Questo articolo fa parte dello speciale Meno parlamentari: sì o no?
Siamo chiamati a un voto che è l’inevitabile conseguenza di un accordo politico tra Pd e Movimento 5 Stelle, un accordo indispensabile al fine di escludere le destre sovraniste e populiste dal governo e procrastinare il più a lungo possibile le prossime elezioni politiche. Un accordo sicuramente utile per il Paese nelle attuali circostanze e forse anche in futuro, se nel frattempo avanza il processo di “romanizzazione dei barbari”. Dei 5 stelle, anzitutto, ma anche dei “barbari” delle destre: di fronte alle contorsioni dei loro ex alleati e alle fatiche del Pd, dovrebbero cominciare a capire la differenza che intercorre tra propaganda populista e azione di governo.
Comprendo dunque che il Pd cerchi di trovare nella riforma costituzionale (e nel "sì" al referendum) un significato riformista e segnalo il più esauriente tentativo sinora pubblicato, a firma di Carlo Fusaro, La riduzione dei parlamentari. Un’innovazione marginale, ma non si può dire No: è utile e tiene aperta la porta a ulteriori riforme. Ma sarà percepito, questo significato riformista, dall’opinione pubblica, o sarà sopraffatto dal predominio del "sì" populista, del voto contro la “casta”? Tutte le previsioni danno un travolgente successo del "sì" negli elettorati dei maggiori partiti, di governo e di opposizione, e non sarà certo l’esitante "sì" del Pd a cambiare il senso del voto. (Avrei forse votato "sì" se si fosse formato un ampio fronte di tutte le forze favorevoli a una riforma costituzionale seria, inclusa Forza Italia, un fronte che avesse reso evidente i due diversi significati del "sì").
Che fare, allora? Votare "no"? Ma anche il "no" è un voto ambiguo, perché in esso confluiranno sia conservatori costituzionali, e io non lo sono, sia riformisti ostili a questa riforma inutile, se non dannosa. Quel che farò il 20 settembre è recarmi al mio seggio e infilare nell’urna una scheda bianca, come protesta contro una riforma che non affronta nessuno dei veri problemi che una riforma costituzionale dovrebbe affrontare. Avevo partecipato con entusiasmo alla Commissione bicamerale di D’Alema (1996-97) e votato "sì" al referendum sulla riforma costituzionale del 2016. Ma quella era una riforma che affrontava, in modo certamente assai imperfetto, alcuni dei principali problemi di adattamento della nostra Costituzione a tempi radicalmente mutati rispetto all’immediato dopoguerra. Questa gabella come riforma costituzionale il più grezzo degli slogan anti-casta.
Non saranno molti a recarsi al seggio e votare scheda bianca, quando è più comodo starsene a casa, se non è abbinato il voto regionale. Mi sembra però l’unico modo di protestare contro una riforma sbagliata – anche se non così dannosa come molti sostenitori del "no" paventano – e insieme evitare le ambiguità insite in un voto sia positivo sia negativo.
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