L’importanza dell’Africa nelle relazioni internazionali crescerà nei prossimi anni. Le ragioni economiche sono note. Lì sono le maggiori risorse di minerali preziosi e terre rare necessarie alle produzioni tecnologicamente avanzate, le enormi riserve d’acqua non sfruttate, i due terzi delle terre arabili del pianeta non ancora utilizzate. L’Africa può rappresentare, in particolare per l’Europa, un partner indispensabile per una crescita equilibrata di entrambi o, al contrario, diventare un fattore di rischio e destabilizzazione.
Inoltre, a trent’anni dalla fine della Guerra fredda, l’ordine mondiale si sta modificando strutturalmente. Alla contrapposizione rigida dei blocchi contrapposti (che pure garantiva al proprio interno un certo grado di stabilità) non è seguita, come molti fantasticavano, una diffusione progressiva delle istituzioni liberal-democratiche. Siamo invece in presenza di una competizione disordinata, non solo tra le superpotenze (Stati Uniti e Cina), ma anche tra potenze regionali (Russia, India, Turchia, Cina, Iran, Arabia Saudita) che suppliscono al minor peso con una maggiore aggressività. Per di più, mentre c’è una crisi evidente degli organismi multilaterali che sarebbero invece indispensabili per governare un mondo ormai multipolare.
La sfida all’egemonia statunitense sfida vede in prima fila, con ruoli e capacità diverse, Cina e Russia: in questo senso, l’aggressione all’Ucraina rappresenta solo l’elemento più visibile e dirompente
Al centro di questo disordine c’è la sfida all’egemonia statunitense e, più in generale, all’influenza occidentale. Questa sfida vede in prima fila, con ruoli e capacità diverse, Cina e Russia e, in questo senso, l’aggressione all’Ucraina rappresenta solo l’elemento più visibile e dirompente.
In questo contesto il continente africano è oggetto di crescente attenzione da più parti anche perché rappresenta il blocco regionale più consistente all’interno delle Nazioni Unite (il 28% dei voti). E le deliberazioni dell’Assemblea generale, pur non avendo un effetto pratico, esprimono comunque l’orientamento generale della comunità internazionale, diventando così uno strumento importante d’influenza nei confronti delle opinioni pubbliche occidentali.
In un approccio corretto, più che parlare di “Africa” si dovrebbe parlare di “Afriche”, per l’enorme diversità di condizioni fra i 54 Paesi (derivanti dalla collocazione geografica e/o al grado di stabilità) tenendo presente che oggi vanno registrate numerose novità. Ormai da alcuni anni la voce principale nei flussi finanziari verso l’Africa non è più costituita dagli “aiuti allo sviluppo” bensì dagli investimenti diretti dall’estero (Ide) con al secondo posto le rimesse dei migranti. Così, sia pure a macchia di leopardo, esistono da tempo mercati embrionali a livello sub-regionale con la creazione di una classe media (in termini di potere d’acquisto africani) che raggiunge i 350/400 milioni di abitanti. Inoltre, accanto alle storiche arretratezze, alcuni Paesi utilizzano la rivoluzione “Hig Tech” per evitare le tecnologie meno efficienti, costose o inquinanti, passando direttamente a quelle più avanzate (il cosiddetto “leapfrogging”). Questo è già accaduto, ad esempio, nella telefonia dove in pochi anni, saltando completamente le vecchie e poco funzionali linee di terra, la telefonia mobile si è diffusa con una velocità impressionante favorendo, grazie all’incremento dell’accesso a Internet, lo sviluppo di hub tecnologici e la nascita, nelle aree più dinamiche, di Start-Up innovative in diversi settori. Dall’acquisto diretto di beni e merci messi in vendita negli store online in altri continenti, alla gestione degli spostamenti dei pendolari nelle grandi capitali africane. Dalla semplificazione dei processi burocratici che ostacolano l’attività degli imprenditori, all’informazione sui prezzi dei prodotti agricoli nei vari mercati. Dall’educazione sanitaria per riconoscere precocemente i sintomi delle patologie africane, all’utilizzazione di chioschi mobili ad energia solare per la ricarica dei telefonini e l’accesso a Internet. Alcune di queste in innovazioni si sono tradotte in aziende di successo come l’ormai famosa “M-Pesa”, il servizio di trasferimento di denaro e finanziamenti basato sull’uso dei telefoni cellulari, nato in Kenya nel 2007 e presente ormai in molti Paesi con decine di milioni di clienti.
Ciò che impedisce una svolta definitiva nello sviluppo dell’Africa (oltre al problema dei conflitti che merita un discorso a parte) è la mancanza di collegamento fra questi diversi e sparsi embrioni di mercato
Ciò che impedisce una svolta definitiva nello sviluppo dell’Africa (oltre al problema dei conflitti che merita un discorso a parte) è la mancanza di collegamento fra questi diversi e sparsi embrioni di mercato. Basti pensare che nella quota di scambio commerciale dell’Africa (di per sé ancora marginale, 661 miliardi, pari al 2,7% del totale mondiale) la componente interna al continente è attorno al 15%, mentre raggiunge il 61% in Asia e il 67% in Europa.
Per questo assume rilevanza strategica la decisione assunta dall’Unione Africana (1 o gennaio 2021) di creare un’area di libero scambio continentale (African Continental Free Trade Area-Afcfta). Anche se si tratta di un punto di partenza e non certo di arrivo, come del resto è stato ed è nel caso europeo.
In questo processo spetta ai Paesi africani di tradurre l’accordo nel complesso di norme e regolamenti necessari per creare il quadro giuridico necessario. Ciò che invece non possono fare da soli è la mobilizzazione delle risorse finanziarie per colmare il deficit infrastrutturale che, perdurando, renderebbe questo processo puramente teorico. Basti pensare che il 40% delle attività nell’economia formale sono condizionate da carenze nell’accesso all’elettricità, che le reti stradali (sulle quali passa l’80% del commercio interno) sono carenti e in gran parte non asfaltate, che il sistema ferroviario è ai primordi e la gestione dei porti (infrastruttura essenziale per lo sviluppo del continente) ha un aggravio dei costi fino al 40% della media globale. Chi si candida ad essere partner privilegiato dell’Africa in questo indispensabile processo? Un indizio possiamo ricavarlo da alcuni dati.
Nel 2022, dopo l’ovvio rallentamento dovuto al Covid, c’è stata una visibile ripresa negli Ide e nel numero di iniziative collegate (+64%), con una crescente caratterizzazione nei settori “Clean Tech”. Se prendiamo in esame gli scambi commerciali vediamo che nel 2022 gli Usa hanno una quota del 6,5%, la Cina del 17,7%, l’Europa (il complesso dei 27) del 23%. La Cina, però, ha un rapporto import-export più equilibrato, essendo il primo Paese di destinazione esportazioni africane per ben 12 Stati, il secondo per 5 e il terzo per altri 5. E avendo, in tutti i rimanenti casi, percentuali comunque significative. Infine, la Cina è il maggior finanziatore straniero per le infrastrutture e, in africa, operano ormai più di 2000 imprese cinesi in diversi settori.
La Russia persegue invece una strategia diversa. Inesistente la quota di investimenti diretti (1%) e modesta anche quella relativa agli scambi (sostanzialmente materie prime da una parte e armamenti dall’altra). Crescente, invece, la presenza militare che, attraverso il famigerato gruppo Wagner coinvolge tutt’oggi diversi Paesi africani (Libia, Sudan, Africa centrale, Mali, RdC, Niger).
Ciò che fa la differenza fra la Cina e gli altri Paesi è quindi il carattere strutturale assunto progressivamente dalla sua cooperazione. Dal primo summit Cina-Africa organizzato nel 2000, il rapporto inizialmente focalizzato solo sul più ampio accesso alle forniture petrolifere si è via via trasformato migliorando progressivamente non solo in quantità ma anche in qualità. Per dare idea di questo approccio organico basta prendere in esame l’anno che si è appena concluso.
In un periodo caratterizzato pressoché completamente dai conflitti in Europa e Medio Oriente la Cina non ha certo trascurato l’Africa. Oltre alla consueta attività del ministero degli Esteri (con decine di visite del ministro stesso) nel mese di giugno si è svolta a Changsa, capitale della provincia di Hanan, la terza “China-Africa Economic and Trade Expo”. In questa occasione, oltre ad attività ed eventi ospitati in numerosi padiglioni, gli incontri fra imprenditori cinesi e africani hanno prodotto accordi per 120 progetti per un valore di 10,3 miliardi di dollari. Nella stessa occasione si è dato vita a una “pilot zone”, struttura permanente per affrontare congiuntamente i colli di bottiglia che ostacolano il commercio e la cooperazione, migliorare la logistica, fornire servizi digitali e formazione specifica. Inoltre, in uno degli eventi dell’Expo, come primo risultato del progetto “Africa Brand Wharehouse”, 106 marchi africani hanno iniziato la distribuzione nei maggiori centri commerciali cinesi. La provincia di Hanan, sede delle più competitive e tecnologicamente avanzate imprese cinesi, è stata scelta come modello e nuova frontiera della cooperazione cinese.
Sempre nel 2023, nel mese di agosto, a latere della riunione dei Brics (Brasile, Russia, Cina, India e Sud Africa) di Johannesburg, Xi Jinping ha presieduto con Cyril Ramaphosa il “China-Africa Leaders Dialogue”. In questa occasione il leader cinese ha sottolineato la volontà di sostenere il processo di creazione del mercato continentale e ha annunciato tre grandi iniziative per affrontare le difficoltà nella cooperazione con l’Africa. In particolare, la ridotta produttività nell’agricoltura, la scarsa produzione manifatturiera, l’insufficiente creazione di posti di lavoro e opportunità di formazione.
Infine, ma non per ultimo, La Cina ha elaborato e pubblicizzato un documento (Horn of Africa Peaceful Develpment Concept) come contributo alla stabilizzazione di una area fra le più strategiche e le più attraversate da confitti. Iniziativa che merita grande attenzione visto che la Cina, nella sua politica estera, ha sempre osservato strettamente una dottrina di non interferenza. Ecco la sfida che l’Europa dovrebbe raccogliere.
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