Non dovrebbe essere un anniversario degno di particolare memoria, avvezzi come siamo alla politica-spettacolo sguaiata attuale, dove anche i grandi attori di ieri apparirebbero oggi come impacciati debuttanti. Eppure l’apparizione nella “Terza Camera” di Vespa nel lontano 13 ottobre 1997 di Massimo D’Alema ripreso tra le pentole intento a preparare un risotto ha qualcosa di memorabile.
D’Alema è seduto nel salotto di Porta a Porta insieme a Ferruccio De Bortoli. Il tema della serata è una cosa serissima e poco televisiva come la riforma costituzionale in discussione alla Bicamerale, presieduta dallo stesso D’Alema. Lo stile di conduzione di Vespa è noto: un mix di politica e intrattenimento, per cui gli ospiti intenti a discutere animatamente sui destini del Paese all’improvviso si trovano a dover condividere la passione con qualche celebrity del mondo dello spettacolo, perfidamente invitata a rendere più digeribili i massimi sistemi allo spettatore semi-assonnato della seconda serata. A risvegliare il pubblico quella sera non sono però le gambe della Parietti, ma il siparietto tele-culinario del segretario del Pds in casa di amici, con seguito in studio di schermaglia con lo chef Vissani intorno agli ingredienti più giusti (dadi, aglio, funghi, prezzemolo, cipolla, pomodori, vino bianco) e alla ricetta migliore (rosolatura, fuoco lento ecc.). Il tutto per una buona mezzora.
Complice Vespa e con il consenso divertito di D’Alema, la performance è confezionata da Simona Ercolani, ancora oggi una delle più importanti produttrici televisive, moglie del portavoce Rondolino. Rondolino era per D'Alema quel che oggi Casalino è per Conte: portavoce-spin doctor con la funzione primaria di far fare sempre bella figura al capo. Insomma il risotto dalemiano rientrava in una precisa strategia di maquillage politico volto ad addolcire l’immagine, notoriamente un po’ asprigna, del “lìder Massimo”. È innegabile che sia stato un colpo di genio, rimasto negli annali delle cronache politiche della neonata Seconda Repubblica. Il fatto fece scalpore, e scatenò le penne corrosive del giornalismo italiano. Francesco Merlo, allora al "Corriere della Sera", commentava sarcastico:
«La politica italiana? Come il risotto di D’Alema. Lo scopo era quello di mostrarci il “vero” D’Alema: cuoco virile, semplice e sanguigno quanto il suo cibo prediletto. In fondo la politica, come diceva De Gaulle, è “la cucina dei partiti” e già D’Alema aveva cercato, per tutta la trasmissione televisiva, di far credere che la sua politica è appunto ricca, ariosamente speziata, armoniosamente assortita, sincera, sana, non pretenziosa e pure stabile, come un buon risotto ai funghi. E invece è un D’Alema che sa di cipolla fritta e parmigiano grattugiato, di brodo di dado e di pentole consunte, di frattaglie e di avanzi quello che abbiamo gustato lunedì sera a Porta a Porta» ("Corriere della Sera", 15 ottobre 1997).
E Sebastiano Messina su "la Repubblica":
«L'uomo che sta cesellando il semipresidenzialismo appare impietosamente immortalato da una telecamera […] mentre cucina un risotto d' emergenza. La scena è drammatica: l' uomo che ha battuto Berlusconi, domato Fini e piegato Bertinotti piange tagliando le cipolle (titolo in sovraimpressione: "Che commozione!"), il presidente della Bicamerale, che a Montecitorio invocava il doppio turno, chiede a voce alta "un coltello grosso, un coltellaccio, una mezzaluna ci vorrebbe per il prezzemolo", il leader che ha stregato il Pds rivela ai presenti il segreto del soffritto: "Invece di mettere la cipolla a sfriggere, io la lascio a bollire così perde il suo afrore» ("la Repubblica", 15 ottobre 1997)
Insomma i piani della politica, dell’informazione, dell’intrattenimento, che tutti sempre auspicano doversi tenere distinti e il più possibile distanziati, si amalgamano in un risotto che ha più il sapore del messaggio distrattivo che di trasmissione di conoscenze utili al telespettatore a farsi un’idea delle poste in gioco nella riforma costituzionale.
A distanza di quasi un quarto di secolo dalla sceneggiata, non è un caso che dei punti discussi quella sera dai vari ospiti dentro e fuori lo studio non rimanga la benché minima memoria, ma che dell’abilità culinaria di D’Alema si ricordi che terminò in un bel piatto fumante, esibito a favore della politique politicienne di quelle settimane. A distanza esatta di dodici mesi, il 21 ottobre 1998, D’Alema, diventerà il primo ex-comunista presidente del Consiglio (sospettato di aver complottato con altri a far cadere il primo governo dell’Ulivo). Di sicuro la limatura delle ruvidità della sua immagine pubblica non fu coronata da successo. Nonostante il risotto e nonostante altre comparsate televisive promozionali (nel febbraio 1999 da capo del governo nella trasmissione “C’era un ragazzo…” con Gianni Morandi) D’Alema è rimasto sempre fedele al suo personaggio scontroso fino alla sua… “rottamazione”.
Ma, tra la Prima e la Seconda Repubblica, non è stata l’unica star del firmamento dello spettacolo politico nazionalpopolare. E il suo risotto televisivo non rappresenta lo sdoganamento della spettacolarizzazione della politica, anche di quella “di sinistra”. Negli annali ci sono gli show televisivi dei primi anni Sessanta di un Togliatti che si accapiglia con il giornalista Mangione in Tribuna politica, le sfuriate in diretta del presidente Pertini sulle macerie del terremoto dell’Irpinia, la conversione alla politica-spettacolo del socialismo craxiano. Ma qui siamo già in zona “riflusso”, nel cui clima post-sbornia sessantottina nascerà la televisione commerciale e vedrà il sorgere del vero demiurgo dello spettacolo politico moderno, Silvio Berlusconi. E quella sì che fu una svolta epocale. Il risotto di D’Alema è semmai la dimostrazione che la politica pop è ormai diventata un’inevitabile cifra dell’agire politico, di qualsiasi politico, di qualsiasi orientamento politico.
Ma se nel 1997 vedere D’Alema spadellare in cucina suscitò tutt’al più qualche chiacchiericcio, oggi nell’era dei social sono le dirette facebook di Salvini alle prese con culatelli e mojito a imprimersi nell’immaginario collettivo. Con una differenza sostanziale: D’Alema non fu miracolato politicamente dal risotto ma nemmeno screditato, mentre oggi Salvini viene osannato dai like dei suoi fan, ma seppellito sotto le risate e i meme dei suoi avversari sulla rete. Se un tempo la televisione faceva solo bene ai politici, oggi la rete può essere deleteria. Per questo c'è chi se ne tiene a debita distanza, spadellando altri risotti o coltivando le proprie vigne lontano dalle telecamere.
[Si ringrazia Francesca Maria Cadini di Rai Teche]
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