È come se a un certo punto, a un bambino che ha provato e riprovato ad afferrare un flacone di detersivo e al quale si è sempre ripetuto di non aprirlo e di non toccarlo perché pericoloso, tossico e velenoso, si concedesse, senza una ragione apparente, non solo di afferrarlo ma anche di aprirlo e di berne il contenuto. Perché di punto in bianco considerato adatto alla sua dieta. Con il cosiddetto “decreto competitività” il governo italiano ha di fatto truccato l’etichetta. Peggio: la cancellato le scritte che si trovano per legge sulle confezioni pericolose e tossiche, così come previsto dall’Istituto superiore di sanità: «Tenere fuori dalla portata dei bambini». «Tenere il recipiente ben chiuso». «Evitare il contatto con gli occhi, la pelle o gli indumenti». «In caso di ventilazione insufficiente utilizzare un apparecchio respiratorio». E via di questo passo.
Ma che cosa prevede il decreto?
Innanzitutto la possibilità di aumentare gli scarichi in mare degli stabilimenti industriali, oltre a nuove tabelle per la contaminazione delle aree militari. Alzando fino a 100 (cento) volte i limiti di alcune sostanze cancerogene o pericolose per la salute.
In questo modo, come per magia, si risolvono in un colpo solo i problemi di bonifica dei circa 50 mila ettari dei siti militari inquinati da metalli pesanti e, in alcuni casi, da uranio impoverito. È facile: basta alzare la soglia e il problema smette di essere tale, con buona pace della tutela del territorio e della salute. La nostra salute.
Per quanto riguarda gli scarichi in mare, poi, il ministro Galletti e i suoi collaboratori al ministero (dell’Ambiente) collegano in modo direttamente proporzionale la capacità produttiva con il diritto di inquinare (un ossimoro che è purtroppo realtà). E si inventano addirittura, in nome della “competitività” che dà il titolo al decreto, il principio del più produci più hai diritto a gettare a mare gli “avanzi”. Citiamo dal Decreto:
“Le Autorizzazioni integrate ambientali rilasciate per l’esercizio possono prevedere valori limite di emissione anche più elevati e proporzionati ai livelli di produzione”.
Con il silenzio assenso per le bonifiche dei siti privati, infine, si fa finta di non sapere che i soggetti preposti ai controlli non riusciranno, salvo rare eccezioni, a verificare le autocertificazioni dei soggetti attuatori. E questo grazie alla carenza di personale, che dovrebbe essere nota agli estensori del decreto, alla mole di lavoro e ai tanti problemi che molti uffici della Pubblica amministrazione si trovano a dovere affrontare in questi tempi bui.
Ma in questa operazione che cambia sì verso all’Italia, ma nella direzione sbagliata, c’è un capolavoro semantico. E riguarda il modo con cui il ministro Galletti ha ribattezzato la parte di sua competenza del provvedimento appena varato: “Ambiente protetto”. E per fortuna che lo si vuol proteggere.
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