Adama è di ritorno dal lavoro quando ci incontriamo a casa sua, al confine tra i quartieri di Barra e Ponticelli, zona est di Napoli. È sabato, quasi ora di pranzo. Adama arriva da Acerra, un comune limitrofo a circa mezz’ora di automobile da dove abita. Ci siamo dati appuntamento per discutere del recente avviso (giugno 2022) della Regione Campania per il lancio dell’Anagrafe del Fabbisogno abitativo. Si tratta della piattaforma che censirà i nuclei familiari in possesso dei requisiti necessari all’accesso all’Edilizia residenziale pubblica (Erp) sul territorio campano.

Contemporaneamente, la regione sta mappando il patrimonio pubblico abitativo. Il database integrato che ne verrà fuori costituirà la base per l’assegnazione degli alloggi popolari dei prossimi anni.

Concordiamo sul fatto che è una piccola svolta, almeno per quanto riguarda Napoli e la storia di Adama in Italia. Qui in città, infatti, l’ultima graduatoria vigente per l’edilizia residenziale pubblica risale al 1995. Ventisette anni fa. Esattamente quando Adama arrivò dalla Costa d’Avorio in Italia, a Bergamo. Due anni più tardi, nel 1997, la Regione Campania approvò il nuovo regolamento per la gestione dell’Edilizia residenziale pubblica, mentre Adama lasciava la Lombardia alla volta di Napoli per trasferirsi nel complesso residenziale dei Bipiani, dove abita tutt’ora. Da quel momento Napoli è stata orfana di un nuovo bando per l’Erp, salvo quello del 2011 a cui non seguì la graduatoria di assegnazione.

Per la prima volta da quando è in Italia Adama ha la possibilità di fare domanda per un alloggio popolare. Accedere a una casa pubblica gli permetterebbe di rispondere un po’ meglio al proprio bisogno abitativo, da almeno due punti di vista. Il primo è la sfera economica, cioè la capacità economica di mantenere la propria casa nel lungo periodo, e per converso il rischio di perderla. Lo status amministrativo degli abitanti dei Bipiani costituisce una condizione emblematicamente ambigua dell’abitare a Napoli con riferimento alla garanzia di un alloggio rappresentata dall’Erp. Apparentemente si tratta di una precaria concessione delle autorità locali a favore dei nuclei familiari che vi risiedono. Se da un lato, ad oggi, tale concessione esenta gli abitanti dal pagamento del canone di affitto, dall’altro non assicura il diritto di godimento dell’alloggio nel futuro. L’assegnazione in regime ordinario di un alloggio popolare darebbe a Adama una maggiore certezza abitativa nel futuro.

La seconda dimensione è la qualità ambientale, cioè le condizioni quotidiane dell’abitare. Spazi domestici, indice di affollamento e caratteristiche strutturali dell’alloggio sono una parte degli elementi che definiscono una qualità più o meno sostenibile. La casa in cui Adama abita insieme a sua moglie e a suo nipote è piccola. Misura all’incirca 50 metri quadrati, così come tutte le altre case dei Bipiani. Ha un piccolo ingresso dal quale si accede alla cucina, al bagno e alle due camere da letto. Situata al piano terra non è molto luminosa ed è umida. Gli allacci alle utenze (elettricità e gas) non rispettano i parametri minimi di sicurezza. Questo aspetto incide su una sfera particolarmente rilevante per le persone straniere che risiedono ai Bipiani. Gli alloggi di questo complesso residenziale, infatti, non soddisfano i requisiti di idoneità alloggiativa indispensabili alla pratica del ricongiungimento familiare, rendendo di fatto impossibile per chi ne abbia intenzione di ricomporre la dimensione affettiva del proprio sentirsi a casa in un luogo diverso da quello delle proprie origini.

Le condizioni straordinarie dell’abitare nei Bipiani di Ponticelli possono essere ricondotte all’eredità lasciata sul territorio cittadino dalla faticosa gestione della ricostruzione post- terremoto del 1980. Il Programma straordinario di edilizia residenziale aveva prodotto un rinnovato stock di alloggi pubblici (circa 13.000), comportando la necessità di un rinnovato sforzo di gestione di tale patrimonio da parte delle autorità locali. Il complesso dei Bipiani è un caso emblematico di quanto questo sforzo sia diventato insostenibile per le amministrazioni dei decenni a seguire.

La casa in cui Adama abita insieme a sua moglie e a suo nipote è piccola. Situata al piano terra non è molto luminosa ed è umida. Gli allacci alle utenze non rispettano i parametri minimi di sicurezza

Sorto in totale regime emergenziale e con carattere temporaneo, come dimostrato dall’architettura e dai materiali utilizzati per la costruzione dei suoi alloggi (prefabbricati con un’anima di amianto), l’insediamento dei Bipiani è stato fortemente caratterizzato da una politica di gestione fatta di stop & go, trasversale a tutte le giunte comunali che si sono avvicendate dagli anni Novanta ad oggi. È del 1999 l’approvazione del progetto esecutivo di smantellamento e ricostruzione del complesso residenziale, ma non è mai stato del tutto realizzato. A bloccare il progetto è sempre stata una questione di natura amministrativa riconducibile a due aspetti principali. Il primo è l’impossibilità di procedere allo sgombero pre-abbattimento degli immobili data la mancanza di soluzioni abitative alternative dove ricollocare gli abitanti per la durata dei lavori di riqualificazione in attesa dei nuovi alloggi. Il secondo si riferisce alla già citata ambiguità dello status di abitanti dei Bipiani che non garantisce loro il diritto di assegnazione degli alloggi pubblici in città.

La gestione a singhiozzo del patrimonio abitativo e le conseguenti condizioni di immobilità non rappresentano solamente un elemento specifico della vicenda dei Bipiani, ma possono essere considerati un tratto tipico delle più recenti politiche abitative della città. Da questo punto di vista risulta significativa la storia del rione De Gasperi (Erp), tassello centrale del Programma di recupero urbano (Pru) di Ponticelli (oggi Piano urbanistico attuativo, Pua), strumento urbanistico con l’obiettivo di rifondare la centralità e la qualità di uno dei quartieri più problematici della città. Alla stregua delle opere di riqualificazione dei Bipiani, il progetto esecutivo del Pru e del De Gasperi fu approvato nel 2003, ma è tutt’ora incompiuto. Anche in questo caso, il processo si è bloccato di fronte all’impossibilità di sgomberare gli edifici da abbattere a causa di due aspetti amministrativi. Il primo si riferisce all’elevata presenza di assegnatari non regolari (occupanti, inquilini morosi e abitanti con precedenti di natura giudiziaria) per i quali la giurisprudenza vigente impedisce l’accesso ad alloggi di proprietà pubblica. Il secondo elemento, come nel caso dei Bipiani, riguarda la mancanza di soluzioni alternative che possano alloggiare gli abitanti del De Gasperi per la durata dei lavori di riqualificazione.

Entrambe le vicende, quella dei Bipiani e del rione De Gasperi, ci raccontano in piccolo dell’immobilismo della politica pubblica della casa a Napoli che, secondo Giovanna Silva e Lucia Tozzi (Napoli contro il panorama), ha contribuito in qualche modo a mitigare un processo di depauperamento abitativo dei suoi abitanti. Il riferimento delle autrici è all’apertura da parte delle giunte comunali al complesso finanziario immobiliare - un insieme composito di attori, nazionali e internazionali, privati e pubblici - che da qualche decennio a questa investe ed estrae valore dal mattone, sia del mercato privato sia di quello pubblico della casa, in Italia.

Se «il non fare ha salvato Napoli da questa violenza strutturale», quale è la liberalizzazione sfrenata del settore immobiliare, l’approccio alle politiche abitative in città sembra aver cambiato direzione. A quasi un anno dall’insediamento, la nuova giunta comunale guidata dal Partito democratico si dichiara intenzionata a intervenire in maniera evidente sul tema della casa. Sono due le principali linee di indirizzo per le politiche abitative e la gestione del patrimonio immobiliare pubblico cittadino.

La prima è quella del Patto per Napoli sottoscritto a marzo 2022 dalla giunta comunale con il governo nazionale guidato da Mario Draghi. La giurisprudenza vigente (L. n. 234/2021) sancisce che il governo assicuri un sostegno finanziario all’amministrazione cittadina che si impegna a realizzare alcune azioni precedentemente concordate. Uno dei tre interventi strutturali previsti riguarda la gestione del patrimonio immobiliare di proprietà del comune. In particolar modo, l’accordo prevede la costituzione di un fondo immobiliare composto dal Comune di Napoli (con una quota maggioritaria) e da Invimit, partecipata del ministero dell’Economia e delle finanze specializzata nella messa all’asta di porzioni di patrimonio pubblico su scala nazionale. Spetterà a questo fondo la gestione di alcune unità immobiliari (600 per la prima tranche di accordo) con l’aspettativa di massimizzarne la rendita fondiaria, tramite «valorizzazione» o alienazione.

La seconda linea di indirizzo delle politiche abitative della nuova amministrazione comunale è contenuta nel Documento unico di programmazione (Dup) per il triennio 2022-2024, di recente approvazione (giugno 2022). Tra i diversi ambiti di azione della sezione strategica del Dup c’è quello della rigenerazione urbana all’interno del quale ricade la linea programmatica della «Gestione oculata del patrimonio» (con le amministrazioni comunali precedenti ricadeva sotto la dicitura di «Diritto all’abitare»). Un’attenzione specifica viene data al patrimonio Erp della città. Al fine di ridurre il peso degli oneri di manutenzione sul bilancio comunale, la giunta ha annunciato il rilancio di un piano straordinario per la vendita degli alloggi pubblici (circa 14 mila dei 24 mila totali) agli inquilini assegnatari seguendo i precetti della politica del Right-to-buy.Ciò che si delinea all’orizzonte delle politiche per la casa di Napoli è, dunque, un’accelerata ad un processo di liberalizzazione del settore immobiliare sotto il peso del disavanzo di bilancio e della necessità dichiarata di "fare cassa"

Ciò che si delinea all’orizzonte delle politiche per la casa di Napoli è, dunque, un’accelerata ad un processo di liberalizzazione del settore immobiliare sotto il peso del disavanzo di bilancio e della necessità dichiarata di «fare cassa». Se da un lato, un intervento deciso ed organico sul tema della casa è necessario (come emerge dai casi dei Bipiani e del De Gasperi), dall’altro, i dubbi sulla nuova filosofia di intervento sono profondi.

L’arretramento del governo pubblico dalla gestione diretta del patrimonio immobiliare cittadino appare controproducente se si tiene conto delle strutturali esigenze di amministrazione delle necessità abitative. Come messo in luce dai casi dei Bipiani e del De Gasperi, gli interventi in materia di Erp si sono dovuti sempre confrontare con l’impossibilità da parte del Comune di muoversi agilmente nelle fasi di avvio (sgomberi degli edifici da abbattere) dei progetti vista la mancanza di un patrimonio pubblico e disponibile al quale attingere in maniera tattica e in tempi certi al fine di portare a termine le iniziative deliberate.

Allo stesso modo, il piano straordinario di vendita degli alloggi Erp rischia di indebolire la capacità dell’amministrazione comunale di rispondere al fabbisogno abitativo della città. Da un lato, la riduzione dei costi di manutenzione attesa con la dismissione del patrimonio Erp non comporta necessariamente una diminuzione della spesa pubblica, ma al contrario potrebbe portare a un suo incremento dovuto all’introduzione di sussidi e sgravi fiscali alla proprietà.

Dall’altro lato, l’obiettivo dichiarato di incidere sul disagio abitativo trasformando una popolazione di affittuari in una popolazione di proprietari rischia di lasciare spazio all’acuirsi delle disuguaglianze abitative. Il rischio maggiore è quello di ridurre le possibilità di trovare una soluzione abitativa sostenibile per chi verrà espulso dal mercato privato della casa in futuro.

Questo dubbio appare particolarmente attuale alla luce delle circa 4.700 famiglie che a Napoli nel 2021 sono state in difficoltà con il pagamento del canone di locazione e che sono state riconosciute meritevoli del bonus affitti istituito dalla Regione Campania.

«Perché il Comune dovrebbe privarsi di uno strumento tanto potente come quello di poter gestire un patrimonio di case a seconda delle esigenze della sua popolazione?». È l’interrogativo che pone Adama prima di accedere alla piattaforma dell’Anagrafe Erp, consapevole del fatto che molto probabilmente dovrà aspettare qualche anno prima di vedersi assegnato un alloggio popolare, sempre che riesca a rientrare tra gli assegnatari. È disposto ad aspettare soprattutto da quando ha preso consapevolezza del fatto che dovrà rinunciare al suo progetto di ritornare a casa, in Costa d’Avorio. Non avendo accumulato i contributi necessari alla pensione da lavoro, avrà diritto tra meno di un anno alla pensione sociale, che non è percepibile all’estero. Non avendo altri mezzi di sussistenza se decidesse di tornare in Africa, ha scelto di restare a Napoli con la speranza di un alloggio più certo per sé e la sua famiglia.