Il 29 luglio 1976 Tina Anselmi viene nominata ministra del Lavoro e della Previdenza sociale nel terzo governo Andreotti, prima ministra donna nella storia della Repubblica italiana. Una data che rappresenta una tappa fondamentale nella storia dell’emancipazione femminile in Italia, un percorso lento e sofferto verso una parità di genere che ancora oggi non si può certo dire sia un traguardo raggiunto nella famiglia, nel lavoro e nella vita politica.
Nei quarant'anni successivi a quella nomina, la quota di donne ministre è sempre stata minoritaria; mai una donna è stata presidente della Repubblica né presidente del Consiglio dei ministri, e in alcuni ruoli chiave dei governi le donne sono state finora assenti o quasi.
Tina Anselmi nella sua autobiografia, Storia di una passione politica, scritta nel 2006 insieme ad Anna Vinci, invita alla perseveranza: «Io ripeto sempre, a cominciare dalle mie nipotine, come lo dicevo alle filandiere del Veneto nel Dopoguerra, che nessuna vittoria è irreversibile. Dopo aver vinto possiamo anche perdere, se viene meno la nostra vigilanza. Noi non possiamo abdicare, dobbiamo ogni giorno prenderci la nostra parte di responsabilità, perché solo così le vittorie che abbiamo ottenuto diventano permanenti» (p. 87).
Dopo aver vinto possiamo anche perdere, se viene meno la nostra vigilanza. Dobbiamo ogni giorno prenderci la nostra parte di responsabilità, perché solo così le vittorie che abbiamo ottenuto diventano permanenti
La storia di Tina Anselmi è quella di una donna perseverante sin dall’adolescenza. Di una ragazza di diciassette anni partigiana, staffetta della Brigata autonoma Cesare Battisti, coraggiosa e forte, che dall’esperienza della guerra, della morte e della lotta contro il nazifascismo prese il coraggio per un impegno politico fondato sui valori della libertà e della democrazia. Quella storia ci racconta di una donna nata nel 1927 a Castelfranco Veneto e poi vissuta per gran parte della sua vita attiva a Roma, al fianco di Moro e Zaccagnini, suoi punti di riferimento insieme a De Gasperi. Ci racconta di una nomina a ministra meritata e motivata da un lungo percorso politico: sindacalista, incaricata nazionale dei giovani della Dc nel 1950, nel 1951 nel Consiglio nazionale del partito, eletta deputato nel 1968, Sottosegretaria al lavoro nel quinto governo Rumor e nel quarto e quinto governo Moro in continuità da marzo 1974 alla nomina a ministra. Un percorso che proseguirà con alti e bassi: la riforma sanitaria, la legge sulla parità nel lavoro, la riforma del diritto di famiglia ma anche gli anni di piombo, il rapimento Moro a pochi giorni dal suo secondo incarico ministeriale alla Sanità, gli attentati, le uccisioni che colpirono la classe dirigente di allora, fino all’incarico da lei considerato il più difficile a capo della Commissione parlamentare sulla P2 assunto il 9 dicembre 1981 e terminato il 10 luglio 1983, ben oltre i sei mesi inizialmente previsti dalla legge che la istituiva.
Nel libro La P2 nei diari segreti di Tina Anselmi (Chiarelettere, 2016), sono riprodotti gli appunti che lei prendeva nel corso delle audizioni in commissione e negli incontri successivi, a partire da quello con Nilde Iotti il 30 ottobre 1981, in cui l’allora presidente della Camera le propose di assumere la presidenza della Commissione inquirente. Ma riemergono alla memoria grazie alle pagine dei sui diari anche documenti come l’intervento di Tina Anselmi alla Camera dei deputati il 9 gennaio 1986, oltre ai contributi di Dacia Maraini, Giovanni Di Ciommo (segretario della Commissione di inchiesta) e Giuliano Turone, il magistrato che insieme a Gherardo Colombo dispose la perquisizione che portò al ritrovamento dell’elenco degli aderenti alla P2, oltre 900 nomi riportati in appendice al libro. Quei diari ci riportano a tratti un mondo surreale, per quanto tristemente noto.
L’immagine che traspare è quella di una persona laboriosa, sobria, dedicata; quel genere di persona che fa la differenza attraverso l'impegno e il lavoro, intenta a bere un calice amaro: guardare in faccia e ascoltare le voci di uomini – pochissime le donne – che raccontano una storia parallela alla vita democratica, coperta, segreta, fatta di sotterfugi, di doppi giochi, di commistione tra potere politico, finanziario, imprenditoriale, giudiziario; guardare in faccia l'ombra, i depistaggi, le bugie, le macchine del fango, per portare alla luce i rischi per lo Stato. Suonano forti le parole dette alla Camera il 9 gennaio 1986 a poco meno di tre anni dalla conclusione dei lavori della Commissione: la Loggia P2 è stata un sistema sofisticato e occulto di controllo, condizionamento e manipolazione della democrazia.
La potremmo immaginare stanca, smarrita e disillusa, invece la ritroviamo salda nei suoi principi, a perseverare nello sforzo e nell’impegno, a spronare le persone alla determinazione, anche in politica
La potremmo immaginare stanca, smarrita e disillusa, ma invece la ritroviamo salda nei suoi principi, a perseverare nello sforzo e nell’impegno, a spronare ancora negli anni a seguire le persone alla determinazione, anche in politica. Fede e ragion di Stato e un percorso lungo nelle istituzioni, di cui con ogni probabilità vedeva e si teneva salda ai punti di forza pur non negando i punti di debolezza. Emblematiche a questo proposito le parole di apertura dell’intervento parlamentare che sottintendono quanto e cosa Tina Anselmi si aspettasse davvero dalla classe politica che la stava ascoltando: «Onorevole presidente, onorevoli colleghi, signor ministro, voglio esordire osservando che la vicenda della Loggia massonica P2 è stata per lungo tempo al centro dell’attenzione dell’opinione pubblica [...]; com’è altrettanto indubbio che, successivamente alla relazione, nessuno dei temi politici che in essa venivano enucleati e analizzati è stato oggetto di ulteriore riflessione e dibattito».
Quei diari hanno il grande pregio di raccogliere le parole delle persone e cercare di dare il nome, che hanno, alle cose. Uno sforzo preciso, che richiama doti di coerenza tra pensiero e azione e appunto di perseveranza nell’azione politica anche davanti a un potere declinato al maschile che offre di sé la peggiore delle immagini.
Il valore che Tina Anselmi riconosceva alla libertà della persona e alla possibilità di autodeterminazione appare declinato nella sua vita politica con la moderazione, la laicità e l’accettazione della diversità di opinioni e di visioni del mondo, in una regolata e rispettosa dialettica democratica. Una fiducia nella forza delle istituzioni democratiche incrollabile e una buona dose di gioia di vivere: «Io non sono una che rimugina sul passato. O si lamenta. Fortunatamente la gioia di vivere mi è sempre stata alleata. Ieri come oggi. Chissà, oggi anche di più. Oggi che sono vecchia» (Storia di una passione politica, cit., p. 142).
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