. Ma non si comprende perché, ad esempio, proprio la Germania fautrice del prestito ponte verso Atene, le abbia contemporaneamente venduto due modernissimi sommergibili, oltre a fregate militari. Dettaglio rilevato dal solo Daniel Cohn-Bendit durante una seduta del parlamento europeo e da pochi quotidiani ellenici. E ancora, a più di due anni dallo shock finanziario ci si chiede – e questa è probabilmente la nota più stonata di questa assurda quanto drammatica vicenda – come sia possibile che nessun burocrate o ministro dell’Economia greco degli ultimi due lustri, sia stato ascoltato o chiamato a rispondere. Perché il crack della Grecia ha molti padri, ma nessuno lo dice.
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