Il piano inclinato, di Romano Prodi (Il Mulino, 2017), è una ventata d’aria fresca nella discussione sulle politiche di sviluppo del nostro Paese. Su come uscire dalla crisi. Un libro di contenuti, di cose che si possono e si debbono fare. Già questa scelta, aria fresca. Per capirlo basta notare come in una lunga intervista televisiva dei giorni scorsi una pur brava giornalista non gli abbia rivolto neanche una domanda sui temi del libro, tornando invece solo, ossessivamente, sul gossip corrente del «dibattito» italiano: che ne pensa dei rapporti di Renzi col padre? («Lo chieda a Freud», l’opportuna risposta).
Un libro di contenuti per una sinistra moderna, che vuole tornare protagonista. E per questo non si rifugia nella stanca, depressa, litania del «dobbiamo fare le riforme strutturali, quelle che hanno fatto gli altri», come se ci fosse una sola via al futuro, fatta di svalutazione competitiva, tagli alla spesa pubblica e alle tasse, riduzione del costo del lavoro; e la sinistra debba per forza rassegnarsi a una stanca ripetizione del pensiero unico (della destra). Se vogliamo essere un Paese avanzato, dice Prodi, la strada non è quella di ridurre il Welfare e scaricare i costi dell’aggiustamento sui lavoratori.
Come, allora? Chi teme una riproposizione nostalgica delle politiche del passato, delle trascorse esperienze di governo può stare tranquillo. Il libro è ben saldo nell’oggi e guarda avanti. Anzi, trae spunto proprio dai cambiamenti degli ultimi vent’anni; a partire dal «perverso intreccio» fra tecnologia, globalizzazione e finanza, che ha generato disuguaglianza e esclusione e che così rischia di continuare. Ma anche da un giudizio meditato su privatizzazioni e liberalizzazioni che «non sono state un successo».
La tastiera di Prodi è articolata. Torna su temi fondamentali, oggi in secondo piano: una forte politica industriale, volta a favorire crescita dimensionale delle imprese e innovazione; il potenziamento dell’istruzione; una gestione più incisiva e innovativa dei beni comuni. Non rinunciando a proposte che destano certamente scandalo per il politicamente corretto dei giorni nostri, fatto sempre e solo di tagli alla spesa e alle tasse: come quella di (re)introdurre una normale tassa di successione (con aliquote come quelle di Francia e Germania) per finanziare il potenziamento dell’istruzione. Fino all’illustrazione di misure apparentemente minori, ma invece assai importanti: le fondazioni di famiglia cui poter destinare la proprietà delle imprese; un fondo immobiliare per i mutui in sofferenza; reti di incubatori di nuove imprese e di centri di diffusione tecnologica come i Fraunhofer tedeschi.
E già. Perché Prodi guarda alla Germania di oggi: ma non con lo sguardo sbilenco di chi vede solo minijobs e austerità, ma con quello acuto di chi si interroga sulla forza del modello industriale dei nostri vicini. E come in Germania, nel libro sostiene che il ruolo dei sindacati, nelle moderne società europee, debba restare fondamentale.
Insomma, ce n’è abbastanza per discutere. Ce ne sarebbe abbastanza per un Partito democratico che volesse parlare di politiche e non di facce, comparando ad esempio le idee del libro con l’azione di governo degli ultimi anni: dall’abolizione della tassazione sull’abitazione alle misure che hanno favorito l’uso del contante; dall’esaltazione della flessibilità sul mercato del lavoro al massacro di gran parte del sistema universitario italiano. Di più. Ci sono le basi per un possibile programma per unire le disperse forze del centrosinistra e della sinistra. Una bozza da cui partire; certo da integrare (specie sul fronte delle politiche per gli investimenti pubblici e la coesione territoriale); da completare con le indispensabili iniziative nei confronti dei partner europei, per favorire la spesa per investimenti.
Ma accettando la sfida di Prodi. Accettando un assunto oggi certamente non ovvio: che se il centrosinistra insegue la destra sul suo terreno programmatico, o si affida a proposte volte a strizzare l’occhio agli elettori, e abbandona un grande, moderno, disegno di progresso e di uguaglianza sociale, ha perso ancor prima di combattere.
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