Il 14 ottobre 2011 esce L’amica geniale, primo volume di una quadrilogia scritta da Elena Ferrante, pubblicata in Italia tra il 2011 e il 2014 e definita da questo stesso titolo complessivo. Nel corso di 12 anni, questo romanzo in quattro parti è diventato un grande successo globale, con venti milioni di lettori e cinquanta traduzioni.

L’amica geniale racconta la tormentata amicizia tra due donne, Elena e Lila, nel corso di sei decenni: dal 1950 al 2010, dalle avventure infantili in un quartiere sottoproletario di Napoli ai grandi intrecci storici del boom e della globalizzazione. Questo affresco storico e generazionale, questa vicenda duale e nazionale di emancipazione femminile è leggibile come un epos del trauma e della sua riparazione creativa. La storia è infatti messa in moto dallo sconfinamento delle due amiche dallo spazio patriarcale, e dalle conseguenti punizioni e violenze. Al tempo stesso, il trauma della misteriosa sparizione di Lila a 66 anni muove sin dall’inizio un’altra energia narrativa: quella della quest di Elena e della sua voce narrante, alla ricerca di una vita spettralizzata da troppi eventi estremi.

Il successo e l’attualità de L’amica geniale hanno origine dal fatto che la quadrilogia intercetta un profondo bisogno contemporaneo di narratività, di storytelling. Il trauma femminile del nostro mondo si incarna infatti non in un pensiero filosofico o saggistico ma attraverso questa storia: parola che ritorna infatti in tre dei quattro titoli della quadrilogia (Storia del nuovo cognome, Storia di chi fugge e di chi restaStoria della bambina perduta). La quadrilogia si fonda inoltre su un evento umano universalmente vissuto e sentito, un evento finalmente visibile e narrativamente valorizzato: l’amicizia tra due donne. Il bisogno di storytelling è quindi anche un bisogno di grandi archetipi, di nessi che colleghino i nostri immaginari e siano in grado di arginare la grande frammentazione del mondo contemporaneo.

Il potere dello storytelling nella quadrilogia sta nel suo realismo: nella capacità al tempo stesso geniale e popolare di mettere in scena un mondo corale di personaggi, relazioni e classi sociali. L’intensità di questa rappresentazione è tale da spingere i lettori non solo a commuoversi per le vite di quei personaggi, appunto, e a divorare quell’ipotesi di mondo (la famosa Ferrante Fever), ad abitarlo come se fosse reale, ma anche a ricavare da esso un sistema di valori e di pratiche esistenziali, un codice per interpretare l’oggi.

Il potere dello storytelling nella quadrilogia sta nel suo realismo: nella capacità al tempo stesso geniale e popolare di mettere in scena un mondo corale di personaggi, relazioni e classi sociali

È un realismo femminista del sottosuolo e delle sue ambiguità. Nella quadrilogia, le microstorie dei destini umani sono ricostruite attraverso le esistenze delle donne e i loro strati geologici di dominio e violenza. Al tempo stesso, questo universo femminile è ambivalente, perché è scaturito dalla relazione morale e immorale con l’altra. È questo il senso ultimo della polifonia nel meccanismo narrativo. La storia prende sistematicamente forma dall’eco delle parole di Lila in quelle di Elena: è una polifonia nella quale l’alleanza si intreccia con l’invidia. La storia è quindi anti-edificante e anti-patetica.

Questo realismo dicotomico, verosimile e sperimentale, mette in scena contemporaneamente la solidità di un universo corale e la sua disgregazione interna, generando così nel lettore sia l’immedesimazione empatica in quel mondo sia il disorientamento nel labirinto di quel mondo.

Un’altra ragione del successo de L’amica geniale sta inoltre nel suo universo napoletano multiculturale e translingue: nel mettere in scena cioè lo spazio mentale e metalinguistico di una subalterna madrelingua napoletana (Elena, con la sua voce narrante), che riesce a collocarsi al centro del mondo attraverso il desiderio di tradurre quell’universo nella lingua unitaria e colonialista del proprio Paese, l’Italia. L’abiezione femminile si sovrappone a quella sociale del sottoproletariato napoletano, in un’intensità emotiva costantemente sprigionata da una strategia linguistica fatta di risonanze ed echi del dialetto nell’italiano. La violenza del dialetto e l’originaria appartenenza di Elena ad esso risuonano all’interno della lingua italiana e neutra, attraverso un gioco di inserti, andamenti paradialettali e rari prelievi.

L’attualità de L’amica geniale sta infine nel suo rappresentare Napoli e l’Italia come un repertorio di storie della nostra ultramodernità globalizzata: un classico dei nostri tempi. Perché nell’intreccio di locale e globale in cui oggi viviamo, Elena e Lila parlano di noi. La quadrilogia evoca cioè nel lettore le metamorfosi oscure, le questioni aperte, i grovigli emotivi delle grandi trasformazioni di oggi attraverso una messa in scena quasi provocatoria di Napoli e della sua oggettiva particolarità.

Se i lettori italiani de L’amica geniale, attualmente quantificabili in due milioni e mezzo, hanno avviato il successo globale di Ferrante, non altrettanto unanime è stata invece la critica accademica e giornalistica del nostro Paese. La quadrilogia mette indirettamente in discussione i confini che una certa parte del mercato editoriale, del giornalismo e dell’università ha disegnato in Italia intorno alla scrittura femminile: una gabbia dorata oppure un ghetto, ma in entrambi i casi un sottoprodotto. La capacità di dare forma, invece, con il grande affresco generazionale della quadrilogia a un punto di vista femminile ibrido – al tempo stesso fortemente individuato e corale, sentimentale e politico – ha rappresentato uno sconfinamento della gabbia e del ghetto.

La quadrilogia mette indirettamente in discussione i confini che una certa parte del mercato editoriale, del giornalismo e dell’università ha disegnato in Italia intorno alla scrittura femminile

In questo oltrepassare i limiti di ciò che è tradizionalmente concesso alle scrittrici, in questo mettere in discussione le gerarchie interne al campo letterario e il punto di vista dal quale raccontare le storie, sta infatti la causa prima di molte reazioni avverse alla quadrilogia: puramente reattive, scomposte, se non addirittura fobiche, talvolta imbarazzanti per la povertà delle argomentazioni.

La seconda ragione sta invece in un pregiudizio estetico e ha a che fare con la persistenza nel campo letterario italiano di un culto talvolta rigidamente sperimentale (vetero-avanvanguardista) dello scandalo o dello scarto stilistico oppure della sua variante apparentemente opposta e in realtà complementare, quel calligrafismo che individua la scrittura artistica nella prosa d’arte, nel periodo e nella frase elegante. Entrambe queste interpretazioni integraliste dello stile puntano a una eccellenza elitaria del gusto ed etichettano come mediocri e/o ossequienti alla logica del mercato tutte quelle forme di scrittura e quei generi che esprimono, per un verso, una complessità scaturita dal mondo creato dalla scrittura e non da premesse di stile o di ideologia e che, per l’altro, cercano il coinvolgimento e la comprensione di un vasto pubblico.

Il punto di vista delle scrittrici è in Ferrante connesso al suo pseudonimato, vale a dire la scelta di firmare le proprie opere e di intervenire pubblicamente solo con uno pseudonimo, senza mai rivelare quindi la propria identità anagrafica. In un Paese come l’Italia, in cui un costume maschile diffuso nel giornalismo, nell’editoria e nell’università ha delegittimato e delegittima tuttora le nostre scrittrici e la loro visibilità, Elena Ferrante ha scelto di essere una di loro. Noi non possiamo sapere con certezza assoluta quale sia la verità anagrafica, sappiamo però che per due decenni di scrittura appartata – dal primo romanzo L’amore molesto (1992) all’uscita del primo volume della quadrilogia (2011) e al suo successo – Ferrante ha scelto di contare di meno e non di più. Non solo nelle sue narrazioni, ma anche nei suoi tanti articoli e scambi epistolari (inclusi nella Frantumaglia), Ferrante ha infatti scelto di mettere in forma il mondo da un punto di vista femminile. Sul piano letterario, sul piano comunicativo (pronominale, sintattico, linguistico) e sul piano sociale, ha affermato e ha dimostrato che lo sguardo di una donna è decisivo.