Atene in fiamme. L’anniversario della morte del giovane Alexis Grigoropoulos, il 15enne ucciso lo scorso anno da un poliziotto durante una manifestazione, ha segnato una nuova drammatica esplosione di violenza in Grecia. Nonostante gli appelli alla calma lanciati dalla stessa famiglia del giovane Grigoropoulos, la situazione è degenerata. Scontri durissimi sono avvenuti nelle principali città elleniche: in primis la capitale Atene, messa a ferro e a fuoco, ma anche Salonicco e Patrasso sono state teatro di vere e proprie battaglie. Non si può circoscrivere quanto avvenuto a una mera questione interna alla Grecia. Non si è avuta una protesta spontanea e neppure possiamo limitarci ad affermare che “migliaia di greci sono scesi in piazza”. I tumulti sono il frutto di un vero piano eversivo messo in atto dalla rete dei gruppi anarco-insurrezionalisti di tutta Europa, professionisti del disordine che si erano dati appuntamento in terra ellenica per quella che è stata definita “la prima rivolta mondiale”. Si è trattato di una forma di protesta priva di ogni base ideologica, non ascrivibile a nessun colore politico: gli anarco-insurrezionalisti hanno manifestato contro il governo socialista di Papandreou scatenando la medesima violenza manifestata un anno prima contro l’esecutivo di centrodestra di Karamanlis.
La constatazione dell’esistenza di un piano eversivo premeditato non deve però indurre a sottovalutare i molti guasti endogeni al contesto socio-economico della Repubblica Ellenica. La crisi mondiale ha messo in luce i limiti di un sistema economico basato su turismo e noli marittimi, settori fra i più vulnerabili nelle fasi di recessione. Con l’avvento del governo di Papandreou, entrato in carica ad ottobre, si è scoperto che lo stato di salute dei conti pubblici era ben più grave di quanto fatto credere da Karamanlis: il deficit di bilancio risulta essere pari al 12,9% del Pil, oltre il triplo del 3,9% comunicato in precedenza.
Il governo Papandreou dovrà agire immediatamente con l’arduo compito di conciliare due esigenze spesso in antitesi: risanare le finanze statali e al contempo favorire prospettive di sviluppo per l’economia. Da parte sua, il premier ha ribadito che non intende rinunciare ad applicare misure a sostegno dei redditi delle fasce più deboli, punto centrale della sua campagna elettorale. Papandreou intende ridurre le uscite combattendo la corruzione, tagliando gli sprechi, calmierando gli aumenti di stipendi agli statali, ridimensionando il budget destinato alle spese militari. Per aumentare le entrate si punta sulla lotta all’evasione fiscale, altra grande scommessa della campagna elettorale di Papandreou. Più difficile sarà l’azione volta al rilancio dell’economia. La constatazione di un debito pubblico tanto elevato complica i piani del premier, che prevedevano un robusto programma di investimenti pubblici secondo la migliore tradizione keynesiana. Il governo dovrà cercare nuove soluzioni utilizzando al meglio i fondi strutturali dell’Unione Europea, che già in passato hanno fornito un apporto determinante per lo sviluppo economico e sociale del Paese.
In un contesto tanto complicato, la nota positiva è rappresentata dal sostegno garantito da parte dell’Unione Europea, che ha rassicurato i mercati internazionali timorosi di un rischio “bancarotta” per la Repubblica Ellenica. Bruxelles ha però esortato Atene a intraprendere “misure coraggiose” portando ad esempio quanto ha fatto l’Irlanda, che ha adottato provvedimenti drastici per ridurre deficit e debito pubblico. Papandreou, che fra l’altro è anche ministro degli Esteri “a interim”, dovrà mostrare piena di volontà di collaborare con l’Unione Europea. Recuperare la fiducia delle istituzioni internazionali e dei mercati sarà la principale sfida del periodo iniziale dell’esecutivo socialista. La fiducia a livello internazionale è condizione imprescindibile per il rilancio della nazione ellenica in ambito economico e sociale. Altrimenti la situazione potrebbe deteriorarsi in modo pericoloso, col rischio che i tumulti possano tornare e avere matrice “greca” piuttosto che internazionale.
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