Eritrea ed Etiopia: dove si sposterà il confine di guerra? Mentre l’Europa si richiude su se stessa, la rotta del Mediterraneo diventa una delle più mortali e il nostro governo dichiara di voler chiudere i porti a donne, uomini e bambini che tentano di attraversare il Mediterraneo, nel Mar Rosso si stringe uno storico accordo di pace tra l’Eritrea e l’Etiopia che dovrebbe ricucire rapporti spezzati ormai da vent’anni.
L’accordo di pace prevede il rispetto dei confini tra i due Paesi secondo gli accordi firmati ad Algeri nel 2002, la riapertura degli scambi diplomatici e commerciali, ma anche dei collegamenti a livello di trasporti e delle telecomunicazioni. Il primo incontro tra Isaias Afwerki, presidente dell’Eritrea dall’indipendenza del 1993, e Abiy Ahmed, il nuovo primo ministro dell’Etiopia, si è svolto domenica 8 luglio ad Asmara, vent’anni dopo la chiusura dei rapporti diplomatici tra i due Paesi. Un incontro celebrato simbolicamente anche con l’apertura delle linee telefoniche e dei voli che collegano le due capitali, e vissuto con un’ondata di grande emozione dalle migliaia di famiglie etiopi-eritree separate fino ad oggi dal conflitto, dopo che l’Etiopia espulse più di 70 mila eritrei e l’Eritrea fece lo stesso, spaccando così per due decenni intere famiglie.
Quella tra Etiopia ed Eritrea è stata una terribile guerra fratricida che, scoppiata nel giugno del 1998, causò in due anni la morte di circa 80.000 persone e che giunse a una fase di stallo dopo il cessate il fuoco successivo agli accordi di Algeri del 2002. Dopo vent’anni dallo scoppio delle ostilità, il 9 luglio scorso, i due leader hanno proclamato la fine dello stato di guerra con la firma di una dichiarazione congiunta di “pace e di cooperazione”. Un accordo che darà una boccata di ossigeno ai mercati regionali e che garantirà, tra l’altro, all’Etiopia uno sbocco al mare per il transito delle merci attraverso il porto eritreo di Assab.
Una decisione politica intrapresa in primis dal nuovo presidente etiope Abiy Ahmed che, in linea con la sua retorica evangelica, ha potuto così dichiarare “non c’è più alcun confine tra Etiopia ed Eritrea, perché un ponte d’amore l’ha distrutto”. Al governo solo da aprile scorso, Abiy Ahmed ha avviato, sotto una forte pressione popolare, una rapida serie di riforme che vanno dall’abolizione dello stato d’emergenza fino alla sorprendente dichiarazione di apertura nei confronti del governo eritreo. Scelte politiche radicali, sia sul fronte interno, che su quello esterno, necessarie per porre fine alle violenze e alla repressione degli ultimi anni specialmente nella regione oromo. Primo presidente oromo nella storia del paese, di padre musulmano e madre cristiana ortodossa, e a sua volta di fede cristiana evangelica, Abiy Ahmed ha ottenuto grande popolarità incarnando l’integrità delle differenze etniche e religiose del suo Paese. Rappresenta, inoltre, quel cambiamento necessario per dare una svolta alla crisi interna che ha portato alle dimissioni di Hailemariam Desalem, ex primo ministro che ha guidato il governo subito dopo il vuoto di potere successivo alla scomparsa di Meles Zenawi, primo ministro dell’Etiopia dal 1991.
Gli sviluppi politici in Etiopia, così come lo stesso accordo di pace con l’Eritrea, sono seguiti con grande attenzione e interesse dai suoi partner internazionali, primi tra tutti gli Stati Uniti, l’Arabia Saudita e gli Emirati Arabi Uniti, che hanno giocato, tra l’altro, un importante ruolo diplomatico nei negoziati di pace, ma anche la Cina, grande investitore economico nella regione.
Gli osservatori esterni si chiedono se la normalizzazione dei rapporti diplomatici gioverà soltanto ai mercati o se condurrà anche a una maggiore tutela dei diritti umani nei due Paesi. Per l’Eritrea, si tratta di una svolta che avrà degli importanti effetti interni visto che il governo ha costruito la propria legittimità politica facendo leva proprio sulla condizione di guerra permanente con l’Etiopia. Ora che il conflitto è concluso, come potrà, il 72enne presidente eritreo, giustificare un servizio nazionale obbligatorio a tempo indefinito dai 18 ai 50 anni che costringe le sue giovani generazioni all’esilio? Quale effetto avrà l’accordo di pace con l’Etiopia sulla devastante militarizzazione della società eritrea e sui flussi migratori regionali e internazionali?
La posizione strategico-militare dell’Eritrea nel Mar Rosso rimane molto importante. Nel teatro di guerra yemenita che oppone l’Arabia Saudita e gli Emirati Arabi Uniti all’Iran, l’Eritrea si è posta dalla parte dei primi concedendo loro l’uso del porto di Assab e un vicino aeroporto militare, dai quali sono lanciate le offensive in Yemen. Molto dipenderà allora anche dagli sviluppi di quest’altro conflitto nel Mar Rosso, dove s’intrecciano le tensioni internazionali.
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