Il 25 marzo 2021 è stata resa nota a livello internazionale la Jerusalem Declaration on Antisemitism (Jda), un documento sottoscritto da circa duecento studiosi e studiose in tutto il mondo che si occupano o si interessano di storia dell’antisemitismo, dell’Olocausto, degli ebrei e delle vicende mediorientali, soprattutto in rapporto a Israele e Palestina. Tra i firmatari compaiono alcuni dei più noti storici, scienziati sociali e intellettuali del nostro tempo, come Michael Walzer (Princeton), Aleida Assman (Costanza), Carlo Ginzburg (Ucla/Scuola Normale), Avishai Margalit (Gerusalemme), Ute Frevert (Zurigo), Sebastian Konrad (Berlino), Dirk Moses (Chapel Hill, Nc), Natalie Zemon Davis (Toronto), David Feldman (Londra) e A.B. Yehoshua (Gerusalemme).

La Jda è il frutto di un’approfondita riflessione e discussione culturale e scientifica, condotta da un gruppo di lavoro che ha preso avvio oltre un anno fa presso il Van Leer Institute di Gerusalemme (da qui il nome della dichiarazione) ed è gradualmente cresciuto, circa l’attuale diffusione dell’antisemitismo nel mondo, particolarmente in alcuni contesti – ad esempio dell’Est Europa, ma anche francesi o statunitensi – dove l’antisemitismo negli ultimi anni è risultato in crescita fino al livello della violenza fisica, anche mortale. Il gruppo di lavoro ha analizzato e discusso i rapporti storici e contemporanei tra antisemitismo e razzismo, le relazioni tra questi ultimi e altre forme di discriminazione e intolleranza etnica, religiosa, xenofobica, sessuale ecc. Inoltre, la riflessione, nata a Gerusalemme ed estesasi poi ad accademici e intellettuali – ebrei e non ebrei – negli Stati Uniti e in Europa si è incentrata sul problema dell’uso pubblico e politico dell’accusa di antisemitismo.

Questa riflessione ha portato all’elaborazione e alla finale stesura di un documento, la Jda appunto (leggibile a questo link, assieme all’elenco dei sottoscrittori), che propone una definizione dell’antisemitismo in rapporto con il razzismo e con altre forme di discriminazione, offrendo una serie di riflessioni e suggerimenti circa l’analisi storica e contemporanea di questi fenomeni; ma anche rispetto al – e alla necessaria distinzione dal – uso crescente dell’accusa di antisemitismo, spesso formulata per screditarli o tacitarli, nei confronti dei critici dell’odierna politica di Israele in particolare verso i palestinesi (politica israeliana su cui per altro gli stessi sottoscrittori della Jda hanno spesso opinioni diverse tra loro, più o meno critiche dei governi israeliani, come pure più in generale non sono necessariamente in accordo sul conflitto israelo-palestinese e sulle sue auspicabili soluzioni: due popoli due Stati, uno Stato binazionale ecc.).

I promotori e sottoscrittori della Jda sono giunti alla conclusione di trovarsi, rispetto al tema dell’antisemitismo e all’uso politico dell’accusa di antisemitismo, su posizioni piuttosto diverse e talora contrapposte a quelle espresse in un altro documento ufficiale, diffuso a livello internazionale negli ultimi anni, che ugualmente propone – ma, appunto, con differente prospettiva e approcci – una «definizione operativa» dell’antisemitismo. Si tratta dell’Ihra Definition of Antisemitism (per la  versione italiana qui), formulata nel 2016 dall’International Holocaust Remembrance Alliance (Ihra): un network politico e diplomatico fondato nel 1998, che riunisce 34 Paesi tra cui Israele, Germania, Francia, Polonia e Italia, che si turnano alla presidenza del medesimo con propri rappresentanti diplomatici (nel 2018 l’Ihra è stata presieduta da un ambasciatore italiano).

Sebbene i lavori dell’Ihra abbiano avuto l’approvazione – e la partecipazione attiva – di ragguardevoli personalità accademiche e del mondo della cultura internazionali, come ad esempio, in un convegno internazionale a Stoccolma nel gennaio 2000, lo storico della Shoah Yehuda Bauer (già presidente di Yad Vashem, il Museo dell’Olocausto di Gerusalemme), o il premio Nobel per la pace, lo scrittore sopravvissuto ad Auschwitz Elie Wiesel, l’Ihra Definition of Antisemitism presenta chiaramente, fin da una sua prima lettura, diversi aspetti problematici. Non tanto sul piano storico – a tutti sta infatti a cuore la memoria della Shoah, la lotta al negazionismo, oltre alla necessità di contrastare l’antisemitismo – ma rispetto agli esempi concreti che la dichiarazione reca dell’antisemitismo nelle sue forme contemporanee. La maggior parte dei casi di antisemitismo citati nel documento Ihra – sette su undici – non sono infatti esempi di offese antiebraiche né l’evidente espressione storica e attuale di pregiudizi religiosi o etnici nei confronti degli ebrei; ma sono in sostanza delle critiche alla politica dello Stato di Israele: critiche a Israele che di fatto – attraverso l’Ihra Definition of Antisemitism e gli esempi a essa collegati – sono indicate come posizioni o idee da condannare e contrastare in quanto «antisemite» in ambito sia politico sia legislativo e talora, conseguentemente, giudiziario.

Questa definizione Ihra dell’antisemitismo – contrastata dagli studiosi riunitisi inizialmente a Gerusalemme ed espressisi ora nella Jda – non è quindi un mero documento o definizione di lavoro, un’analisi accademica o l’ennesimo memorandum diplomatico, ma è di fatto divenuta uno strumento politico utilizzato dalla diplomazia israeliana, da determinati gruppi di pressione ebraici particolarmente conservatori, e dalla destra filosionista (e antiaraba o anti-islamica) in difesa dello Stato ebraico. Essa ha inoltre ottenuto il consenso – anche grazie a pressioni, forme di moral suasion, o effettive convergenze politiche, culturali e ideologiche – di notevoli segmenti della diplomazia internazionale, di governi e Parlamenti. Fino a che l’Ihra Definition of Antisemitism è stata indicata da una risoluzione del Parlamento europeo del 2017 (che si può leggere qui) come da adottare ufficialmente da parte di tutti gli Stati membri: proponendo così, se non imponendo a tutti di riconoscere – e possibilmente stabilire per legge – un’equiparazione o addirittura un’equivalenza tra antisemitismo e critiche politiche allo Stato di Israele.

Come hanno scritto alcuni degli autorevoli promotori della Jerusalem Declaration on Antisemitism – Aleida Assman, studiosa internazionalmente riconosciuta di problemi della memoria all’Università di Costanza; Alon Confino, noto storico dell’Olocausto, della storia tedesca e di questioni di metodo storico all’University of Massachuetts, Amherst; e David Feldman anch’egli storico e direttore dell’Institute for the Study of Antisemitism all’Università di Londra – l’Ihra Definition of Antisemitism è stata ed è «fonte di confusione» culturale e politica per i suoi usi e i suoi effetti distorcenti, che hanno «conseguenze paralizzanti sulla libertà di parola e di ricerca» e per di più «distraggono l’attenzione dai gravi pericoli dell’antisemitismo di destra».

Altri colleghi coinvolti nella elaborazione e stesura della Jda – come Elissa Bemporad, studiosa di storia dell’antisemitismo russo e sovietico al Queens College e al Cuny Graduate Center di New York; lo storico di Harvard Derek Penslar, autorità mondiale sulla storia degli ebrei moderni e del sionismo; e lo stesso Alon Confino – in un articolo apparso online nella rivista «Forward» in coincidenza con la pubblicazione della Jda il 25 marzo 2021, hanno sottolineato inoltre che «sebbene non possa essere sottovalutato il pericolo dell’antisemitismo di sinistra, è chiaro che il maggior pericolo per gli ebrei proviene oggi dai gruppi della destra estrema e populisti».

Questi stessi studiosi e studiose – assieme agli oltre duecento sottoscrittori della Jda – ritengono, soprattutto, che «la lotta contro l’antisemitismo è inseparabile da un contrasto complessivo di tutte le forme di discriminazione razziale, etnica, culturale, religiosa e di genere». E hanno ricondotto e fondato pertanto la Jda, fin dal preambolo della stessa, alla Dichiarazione universale dei diritti dell’uomo del 1948, alla Convenzione sull’eliminazione di tutte le forme di discriminazione razziale del 1969, alla Dichiarazione del forum internazionale di Stoccolma sull’Olocausto del 2000, e alla Risoluzione delle Nazioni unite sulla memoria dell’Olocausto del 2005.

La Jda – in contrasto con l’uso politico e diplomatico attualmente prevalente dell’Ihra Definition of Antisemitism – scrivono ancora Bemporad, Confino e Penslar, intende quindi «distinguere dibattito politico» (che ritiene legittimo e comunque inevitabilmente «duro e controverso», come quello sulle vicende mediorientali) «dal discorso e dall’azione antisemiti». Discorso e azione che ovviamente devono essere contrastati e denunciati in modo inequivocabile, purché essi tuttavia appartengano effettivamente alla tradizione ideologica e retorica antiebraica o dimostrino concretamente l’intenzione di ricollegarsi ad essa riproponendola.

A differenza dell’Ihra Definition, la Jda non intende rappresentare un documento codificato, con valore legale o possibili utilizzi giudiziali o semi-giudiziali. Ma vuole essere uno strumento che contribuisca al «pensiero critico» e alla «discussione approfondita»: certo non quel «testo sacro» – dice ancora l’articolo apparso in «Forward» – che per alcuni anche in ambito governativo e diplomatico è divenuta l’Ihra Definition, mentre quest’ultima (ormai adottata da alcuni governi e Parlamenti), potrebbe – e anzi dovrebbe – essere più utilmente considerata un «documento vivente che necessita di evoluzione e miglioramenti».

Gli stessi autori concludono infine – rappresentando le intenzioni dei sottoscrittori della Jda a nome dei quali scrivono – che tutti, ebrei e non ebrei, al di là delle diverse opinioni politiche, dovrebbero urgentemente unirsi attorno a valori e obiettivi comuni e condivisi come: «la lotta all’antisemitismo, il contrasto di ogni forma di odio, la difesa della libertà di parola, la protezione dei diritti umani di tutti senza eccezioni, la creazione di spazi inclusivi e sicuri di discussione e anche dissenso su Palestina e Israele». Secondo i suoi autori e sottoscrittori, la Jerusalem Declaration on Antisemitism intende rispondere a queste urgenti necessità etiche e politiche ed è pertanto un documento necessario per i nostri tempi, in cui la lotta all’antisemitismo dev’essere unita a quella al razzismo, all’islamofobia, e a ogni altra forma di discriminazione e intolleranza.

 

[L’autore può essere contattato al seguente indirizzo e-mail: levissmn@unive.it]