Numerosi studi e ricerche hanno documentato l’aumento delle disuguaglianze di reddito e di ricchezza che ha avuto luogo dalla fine del secolo scorso, con un’intensificazione a partire dalle due crisi, quella del 2008 e quella, immediatamente successiva, dei debiti sovrani. Ciò ha portato alla creazione di una classe di «super ricchi» che si è ulteriormente consolidata durante i due anni di pandemia, quando, secondo un recente rapporto Oxfam,dieci uomini più ricchi del mondo hanno più che raddoppiato i loro patrimoni. Nello stesso periodo sono caduti in povertà 163 milioni di persone. Per avere un’idea dell’ordine di grandezza, si può dire che un gruppo di ultramiliardari che potrebbe comodamente stare in un pulmino ha accresciuto il suo patrimonio al ritmo di 15.000 dollari al secondo (1,3 miliardi di dollari al giorno) mentre una popolazione di passeggeri di 4.000 Boeing al gran completo si è ulteriormente impoverita.

Un aumento delle disuguaglianze di tale portata sul piano quantitativo non poteva non modificare la natura stessa della disuguaglianza. Quest’ultima, a differenza della povertà che comporta un taglio netto nella distribuzione dei redditi, è un concetto relazionale: si è più o meno ricchi, più o meno poveri, allo stesso modo in cui si è più alti o meno alti del soggetto assunto a elemento di confronto.

Ma cosa è accaduto in anni recenti? Pensiamo a una corsa ciclistica. I corridori del gruppo ristretto di testa, grazie a comportamenti sportivi scorretti e a biciclette iper tecnologiche, hanno preso il volo. Il corpo centrale, costituito dalle classi medie, si è allungato e quelli in affanno hanno raggiunto la coda costituita dai ciclisti più lenti, una parte dei quali a sua volta ha perso contatto con gli ultimi (i cosiddetti «left behind») che sono del tutto scomparsi alla vista e chissà se arriveranno mai a raggiungere il traguardo. Fuor di metafora, la coesione sociale, la solidarietà e l’integrazione sociale non sono più obiettivi perseguibili, né tantomeno considerati desiderabili dal momento che le disuguaglianze hanno avuto un tale cambiamento di scala da diventare incommensurabili.

La coesione sociale, la solidarietà e l’integrazione sociale non sono più obiettivi perseguibili poiché le disuguaglianze hanno avuto un tale cambiamento da diventare incommensurabili

Diversi autori hanno cercato di analizzare con categorie nuove questo scarto quantitativo che diventa anche un salto qualitativo. Saskia Sassen ha parlato di «espulsione» per definire questo tratto caratteristico del capitalismo predatorio contemporaneo. Serge Paugam, Adele Cortina e Imogen Tyler hanno documentato con le loro ricerche i sentimenti di repulsione, paura (aporofobia) e disgusto provati dai «ricchi oltre l’immaginabile» nei confronti dei poveri. Branko Milanovic, uno dei massimi esperti di disuguaglianza globale, ha descritto la formazione di una plutocrazia che assomma contemporaneamente il massimo dei redditi da lavoro e il massimo di ricchezza patrimoniale in virtù di matrimoni endogamici e della frequentazione di scuole di élite. Questa classe di plutocratici vive isolata in una bolla fisica e simbolica e non è interessata al benessere degli altri, come potevano esserlo, pur senza rinunciare ai privilegi della loro classe di appartenenza, gli aristocratici o gli industriali che un tempo accumulavano ricchezza entro un quadro di economia morale e capitalismo familiare.

Per capire a fondo la transizione in atto verso una nuova forma di disuguaglianza non bastano più le analisi aggregate degli economisti, occorrono anche indagini di carattere etnografico che facciano comprendere i meccanismi con cui essa opera e si riproduce. In questo sforzo di comprensione è di grande aiuto la ricerca sul mondo dei ricchi (hnwi, l’acronimo sta per high-net-worth individuals) e dei super ricchi (uhnwi, ovvero ultra-high-net-worth individuals) condotta da Karoline Knowles, professoressa di sociologia nell’Università di Londra, Goldsmith. La studiosa, che ha condotto ricerche in diverse città del mondo (Londra, Hong Kong, Pechino, Seul, Addis Abeba), nel suo ultimo libro, Serious Money. Walking Plutocratic London (Penguin, 2022), si concentra ancora una volta sulla città di Londra.

Non traggano in inganno i suoi riferimenti, per lo più letterari: la descrizione delle passeggiate londinesi di Virginia Woolf, il perdersi come metodo di indagine di Walter Benjamin, il romanzo londinese di Iain Sinclair, del newyorkese Teju Cole e dello scrittore palestinese Raja Shehadelh. Il libro è piuttosto il risultato di una ricerca etnografica condotta da una «ricercatrice nomade», come si autodefinisce l’autrice. L’interesse del libro sta nel fatto che dall’indagine condotta da Charles Booth a Londra a cavallo tra Ottocento e Novecento, le ricerche urbane su Londra hanno riguardato principalmente il sottobosco dei poveri e solo raramente hanno prestato attenzione a come vivevano i ricchi. Questo è anche il caso di una nota serie televisiva prodotta da Bbc2 nel 2012 che ha ricostruito i cambiamenti storici avvenuti in sei strade dell’area centrale di Londra.

La ricerca di campo di Knowles prende l’avvio dal quartiere orientale di Shoreditch (che faceva parte anche della serie televisiva citata) e, passando attraverso la City, si dirige verso i quartieri Mayfair, Belgravia e St James’s, per poi approdare a Kensington, Chelsea e Richmond. Nel libro si mostra come in queste aree durante il governo Thatcher le banchine portuali e gli edifici di edilizia pubblica siano stati lasciati decadere per essere poi abbattuti, lasciando i suoli liberi per la speculazione edilizia privata e per le sedi finanziarie delle grandi banche: le torri di vetro progettate dagli architetti super star dalle quali in qualche occasione si può anche essere sfrattati senza uno stock di azioni e senza trattamento di fine rapporto, come racconta il «banchiere» (uno degli intervistati così identificato per garantire l’anonimato) alle dipendenze di Lehman, ma potendo contare sempre su una moglie con un buon stipendio, una casa di proprietà e una nuova banca pronta ad accoglierti.

La bolla in cui vivono i super ricchi con case da 100 milioni di sterline e patrimoni di diverse decine di miliardi di sterline è piena di altri personaggi che l’autrice indica come «Vip Service» (il personale di servizio che deve soddisfare le richieste assurde dei Vip continuando sempre a sorridere), e «Big Spender» (il cliente che può spendere cifre astronomiche in una sola sera, che «può ottenere qualsiasi cosa voglia»). Il «denaro – scrive Karoline Knowles – conferisce ai ricchi il tipo di autorità che ti consente di umiliare coloro che sono al tuo servizio», ad esempio inoltrando allo chef dell’albergo il menu del cane o chiedendo al maggiordomo di stare sveglio fino al mattino inoltrato per rispondere a qualsiasi improvvisa richiesta.

Il denaro conferisce ai ricchi il tipo di autorità che consente di umiliare coloro che sono al proprio servizio

Nel libro vi sono descrizioni minuziose delle strategie perseguite per costruire o consolidare la propria «bolla», senza trascurare anche le strategie matrimoniali e i divorzi multimiliardari. L’elenco delle richieste avanzate in una causa di divorzio occupa tre pagine e comprende oltre 100.000 sterline per trattamenti e prodotti di bellezza l’anno, spese per mantenimento del personale di servizio per oltre 300.000 sterline l’anno, 50.000 sterline per il pranzo di Natale, cifre da capogiro per l’acquisto di gioielli, scarpe, vestiti e altro ancora, in un crescendo di lusso e di oggetti del tutto superflui ma presentati come assolutamente necessari. L’elenco delle borse è particolareggiato: 58.000 sterline annue per due borse di lusso; 23.000 per sei borse di uso quotidiano (!) e 35.000 per dieci borse clutch.

Le donne intervistate hanno nella stragrande maggioranza dei casi lasciato il lavoro, dedicandosi alla formazione dei figli come futuri plutocrati. Il loro valore non si misura nel guadagnare denaro, ma nel coltivare e perpetuare uno stile di vita lussuoso, nel produrre e riprodurre privilegi: «il successo dei loro figli è la misura del loro valore, la metrica con la quale sono giudicate», nota l’autrice. Ovviamente alcune donne dispongono di propri patrimoni o hanno redditi da lavoro elevati, ma esse costituiscono l’eccezione.

Nella parte finale del libro emerge con chiarezza come l’autoisolamento dei super ricchi, la deumanizzazione di coloro che sono al loro servizio, lo scarto tra il merito e i talenti effettivi da un lato e il modo in cui essi sono remunerati, l’addestramento al successo impartito precocemente ai figli, l’imperativo della forma fisica, si traducono in uno stato di perenne ansia e angoscia che viene tenuto sotto controllo attraverso una attività spasmodica fatta di routine di lavoro, sportive, artistiche, consumo di oggetti di lusso. Il capitalismo dell’infelicità, verrebbe da dire.