Era un mercoledì, il turno del mattino contava 274 minatori che da poco meno di un’ora si erano piazzati nelle vene del Bois du Cazier, per scavare carbone fino a quota meno 975 metri: un chilometro sottoterra. Un errore umano, norme di sicurezza approssimative e un pozzo della cui chiusura si discuteva da almeno trent’anni provocarono l’immane tragedia. Si salvarono solo in 12 e ogni speranza di trovare qualcuno in vita svanì definitivamente alle 3:25 del 23 agosto, dopo quindici giorni, quando la squadra di salvataggio, di cui faceva parte l’italiano Angelo Berto, risalì in superficie da quota -1035 con negli occhi il terrore di quanto aveva appena visto: «Tutti cadaveri!».
Marcinelle è comunemente riconosciuta come la catastrofe degli italiani all’estero. Non fu la prima né l’ultima, né quella con il maggior numero di vittime italiane, ma rappresenta probabilmente il punto di non ritorno, uno dei tasselli più dolorosi del variegato mosaico della migrazione italiana nel mondo.
Stabilire quante siano realmente state le morti bianche in fondo alle miniere belghe non può che essere, ancora oggi, un mero esercizio di approssimazione. Questo perché, nonostante esistano cifre dell’epoca, la morte di un minatore doveva avvenire in flagranza di decesso. Infatti, il più delle volte, almeno nei primi anni del dopoguerra, i decessi in ospedale, benché la causa fosse ascrivibile al lavoro in miniera, non venivano registrati come morti sul lavoro. Per una ragione molto semplice: evitare di pagare gli indennizzi alle famiglie. Stando alle cifre ufficiali pubblicate nel 1952, gli incidenti nelle miniere belghe avevano raggiunto quota 127.392, tra fondo e superficie, con un bilancio finale di 178 morti e 1.457 inabilità permanenti. Solo nel 1952, i morti sarebbero stati 43 e gli incidenti, rispetto all’anno precedente, 39.553. Nel febbraio del 1956 il ministro belga per gli Affari economici, Jean Rey, rese note le cifre delle morti, che dal gennaio del 1947 al dicembre del 1955 erano state 1.164. Tra queste, le vittime italiane furono 435. Inoltre, dal primo gennaio 1956 fino al 7 agosto dello stesso anno, i morti italiani sarebbero stati poco più di venti. In realtà, i numeri della mattanza furono ben più alti.
Dal 1841 al 1965 furono circa 170 all’anno – nel primo ventennio quasi 300 –, per un totale complessivo di oltre 21.000 in poco più di un secolo. Tra le cause principali, ci furono le frane e l’asfissia legata a un’eccessiva presenza di grisù, un gas che si forma tipicamente nelle miniere di carbone e di zolfo, costituito prevalentemente da metano e altri gas.
La prima concessione per poter estrarre carbone dal Bois du Cazier nel distretto minerario di Charleroi fu accordata nel 1822. Occorre attendere il volgere del secolo per assistere alle prime forme di meccanizzazione del processo estrattivo, e gli anni Quaranta del Novecento per avere la circolazione automatica dei vagoni di trasporto e i primi sistemi di ventilazione di profondità. Parimenti, furono realizzate le prime unità abitative, visto il crescente afflusso di manodopera straniera. Nel maggio del 1954 furono avviati i lavori di scavo di un terzo pozzo a sezione allargata che, successivamente, avrebbe raggiunto quota 1.175 metri, consentendo di raddoppiare la capacità estrattiva del sito, ben al di sotto dei nuovi e più moderni bacini nel Nord del paese.
E fu proprio in uno di quei pozzi che un insieme di concause consegnò alla storia dell’emigrazione italiana, e non solo, una delle sue pagine più amare.
Erano da poco scoccate le otto del mattino dell’8 agosto 1956. Gli uomini del turno si erano piazzati come formiche, a quasi un chilometro sottoterra. Una scintilla elettrica innesca la combustione d'olio ad alta pressione e scoppia un incendio. Questo, sviluppandosi inizialmente nel condotto d'entrata d'aria principale, riempie presto di fumo tutto l'impianto sotterraneo. Come detto, i superstiti saranno solo 12. Gli altri 262 – 136 italiani,95 belgi, e poco più di una trentina di altre nazionalità– non avranno scampo.
L’insieme di queste umanità trasmise il senso di una tragedia dalle dimensioni globali. Al pozzo, per giorni e settimane, restarono aggrappate le speranze e le sofferenze di centinaia di mogli e figli, di decine di piccoli villaggi sparsi per il mondo. Marcinelle in quel momento non fu solo il simbolo della fragilità su cui si era eretto il benessere del Belgio, ma l’amara conferma di quante migliaia di stranieri avevano contribuito a realizzarlo. La tragedia accomunò italiani e belgi, annullando le differenze tra nazionalità. Marcinelle, come già Monongah e Dawson, e Mattmark poi, fu anche e soprattutto una tragedia della provincia italiana.
Marcinelle in quel momento non fu solo il simbolo della fragilità su cui si era eretto il benessere del Belgio, ma l’amara conferma di quante migliaia di stranieri avevano contribuito a realizzarlo
Per cosa sono morti 136 italiani a Marcinelle e come loro tutti gli altri, sia prima (oltre mille), sia dopo (qualche centinaio) quell’8 agosto? La risposta non può che essere il carbone. Questo arrivò realmente in Italia? Già nel 1951 alla gran parte delle classi dirigenti italiane fu chiaro che il carbone promesso non sarebbe mai giunto nelle quantità prestabilite. Molte volte non arrivò affatto. Questo perché il Belgio, in tutta la vicenda, non fece altro che considerare la manodopera, straniera in generale e italiana in particolare, come una merce da importare ogni qualvolta ne avvertisse il bisogno.
Quando l’Italia provava a rivendicare gli accordi sottoscritti, il Belgio si rivolgeva verso nuovi disperati disposti a scavare il carbone in condizioni che rappresentarono il vero vantaggio del settore: ritardare, come nel caso di Marcinelle, gli adeguamenti in termini di sicurezza, se non addirittura la dismissione di alcuni impianti d’estrazione. Infatti, lo stesso Bois du Cazier, concepito nel 1882 (patrimonio dell’Unesco dal 2001), venne modernizzato solo dopo quell’8 agosto, nonostante beneficiasse, come tutto il comparto dal 1945, della quota parte dei 31 miliardi dello Stato. Inoltre, tra il 1950 e il 1955, gli utili dell’intero settore furono stimati in 15 miliardi, con dividendi netti distribuiti di oltre 4 miliardi. In altre parole, invece di nazionalizzare il settore, si nazionalizzarono le perdite.
Gli italiani, assieme agli altri, furono vittime di questo ingranaggio e della rincorsa frenetica all’energia da parte di un modello produttivo che trovò, in essa, la sua ragion d’essere. Il fordismo, intrecciato a doppio filo con la migrazione – elemento a basso costo del sistema produttivo –, determinò questo tipo di catastrofi, inizialmente meri incidenti di percorso che alla lunga si trasformarono, come a Marcinelle, in processi acceleratori della storia. Molto, se non tutto, cambiò dopo: i sistemi di sicurezza, gli stessi processi produttivi e, in maniera non sempre uguale, il modo in cui i paesi ospitanti percepirono le vittime sacrificali del processo di cambiamento. I media – su tutti ancora i giornali e in maniera crescente la radio e la televisione – giocarono un ruolo determinante. Allargando gli orizzonti della narrazione, incisero come mai prima sull’opinione pubblica e, mentre lo facevano, inconsapevolmente, cambiarono anche loro.
Da lì in avanti i macaronì non furono guardati allo stesso modo. Italiani e belgi erano morti gli uni a fianco agli altri, senza distinzioni, nella più grave sciagura del Belgio contemporaneo
Dopo l’8 agosto 1956 i macaronì non furono guardati e giudicati più allo stesso modo. Italiani e belgi erano morti gli uni a fianco agli altri, senza distinzioni, nella più grave sciagura che il Belgio contemporaneo ancora oggi ricordi.
Marcinelle rappresenta la storia dell’emigrazione in Belgio, nella misura in cui tutto ebbe inizio con lo scambio minatori-carbone. Il contributo dei 136 minatori, le sofferenze più intime degli orfani (417, di cui 224 italiani) e di quanti furono toccati direttamente o indirettamente dalla tragedia, probabilmente, costituiscono ancora oggi l’elemento quasi fondante della convivenza e dei tanti successi che la comunità italiana in Belgio ha finora raggiunto. La storia di quelle vittime, in fondo, non ha cambiato solo quella della comunità rimasta in Belgio: probabilmente, più di ogni altra, cambiò la stessa storia dei luoghi della provincia italiana che il più delle volte assurse alla ribalta delle cronache nazionali. Ma soprattutto, diede la spinta finale e decisiva alla sanzione, proprio a Roma nel 1957, all’art. 48 del trattato che istituì la Comunità economica europea nel modo in cui fu formulato: la libera circolazione dei lavoratori all’interno della Comunità è assicurata al più tardi al termine del periodo transitorio. Essa implica l’abolizione di qualsiasi discriminazione, fondata sulla nazionalità, tra i lavoratori degli Stati membri, per quanto riguarda l’impiego la retribuzione e le altre condizioni di lavoro.
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