Trentotto anni fa. L’Italia è avvolta da un tepore anomalo per il periodo, in particolare le regioni centro-settentrionali, dove l’inverno pare proprio non aver voglia di arrivare. Dicembre è entrato nella sua terza decade e neve e gelo stentano a prendere in mano le redini meteorologiche dello stivale. Benché già in atto, il cambiamento climatico è ancora lontano dai vertiginosi numeri degli anni duemila e il tema è discusso soprattutto in ambito scientifico. Non c’è percezione di ciò che accadrà negli anni a venire e ancor meno ve ne sarebbe stata dopo ciò che a breve sarebbe successo.

Nel fine settimana del 22-23 dicembre 1984 correnti più fredde di origine balcanica irrompono sull’Italia portando un sensibile abbassamento delle temperature: l’inverno è finalmente arrivato. Niente di anomalo in realtà, si tratta infatti di una normale irruzione d’aria fredda i cui effetti si spingono fino al 28-29 dicembre. Al Nord temperature massime di poco superiori allo zero, mentre al Centro si registrano, nel giorno di Santo Stefano, -6 °C a Firenze e -2 °C a Roma; anche la neve fa la sua timida comparsa a quote piuttosto basse. Fa freddo, ma senza eccessi.

Qualcosa però sta succedendo, qualcosa di eccezionale. A 30 chilometri d’altezza un flusso d’aria caldissima si porta nel cuore del vortice polare stratosferico scindendolo in due parti, un evento naturale, ma potentissimo, denominato “sudden stratospheric warming”. Il collasso del vortice polare in alta quota comporta la rottura anche di quello troposferico, posto cioè nella zona di atmosfera dove si decidono le sorti meteorologiche di gran parte dell'emisfero nord. La regia adesso si sposta ancor più in basso, nel vicino Atlantico, dove le conseguenze dello sconquasso polare si traducono nella formazione di un poderoso anticiclone che si spinge, tra il 31 dicembre e il 2 gennaio, fino alle Isole Svalbard dove si registrano temperature molto più alte della norma. Come un terremoto, l’alta pressione provoca uno “tsunami” d’aria artica che si riversa verso l’Europa e verso l’Italia: inizia ufficialmente una delle più intense ondate di freddo del ventesimo secolo.

Venti gelidi investono lo stivale provocando un crollo delle temperature e portando, a più riprese, diffuse nevicate anche in zone dove i fiocchi sono un’assoluta rarità. Tra il 4 e il 9 gennaio si osservano nevicate un po’ su tutta Italia: tra i 20 e i 40 cm a Firenze, 20-30 cm a Bologna, 20-25 cm a Roma, fino a 40-50 cm nell’entroterra collinare sardo; neve anche a Cagliari, Napoli (fino a 20 cm nelle parti più alte della città), Capri e addirittura su parte della costa settentrionale siciliana. Nevicate eccezionali vengono segnalate anche a Barcellona, Nizza, in Marocco e in Algeria. Nel frattempo, complice la copertura nevosa e le prime schiarite, il gelo prede il sopravvento, soprattutto al Centro Nord: -15 °C a Bolzano, -26 °C nell’alto Mugello, -23 °C a Cortina, -14 °C a Udine, -13 °C a Bologna, -11 °C a Verona, -10 °C a Firenze. Molti fiumi congelano, tra questi l’Arno, il Po e l’Adige, così come i canali di Venezia.

Il forte irraggiamento notturno, favorito dalla neve che ricopre generosamente oltre metà della nazione, trasforma il Paese del sole nel Paese del ghiaccio

Potrebbe già bastare, ma questa storica pagina della meteorologia è scritta soltanto per metà. Nei giorni successivi, grazie a un temporaneo aumento della pressione, il cielo torna sereno su buona parte d’Italia; il forte irraggiamento notturno, favorito dalla neve che ricopre generosamente oltre metà della nazione, trasforma il Paese del sole nel Paese del ghiaccio. Temperature minime impensabili vengono raggiunte in molte località di pianura, facendo tornare nella mente di molti il gelo eccezionale di 29 anni prima (febbraio 1956). Milano -14 °C con una massima, il 10 gennaio, di -6,5 °C, Firenze -23 °C, Brescia -19 °C, Verona -18 °C, Udine -13 °C, Perugia -12 °C, Piacenza -22 °C, Roma -11 °C, Torino -13 °C, Bolzano -17 °C, Vicenza -20 °C. Valori meno estremi, ma sempre anomali, anche sul Sud Italia dove, a partire dal 12-13 gennaio, qualcosa comincia a cambiare. I venti si dispongono dai quadranti meridionali in seguito all’approfondimento di un vortice di bassa pressione sulla Corsica che da lì a poco evolverà in un vasto sistema depressionario capace di coprire un’area che va dal deserto algerino alla regione alpina.

L’evento dell’evento, la più duratura e copiosa nevicata del ventesimo secolo, sta per abbattersi sulle regioni settentrionali. È il pomeriggio del 13 gennaio, la Val padana è ancora stretta nella morsa del gelo, mentre il cielo è avvolto da una coltre nuvolosa color rosa pallido, quando cominciano a cadere i primi fiocchi di neve. Il gelo dei giorni precedenti è stato eccezionale, ma non lo è certo la neve, del resto siamo nella Pianura padana di quasi 40 anni fa, abituata e ben preparata al fenomeno, un fenomeno che oggi, a causa del cambiamento climatico, sta diventando sempre più raro.

I fiocchi cadono sulle campagne e sulle città padane, dapprima sono sparsi e piccoli, poi tendono a infittirsi e a diventare più ampi, coprendo tutto con un candido manto. Il 14 gennaio la coltre nevosa raggiunge i 20-25 cm a Milano, spessori simili si osservano anche in altre città di pianura. Siamo di fronte alla degna conclusione dell’ondata di freddo? In teoria sì, considerando che nei giorni precedenti la Val padana era stata risparmiata dalle nevicate più abbondanti, ma il destino ha ben altri progetti. Il 15-16 gennaio le temperature aumentano sensibilmente in tutta l’Italia centro-meridionale per l’azione di venti di Scirocco sempre più impetuosi e carichi di pioggia. Il freddo pare ormai sconfitto, ma non nel catino padano, dove trova un solido e impenetrabile rifugio grazie alla protezione offerta da Alpi e Appennino settentrionale. I venti meridionali, miti e umidi, scorrono sul lago d’aria gelida scaricando ingenti quantità di neve su quasi tutto il Nord Italia, una nevicata che da gioiosa diventa opprimente, a tratti quasi brutale. La precipitazione insiste per altre 60 ore circa, sebbene con notevoli differenze territoriali dovute ai numerosi microclimi che caratterizzano la Val padana. 3.600 minuti di bufera che si accaniscono con particolare veemenza su Emilia, Lombardia, Veneto e Trentino.

I venti meridionali, miti e umidi, scorrono sul lago d’aria gelida scaricando ingenti quantità di neve su quasi tutto il Nord Italia, una nevicata che da gioiosa diventa opprimente, a tratti quasi brutale

Sembra non voler finire più, centimetri si sommano a centimetri, tutto si blocca, è necessario chiamare esercito e volontari per spalare la neve. Mai a memoria d’uomo si era vista una nevicata così estesa e abbondante: 50-60 cm a Vicenza, 70-80 cm a Bologna e Biella, 80-90 cm a Milano e Brescia, 90-100 cm a Piacenza, 110 cm a Como, 120 cm a Varese e Belluno, 140 cm a Trento, per citarne alcuni. Nelle città, non attrezzate a un simile carico di neve, si registrano alcuni crolli e fortissimi disagi alla circolazione, nello stesso tempo, però, il paesaggio assume connotati unici e meravigliosi. Il 17 gennaio, quando la furia degli elementi si placa, telecamere, macchine fotografiche e macchine da scrivere consacrano su pellicola e su carta un evento meteorologico storico e forse irripetibile.

A distanza di quasi quarant'anni, nel lontano, futuribile e caldo 2023, la “nevicata del secolo” viene percepita quasi come una leggenda, un racconto fantastico che narra di un mondo che non esiste più. Quanto successe quell'anno è in effetti il risultato di una combinazione di eventi che sfuggono in gran parte alle statistiche e ai trend. Tuttavia, è lecito pensare che oggi gli effetti sarebbero diversi. Il cambiamento climatico, così come la grande nevicata, è diventato opprimente e a tratti brutale, ma senza il lato positivo che contraddistinse quei giorni straordinari.