Alla storia di ebrei e musulmani ha dedicato buona parte del suo lavoro di ricerca lo storico David Wasserstein, ebreo nato a Londra da una famiglia emigrata da Krakowiec (al confine attuale tra Polonia e Ucraina) dopo la fine della Prima guerra mondiale. Il padre Abraham era nato a Francoforte sul Meno ed era cresciuto nella Berlino di Weimar prima e di Hitler poi. Dopo aver vissuto qualche anno anche in Palestina, aveva compiuto studi classici al Birkbeck College di Londra. David Wasserstein, oggi docente alla Vanderbilt University di Nashville, nel Tennessee, si è formato a Oxford (filologia classica, orientalistica araba ed ebrea). Dopo avere insegnato allo University College di Dublino (1978-1990), fino al 2004 è stato professore di Storia dell’Islam all’Università di Tel Aviv. A Vanderbilt è professore di Storia e di Studi ebraici presso il Department of History.
ANGELA DE BENEDICTIS Il 5 ottobre scorso, appena prima che scoppiasse la guerra in corso, era stato ucciso un giovane di 19 anni, Labib Dhamidi, durante un raid di coloni israeliani nel villaggio palestinese di Huwara. Ne sono seguiti scontri tra palestinesi ed esercito e polizia israeliani. Ma già da qualche tempo Huwara era diventato uno dei luoghi a più alta tensione della Cisgiordania occupata. Il 26 febbraio un palestinese aveva sparato, uccidendoli, a due coloni israeliani che attraversavano in macchina il villaggio, motivando l’azione come risposta a una precedente incursione dell’esercito di Israele a Nablus. Subito dopo Huwara era stata attaccata da centinaia di coloni israeliani che avevano incendiato case e auto e ucciso un palestinese. Già all’inizio dello scorso agosto tu ne hai parlato come di un pogrom. Per quale motivo? Definiresti pogrom anche il massacro di Hamas del 7 ottobre?
DAVID WASSERSTEIN Nonostante la ferocia e il carattere terrificante, e bestiale, del massacro di Hamas, non se ne può parlare come di un pogrom. Pogrom è invece la prima parola che mi è venuta in mente quando ho sentito parlare di Huwara. C’erano tutte le condizioni: una folla inferocita che semina violenza, fuoco e distruzione; il terrore amplificato dall’oscurità; negozi, case e automobili date alle fiamme; centinaia di feriti (ma – come per miracolo – un solo morto: un uomo, Sameh Aqtash, che era appena tornato dal volontariato per aiutare le vittime del terremoto in Turchia). Sentii subito orrore e vergogna, ero scioccato, e come me molti ebrei e israeliani. Quello shock, un paio di giorni dopo, ha preso forma in un’opera composta in gran parte da citazioni di altri testi, ma le cui due fonti principali sono il Deuteronomio e i versi che Haim Nahman Bialik, considerato il poeta nazionale di Israele (sebbene sia morto nel 1934, dunque prima della fondazione dello Stato di Israele), compose dopo l’orrendo pogrom subito dagli ebrei di Chisinau/Kishinev nel 1903. Ma anche Huwara è stato un pogrom, benché le vittime non fossero ebrei, nel ruolo classico, quasi stereotipato, fissato dalla storia e dalla storiografia per oltre venticinque secoli. Ora gli ebrei erano “padroni in casa loro”, come ha affermato un ministro del governo israeliano, determinato a dimostrarlo. Huwara non è la prima atrocità perpetrata da ebrei, sionisti o israeliani. La purezza delle armi (tohar ha-neshek) può essere l’ideale predicato e insegnato a generazioni di combattenti israeliani, ma nella pratica è lungi dall’essere universale. Lo storico Benny Morris ci ha fatto capire che la Guerra d’Indipendenza del 1948 non era così pura come ci avevano insegnato per quarant’anni. Anche la Guerra dei Sei giorni arrivò con il suo carico. Negli anni Ottanta anche Sabra e Shatila, pur senza la diretta partecipazione israeliana, portavano un’impronta israeliana. Qana, nel 1996, lasciò un’altra macchia. L’elenco non è breve. L’episodio di Huwara non sarà certamente l’ultimo della lista. Eppure è una cosa profondamente scioccante. E diversa. Un pogrom.
ADB Tu stesso hai sottolineato come anche il maggiore generale Yehuda Fuchs abbia usato la parola pogrom per i fatti di Huwara dello scorso febbraio. Dunque si può utilizzare la categoria di pogrom in una situazione del genere? E, a tuo avviso, in che modo la storia delle parole aiuta – o ostacola – la comprensione storica?
DW I pogrom sono diversi da altri tipi di atrocità. Ma differiscono poco tra loro nella fisionomia e negli effetti. Il pogrom di Chisinau/Kishinev del 1903, a cui facevo riferimento poc’anzi, non fu il primo evento del genere a portare l’etichetta di pogrom, ma, a differenza di tanti altri, riesce ancora a farci rabbrividire. Certamente Nella città del massacro (ed.it. Il Melangolo, 1992) la poesia di Bialik, ha un ruolo nella capacità di continuare a suscitare le nostre emozioni, sia per la sua qualità letteraria sia per il tema che tratta. Ogni lettore di letteratura ebraica contemporanea conosce questa poesia e sa riconoscerla immediatamente.
Nel suo studio sul pogrom di Chisinau/Kishinev, Steven Zipperstein sostiene che non tutti i pogrom, come non tutti i massacri, sono uguali. Non tutti hanno la capacità di colpirci allo stesso modo. Non tutti hanno un Bialik che ne scrive. Ma i pogrom differiscono per alcuni aspetti fondamentali da ciò che possiamo, in modo scioccante, etichettare come massacri ordinari. E differiscono tra loro anche in modi curiosi. Nel pogrom di Chisinau/Kishinev, ad esempio, persero la vita quasi cinquanta ebrei. Quel numero sbiadisce se pensiamo alle migliaia di persone uccise, ad esempio, nelle persecuzioni perpetrate dai cosacchi in Ucraina nel 1648 o – più vicini nel tempo e nello spazio – nel pogrom di Kiev del 1905 o nelle azioni antiebraiche successive al 1917 dei bolscevichi e di altri russi. I numeri non sono la caratteristica distintiva dei pogrom, e nemmeno necessariamente una di esse.
ADB Quali sono i pogrom cui pensi, in quanto storico?
DW Ad alcuni più o meno noti, al di là degli studi specialistici. Ad esempio, a Granada nel 1066: un massacro di ebrei che, secondo un cronista arabo, costò la vita a quattromila persone, oltre al visir ebreo del sovrano locale. A focolai di violenza antiebraica nell’Inghilterra del XIII secolo prima dell’espulsione. Alle devastanti rivolte antiebraiche in tutta la Spagna cristiana alla fine del XIV secolo, a partire dal pogrom del 1391. E quando non vediamo quel termine, pogrom, è comunque ciò che ci viene in mente mentre leggiamo i resoconti di altri eventi simili. Questi includono, ad esempio, i massacri antiebraici che accompagnarono – e ne furono parte integrante - la marcia dei primi crociati lungo la valle del Reno negli ultimi anni dell’XI secolo, nel loro cammino per liberare la Palestina dai musulmani, o l’attacco da parte di una folla inferocita contro gli ebrei di Alessandria nel 38 d.C. E, pure, gli attacchi agli ebrei provocati da storie immaginarie di ebrei che uccidevano – o sacrificavano – neonati o bambini cristiani, come quelli del supposto sacrificio di Simone di Trento, del 1475, caso molto studiato, i cui processi sono stati pubblicati a cura di Anna Esposito e Diego Quaglioni (Processi contro gli ebrei di Trento (1475-1478), I: I processi del 1475, Cedam, 1990). In questo scenario, gli ebrei come gruppo erano visti in quanto responsabili collettivi di tale massacro fittizio, paragonabile qui e quasi sicuramente influenzato dalla storia evangelica in cui i loro antenati presumibilmente assumevano per sempre per sé stessi e i loro discendenti la responsabilità della crocifissione di Gesù Cristo.
ADB Tu sostieni che vi è una sostanziale differenza tra pogrom e Olocausto. Puoi chiarire in che cosa consiste? E come pogrom non ha più un legame apparentemente esclusivo con gli ebrei?
DW Pogrom non si riferisce a un singolo evento accaduto in un momento specifico, ma può essere applicato a eventi estremamente diversi che si verificano, come abbiamo visto, in differenti momenti storici. In questo differisce dall’Olocausto che è, secondo le parole di Zipperstein, “legato al tempo e al luogo”. La parola “olocausto”, come nome comune, con una radice greca, sta a indicare un sacrificio che è stato interamente consumato. Il termine è oggi preso in prestito in espressioni come “olocausto nucleare”, riferendosi alla distruzione di tutta l’umanità, non solo di un gruppo etnico. Pogrom, al contrario, fornisce un termine generico conveniente per ciò che descrive. E anche l’Olocausto, con l’acquisizione o l’appropriazione nel XX secolo di uno specifico vincolo sul significato della parola, in realtà ha una sua storia, che risale a ben oltre il nazismo, e continua fino ai giorni nostri, sebbene con il contributo del XX secolo sempre, necessariamente e inevitabilmente presente.
ADB Torniamo a Huwara. In che cosa si differenzia dagli altri pogrom?
DW La differenza tra Huwara e i pogrom ordinari sta in due aspetti. In primo luogo, le vittime non erano ebrei. In secondo luogo, gli autori del reato non erano non ebrei. Si tenga presente che lo storico inglese H.A.L. Fisher, scrivendo nel 1935, dice che il tardo impero bizantino “era caduto in disgrazia a causa di un pogrom contro la colonia francese e italiana a Costantinopoli” (A History of Europe, I, Ancient and Medieval, Houghton Mifflin, 1935, p. 238). Utilizzando in questo modo il termine, Fisher riprendeva un uso estensivo che si era sviluppato già a partire dal 1880 per includere nel suo campo di riferimento generale gruppi piccoli, indifesi, minoritari o poveri.
Questa storia è significativa, poiché quasi immediatamente dopo il pogrom di Huwara un illustre storico americano scrisse un articolo sul “Wall Street Journal” dal titolo La rivolta di Huwara non fu un “pogrom”, in cui sfidò l’uso della parola, dicendo ai suoi lettori che quanto accaduto era stato brutale, ma non un pogrom (G. Troy, The Huwara Riot was not a “Pogrom”, “Wall Street Journal”, 3.3.2023). “Chi invoca questa falsa analogia”, scrive Troy, “sia per malizia che per mera ignoranza, si appropria dei traumi storici degli ebrei per infiammare una situazione incendiaria”. Egli conclude il suo articolo dicendo che l'uso della parola pogrom per descrivere ciò che è accaduto a Huwara “afferma crudelmente che le vittime, un tempo innocenti, del bigottismo sono diventate esse stesse dei bigotti prepotenti”. Molti saranno d’accordo con lui. A mio parere, tale passività di fronte alla violenza della maggioranza contro la minoranza, per non parlare della partecipazione attiva ad essa, serve solo a confermare, sia alle vittime sia agli osservatori esterni, il tacito sostegno delle forze dell’ordine a coloro che perpetrano la violenza.
ADB Quali riflessioni può suggerire la fondamentale divergenza di valutazione tra te e Troy su Huwara come pogrom?
DW Vi è un problema che rimane aperto. La lessicografia, lo studio e la storia delle parole, non è solitamente vista come un campo entusiasmante, tranne che per il lessicografo. Ma le parole hanno una storia, e la storia non è solo interessante ed emozionante. Riguarda anche noi, che cosa pensiamo e che cosa facciamo. A volte preferiamo non sapere, ma dobbiamo sapere. Come disse un ebreo circa duemila anni fa, conoscerai la verità e la verità ti renderà libero.
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