È iniziato l’ottavo anno di papa Francesco, ed è tempo di bilanci, per quanto provvisori, del pontificato, come quello importante e autorevole appena pubblicato da Lucio Brunelli. È un esercizio più difficile e delicato del solito, in questa situazione di interruzione della vita normale, anche per la Chiesa: il settimo anniversario dell’elezione di Francesco, il 13 marzo 2020, ha coinciso con uno dei momenti più acuti della presa di coscienza della gravità della pandemia.

Alla solitudine istituzionale del papato si somma la sospensione delle udienze, dei viaggi e di un normale funzionamento del governo centrale della Chiesa – oltre al rinvio (già annunciato) di importanti appuntamenti nel calendario del cattolicesimo globale che erano programmati per il 2021 e 2022.

Ma forse un certo stato di sospensione o stallo per Francesco era già iniziato qualche mese prima del lockdown. È chiaro che questo pontificato non è parte di un’epoca di cambiamento, ma di un più sconvolgente cambiamento di epoca. Francesco sta fornendo un contributo sostanziale alla tradizione vivente della Chiesa: un nuovo modo di attualizzare gli insegnamenti del Concilio Vaticano II (1962-65); la de-ideologizzazione dell’insegnamento morale cattolico, specialmente sulle questioni della sessualità; un nuovo passo nel rapporto con l’Islam e il perno verso l’Asia con l’apertura verso la Cina; una nuova incarnazione del cattolicesimo nella sua dimensione globale e post-europea; una nuova urgenza e attenzione per le questioni ambientali e socio-economiche in una vera e propria sfida al sistema capitalistico neoliberale.

Tuttavia, è giunto il momento di chiedersi quale sia il rapporto tra la profonda lettura spirituale che Francesco fa del cattolicesimo nel mondo contemporaneo e le prospettive di riforma della Chiesa di lungo periodo: ossia se il discernimento gesuitico di papa Francesco stia avviando anche un aggiornamento ad intra della Chiesa, oppure se queste aperture siano limitate alla Chiesa ad extra, lasciando largamente immutato il sistema ecclesiastico bloccatosi nel periodo post-Vaticano II.

Quanto accaduto negli ultimi sei mesi circa, attorno a due questioni, pone alcuni interrogativi sulle possibilità di questo pontificato di incidere con decisioni sulla struttura istituzionale della Chiesa. La prima: dopo il Sinodo per l’Amazzonia dell’ottobre del 2019, a inizio febbraio Francesco ha pubblicato l’esortazione apostolica Querida Amazonía, che non rifiuta le proposte approvate a larga maggioranza dal Sinodo circa il sacerdozio (tra cui la possibilità di ordinazione di uomini sposati) e il ruolo delle donne (accesso a ministeri istituzionalmente riconosciuti dalla gerarchia), ma neanche le fa proprie. Questa “terza via” di Francesco va letta nel contesto del capitolo quarto di Querida Amazonía, che esprime una teologia del sacerdozio chiaramente e inspiegabilmente pre-Vaticano II.

La seconda questione: all’inizio di aprile il papa ha nominato una seconda commissione di studio sul diaconato femminile, che succede alla prima commissione (2016-2019), il cui rapporto finale peraltro non è stato (ancora?) pubblicato. Una buona parte dei nuovi membri sono noti per la loro opposizione al diaconato femminile; sorprendentemente, tutti vengono dall’Europa e dall’America del Nord, e nessuno dalle chiese emergenti nel Sud del mondo, neanche dall’America Latina, nonostante Francesco avesse annunciato la seconda commissione proprio durante il Sinodo per l’Amazzonia.

Due sono gli elementi di contesto per questa fase di stallo in cui il pontificato potrebbe essere entrato. Da un lato c’è la pressione a cui Francesco è stato sottoposto nel corso di questi anni da parte della parte conservatrice e reazionaria dell’episcopato e del collegio cardinalizio, una situazione simile a quella che dovette fronteggiare Paolo VI al concilio Vaticano II. Nel corso del 2019 cardinali di curia come Robert Sarah o ex curiali come Gerhard Mueller e Raymond Burke hanno elevato il tono delle minacce di una correzione pubblica del papa. In questi ultimi mesi, dopo il Sinodo per l’Amazzonia, queste minacce sembrano essere rientrate.

Dall’altro lato c’è l’idea di riforma della Chiesa in Francesco: riforma spirituale e culturale, in buona parte a norme invariate. Questa idea era presente già all’inizio del pontificato. Ma ora alcuni nodi sono venuti al pettine, come il ruolo delle donne nella Chiesa (diaconato femminile) e il sacerdozio (celibato, ma anche la formazione nei seminari). Francesco ha una visione di cambiamento nella Chiesa che richiede il lungo periodo: ma per chi conosce le situazioni di certe Chiese locali (per esempio in Germania, Stati Uniti, Australia) non è chiaro se ci sarà una Chiesa cattolica da riformare nel lungo periodo, senza un cambio di passo nel breve nel rapporto con le donne e sulla disciplina del sacerdozio. Solo per fare un esempio: nel solo anno 2018, circa duecentomila donne (dati ufficiali) hanno formalmente lasciato la chiesa cattolica in Germania.

C’è un problema di Chiese locali profondamente divise al loro interno, ma anche un problema di rapporto tra Francesco e il governo centrale della Chiesa. Il “consiglio dei cardinali” nominato nell’aprile 2013 ha perso tre membri (su nove) nel 2018, e non è stato rinnovato o aggiornato in maniera significativa. I ripetuti rinvii della pubblicazione della costituzione di riforma della Curia romana parlano delle difficoltà di esprimere la visione di Chiesa di Francesco nel quadro delle leggi canoniche, ma anche in una ecclesiologia del governo centrale. È evidente la riluttanza a servirsi di un gruppo di teologi che sostenga la sua visione della Chiesa: il gap iniziale tra Francesco e il mondo della teologia (non solo quella romana) sembra essersi accentuato.

La riforma della Chiesa cattolica non può passare sul corpo delle Chiese locali con un papalismo d’altri tempi. Ci sono situazioni locali o nazionali in cui neanche un papa dotato di piglio imperiale potrebbe mutare la situazione di paralisi (come per esempio, negli Stati Uniti). Tuttavia, in altre situazioni ci sono processi di riforma ecclesiale in corso che non possono riuscire senza un sostegno da parte del pontificato di Francesco. Ma al momento – specialmente dopo il Sinodo sull’Amazzonia e il primo periodo post-sinodale – non è chiaro quale tipo di sostegno possano trovare. In Italia c’è la riluttanza della Cei ad aprire un Sinodo per l’Italia. Ma ci sono nella Chiesa globale processi in corso rispetto ai quali il pontificato dovrà fare delle scelte. Tra questi, il “cammino sinodale” in Germania (dopo quello epocale del 1972-1975) e il concilio plenario in Australia (il primo dal 1937) rappresentano un test per il pontificato, anche perché questi eventi di vita ecclesiale fanno parte del tentativo di riforma della Chiesa alla luce dello scandalo degli abusi sessuali: una riforma anche istituzionale, che difficilmente potrà attendere i tempi lunghi dei cambiamenti delle mentalità.