Il colpo di Stato in Madagascar. La comunità internazionale, e in primis l’Unione Africana, ha condannato il recente intervento dell’esercito che ha portato Andry Rajoelina al potere a discapito del Presidente Marc Ravalomanana, così come aveva condannato nel 2002 lo stesso Ravalomanana, allora leader dell’opposizione, quando si era autoproclamato alla massima carica dello Stato mentre si attendeva ancora l'esito ufficiale delle elezioni presidenziali dell’anno prima.
È evidente come la lunga transizione democratica in Madagascar viva di attese disilluse e dell’incapacità dei vari attori in gioco, interni ed esterni, di costruire una reale democrazia partecipativa e processi di sviluppo pienamente inclusivi. Nel frattempo le agenzie dell’aiuto e della cooperazione internazionale si stanno preparando agli scenari peggiori, in un paese in cui le opposte fazioni si stanno scontrando anche violentemente (si registrano già alcune centinaia di morti nel paese) sullo sfondo della crisi dei prezzi dei beni alimentari, di fenomeni di siccità e delle conseguenze dei recenti cicloni tropicali. Questa crisi sta già aggravando la situazione di precarietà e povertà di gran parte della popolazione del paese. In più, le condanne delle organizzazioni regionali e internazionali fanno pensare ad un prossimo congelamento degli aiuti "non umanitari".
Gli eventi più recenti giungono a poco più di quindici anni di distanza dall’apertura al multipartitismo del sistema politico del Madagascar (Terza Repubblica) e hanno visto prima il vecchio leader Didier Ratsiraka riottenere la Presidenza nel 1997, poi Ravalomanana succedergli nelle elezioni contestate del 2001, quindi la rielezione di Ravalomanana alla Presidenza nel 2006 dopo un sospetto tentativo di colpo di stato militare. Gli anni di Ravalomanana sono stati caratterizzati da segnali contraddittori, con un Presidente che, dietro l’impulso degli investimenti internazionali, ha tentato di monopolizzare la scena politica ed economica del paese, intrecciando i suoi affari imprenditoriali agli incarichi istituzionali. Dopo aver concesso all’opposizione diverse occasioni per incrementare la base del proprio consenso (come nel caso della paventata concessione di un’ampia area del paese – 1,3 milioni di ettari – alla multinazionale sud-coreana Daewoo), e dopo un periodo di forte instabilità in cui aveva dovuto chiedere pubblicamente scusa per i propri errori, Ravalomanana è stato deposto il 17 marzo scorso da alcuni settori dell’esercito, che hanno poi consegnato il potere, con la successiva approvazione della Corte Costituzionale, all’ex sindaco di Antananarivo, Rajoelina. Quest’ultimo ha promesso nuove elezioni e una nuova carta costituzionale entro due anni (il trentaquattrenne Rajoelina è di sei anni più giovane rispetto all’età minima prevista per essere investito ufficialmente alla carica presidenziale), e tra le prime misure adottate si è vista la cancellazione dell’accordo con la compagnia sud-coreana.
Ravalomanana è fuggito in Swaziland, da dove si appella sia alla comunità internazionale sia ai sostenitori che ancora ha in Madagascar per opporsi al nuovo potere. La situazione a un mese dal colpo di Stato appare ancora piuttosto confusa: la Southern African Develoment Community ha fatto sapere di non riconoscere il nuovo governo, l’Unione Africana ha sospeso il Madagascar dall’organizzazione continentale, mentre nella capitale si confrontano, e si scontrano ancora, migliaia di sostenitori dei due leader rivali.
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