Pallone e politica. «Una parvenza di normalità è tornata sabato scorso, per qualche ora, ad Aleppo, quando le squadre locali dell’Al-Ittihad e dell’Al-Hurriya si sono incontrate per il primo derby nella città dopo cinque anni. Una grande folla è arrivata per assistere all’incontro, vinto per 2 a 1 dall’Al-Ittihad». Con queste parole, nella didascalia di una galleria fotografica pubblicata il 30 gennaio sulla sua pagina Facebook, la Fifa ha voluto celebrare il ritorno del calcio nella «città martire» della guerra siriana, cavalcando la retorica per cui il pallone ha la forza di superare i conflitti, unire i popoli e riportare il sorriso fra la gente.
Non c’è dubbio che per tutti i tifosi presenti sugli spalti dello stadio di Aleppo il 28 gennaio sia stata una giornata di festa che ha permesso di scacciare, per lo meno per i novanta minuti di gioco, i fantasmi della guerra e le fatiche della ricostruzione. È tuttavia altrettanto evidente che quella disputata fra le due principali squadre della città non sia stata una semplice partita di calcio. La gigantografia del mezzobusto del presidente siriano Bashar al-Assad, posta in bella vista di fronte alla tribuna stampa, all’altezza del centrocampo e in favore delle telecamere, stava proprio a ricordare che, al di là di ogni intento ricreativo, l’incontro aveva soprattutto un chiaro obiettivo politico: dimostrare che il regime di Damasco è in grado di garantire la sicurezza dei suoi cittadini e che quindi, sotto il suo controllo, i residenti ad Aleppo possono tornare a vivere come facevano prima della guerra.
Il calcio, con la sua capacità di suscitare emozioni e con la sua elevata visibilità globale, si è dimostrato lo strumento perfetto, in quanto generalmente non viene percepito dal grande pubblico come qualche cosa di politico. Infatti, malgrado gli sforzi per inserire nella propria galleria fotografica immagini che non inquadrassero simboli esplicitamente politici, nel celebrare il ritorno del calcio ad Aleppo la Fifa ha indirettamente contribuito a legittimare il ritorno di Assad in quella che è stata definita la «Guernica del XXI secolo».
Peraltro, fin dal momento in cui nel 2011 è scoppiata la rivolta, in Siria il pallone ha smesso di essere un semplice gioco. Una guerra civile, del resto, non prevede la possibilità di restare neutrali. Così alcuni calciatori hanno cercato rifugio sotto l’ombrello protettivo del regime di Damasco, altri si sono uniti alle proteste, qualcuno ha imbracciato le armi, molti si sono dati alla fuga. Dopo un’iniziale sospensione, nel 2012 il campionato è stato fatto ripartire, ma gli incontri si sono disputati solamente nelle zone più sicure, come Damasco e Latakia. Al pari del campionato, anche la nazionale siriana, con il suo brillante percorso nelle qualificazioni ai Mondiali del 2018, ha contribuito a legittimare il regime di Assad.
Dall’altra parte della barricata, analogamente, i ribelli hanno cercato di sfruttare il calcio per ottenere un riconoscimento internazionale. Sulla scia di quanto fatto in passato da selezioni repubblicane e basche durante la Guerra civile spagnola o dal Fronte di liberazione nazionale algerino alla fine degli anni Cinquanta, l’opposizione ad Assad ha creato le sue «nazionali», prima in Libano e poi in Turchia. La Fifa – che pragmaticamente, in una situazione di guerra, ha adottato la tattica del «wait and see» e che di conseguenza ha continuato a riconoscere la Federcalcio siriana rimasta fedele a Damasco – non ha mai riconosciuto le rappresentative autodefinitesi della «Siria Libera», impedendo loro di disputare amichevoli internazionali ufficiali.
Anche se per il momento non sono previste ulteriori partite, il regime di Damasco ha fatto sapere che questo è solo il primo passo per il definitivo e regolare ritorno del calcio ad Aleppo. Inoltre la Federcalcio siriana ha affermato che, non appena saranno definite «sicure», si potrà tornare a ripopolare gli stadi delle città di Homs e Hama, dove giocano ben quattro squadre del massimo campionato: l’Al-Karamah, l’Al-Wathba, l’Al-Nawair e il Taliya. Se per la Fifa il ritorno del calcio ad Aleppo viene celebrato come un momento di pace, per Assad il pallone sta diventando sempre più un potente simbolo per ricordare al resto del mondo chi sta vincendo la guerra.
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