Le radici profonde del caso Ergenekon. Fin da tempi remotissimi, nella cultura turca il lupo è considerato il principale protettore delle antiche tribù turcofone. Nella mitologia delle popolazioni nomadi dell'Altai, la catena montuosa della Siberia meridionale tra Mongolia e Russia, si credeva che un lupo avesse mostrato ai turchi la strada per uscire dalla mitica vallata circondata dalle montagne, Ergenekon. Proprio il termine Ergenekon, denso com'è di richiami epici e mitologici, nei giorni scorsi è venuto alla ribalta internazionale, per motivazioni ben lontane dall'interesse antropologico ed etnografico. In Turchia, invece, la vicenda è stata tutt’altro che un fulmine a ciel sereno. L’esistenza di quella che da alcuni quotidiani di Ankara è stata definita come una “Gladio turca” era già emersa a partire dal 1996 allorché l’opinione pubblica nazionale fu scossa da un incidente stradale avvenuto presso Susurluk, piccolo centro cittadino nella Turchia occidentale, dove all'interno di un'auto accartocciata furono trovati i cadaveri di un alto funzionario di polizia, di una “velina” e di un famigerato estremista di destra e trafficante Abdüllah Çatlı (noto in Italia per essere stato “camerata” di Mehmet Ali Ağca); a far loro compagnia, unico sopravvissuto, un parlamentare del partito di governo dell'epoca. È quella struttura cospirativa che gli analisti definiscono “stato profondo” e che pretende di proteggere presunti interessi nazionali superiori, ritenuti incompatibili con il programma del governo democraticamente eletto del Partito della Giustizia e dello Sviluppo (AKP) e lesi da presunte concessioni governative all'Occidente. L'inchiesta condotta dalla procura della Repubblica di Istanbul ha portato a diversi arresti eccellenti, tutti coinvolti a vario titolo nelle attività dell’organizzazione segreta, con l'accusa appunto di eversione e di aver svolto attività terroristiche. In un primo tempo, il caso ha determinato un consenso notevole presso l'opinione pubblica turca e all'estero. La stampa locale lo ha spesso paragonato alla nostrana inchiesta “Mani Pulite”, che negli anni '90 stravolse gli equilibri del potere. In patria e all'estero gli analisti hanno inizialmente salutato l'evento come un momento storico ed epocale di svolta per il processo di democratizzazione del paese.
Tra gli arrestati vi sono molti nomi noti alle cronache per le loro attività equivoche: militari in pensione, discussi uomini d’affari, avvocati ed ambigui rappresentanti della società civile. Tra le personalità più celebri vi è il generale in pensione Veli Küçük, considerato il fondatore del famigerato servizio di informazioni e antiterrorismo della gendarmeria, già ritenuto responsabile delle esecuzioni extragiudiziali di numerosi esponenti politici curdi negli anni '90. Nel corso delle perquisizioni la polizia ha rinvenuto una lista delle persone nel mirino dell'organizzazione: tra essi esponenti politici curdi, un giornalista dell’area islamica e il premio Nobel Orhan Pamuk, per il quale era già stata scelta l’arma del delitto, e lo stesso primo ministro Recep Tayyip Erdoğan. L'obiettivo sarebbe stato quello di trascinare il paese nel caos e spianare la strada ad un colpo di stato, l'ennesimo nella storia turca repubblicana a partire dal 1960. Molti indizi avrebbero permesso agli inquirenti di ricollegare Ergenekon a numerosi omicidi eccellenti della storia recentissima, a cominciare da quelli più noti del magistrato Özbilgin e del giornalista Hrant Dink (il 19 gennaio scorso ricorreva il terzo anniversario della morte), il quale a suo tempo aveva rivelato pubblicamente di avere ricevuto minacce di morte proprio dal generale Veli Küçük di cui sopra. Non è un caso, perciò, se tra i coinvolti nell'organizzazione – già prima dell’esplodere del caso di fronte all’opinione pubblica internazionale - appariva il nome eccellente di Kemal Kerinçsiz, l’ambiguo e famigerato avvocato ultranazionalista che ha trascinato davanti ai tribunali del paese con l’accusa di aver “offeso la turchità” una lunga lista di intellettuali, tra i quali proprio Pamuk e Dink. Se oggi, con il caso finito sotto i riflettori dei media internazionali, sono in molti ad avanzare il sospetto che il caso sia stato abilmente manipolato dall’AKP per liberarsi di scomodi contropoteri, occorre sottolineare come sin dal giugno 2008, quando le indagini avevano conosciuto un’accelerazione, la minoranza degli Alevi, componente sciita oppressa che si oppone all'islam sunnita dominante, aveva accusato il Governo Erdogan di aver confezionato il caso Ergenekon in chiave anti-alevi per sunnizzare la Repubblica , fondata sul laicismo.
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