Sei candidati sindaci e 24 liste di sostegno, il grosso (20 formazioni) concentrato sulle due figure principali della competizione per il rinnovo dell’amministrazione comunale di Bari: il sindaco uscente Antonio Decaro (Pd), presidente dell’Anci, e lo sfidante Pasquale Di Rella, centrodestra, con un passato nel centrosinistra e nel Pd (è stato assessore e nell’ultimo mandato anche presidente del Consiglio comunale, per 4 anni). Di Rella è la vera sorpresa di questa campagna elettorale: è uscito dalla maggioranza del sindaco Decaro un anno fa e, dopo aver annunciato una corsa da indipendente, ha prima accettato e poi vinto la sfida delle primarie lanciata dal centrodestra.

Forza Italia, Lega, Fratelli d’Italia e i fittiani di Direzione Italia sono stati a lungo in trattative per designare un candidato sindaco. Non riuscendo a trovare un’intesa hanno concordato sull’esperienza (nuova per loro) delle primarie: mal sopportate dai forzisti, sono state poi estese anche a Lecce e Foggia. Nonostante il passaggio di Salvini a Bari per sponsorizzare il proprio candidato e una Lega in ascesa, a spuntarla è stato l’indipendente Di Rella: forte, si capisce, di una capacità di mobilitazione che gli altri (neofiti delle primarie) non hanno avuto. Per di più, la Lega non è riuscita a vincere nessuna delle tre primarie, sui tre capoluoghi di provincia interessati, e questo ha avuto un peso nell’avvicendamento del segretario Andrea Caroppo, sostituito da un commissario.

Gli altri quattro candidati sindaci sono dotati, ciascuno, di una sola lista di sostegno: la pianista Elisabetta Pani (M5S), la consigliera uscente ex centrodestra Irma Melini, il rappresentante dei Pensionati e invalidi Francesco Corallo, l’esponente storico della sinistra barese ed ex sindacalista Usb Sabino De Razza.

La partita vera, tuttavia, anche a causa della poderosa mobilitazione dei rispettivi candidati consiglieri, sembra concentrata nel confronto tra Di Rella e il sindaco uscente. Decaro è stato eletto nel 2014, quasi controvoglia, quando era parlamentare. Fu Matteo Renzi, di cui è stato il proconsole pugliese, a volerlo a Palazzo di città. L’allora primo cittadino Michele Emiliano, in attesa di trasferirsi alla presidenza della Regione, condivise la scelta, anche per l’antico rapporto che lo legava a Decaro, suo vecchio assessore comunale.

La gestione del sindaco uscente ha avuto un effetto visibile soprattutto nel cuore di Bari, con un concreto impulso al recupero dei più prestigiosi contenitori culturali della città. Dopo il già restaurato teatro Petruzzelli, Decaro si è adoperato per il Piccinni e per la trasformazione in sala polifunzionale di quel singolare teatro sul mare che è il Margherita. Ora è pronto per essere restituito alla città il vicino ex Mercato del pesce. Ha inoltre fornito un’infrastruttura utile come il ponte Adriatico (a cavallo di due assi di scorrimento) ed è stato attento alle istanze sociali. 

Il punto debole di Bari restano le periferie, soprattutto quelle più problematiche, cioè i quartieri distanti e separati dal centro della città (in senso fisico e per vari chilometri). Per tutti basterebbe citare l’esperienza di Enziteto, una specie di cupo satellite in tanti aspetti simile al vecchio Cep San Paolo (che finalmente ora dà segni di rivitalizzazione). Per dire: in entrambi i casi, i residenti non dicono andiamo in centro, dicono andiamo a Bari. Poi c’è il sempre problematico rione Libertà, pieno di immigrati e giovani coppie ma pure ad alto tasso criminale.

Decaro, nel suo programma, non trascura il centro, e ai quartieri dedica un capitolo specifico: vorrebbe realizzare un sistema hub and spoke, mozzo e raggi, in cui ogni quartiere sia il centro di una specifica attività (culturale o sociale) e gli altri i raggi. Molto attenta alla dimensione dei quartieri è la candidata dei 5 Stelle che mira a fornire “servizi di prossimità” in ogni rione della città. Mentre Di Rella insiste piuttosto sulla riduzione dei costi della politica (l’ha imposta a sé negli anni passati e la prevede anche per il caso diventi sindaco, indennità dimezzata). Ma promette pure il dimagrimento della spesa pubblica: in un quinquennio vorrebbe tagliare di 50 milioni  le uscite correnti, per poterle restituire ai baresi sotto forma di alleggerimento fiscale. Sulla stessa falsariga vorrebbe premiare, con sgravi tributari, le aziende che assumessero manodopera locale.

Sul piano politico, quella di Bari è considerata una partita decisiva per le sorti della Regione. Se si guarda alla serie storica degli ultimi 25 anni (dall’elezione diretta dei sindaci e poi dei governatori) la Regione ha assunto nell’anno successivo al voto comunale lo stesso colore del sindaco eletto nel capoluogo. I due mandati del destrorso Simone Di Cagno Abbrescia (1995-2004) hanno preluso all’avvento dei due presidenti Distaso e Fitto. Identico ragionamento (e segno politico opposto) per le due consiliature di Emiliano, che hanno anticipato i due mandati di Nichi Vendola alla Regione. E così, nel 2014, l’elezione di Decaro al Comune ha “preannunciato” l’elezione a presidente di Emiliano l’anno successivo. Peraltro, sono 15 anni che Bari e la Regione sono appannaggio del centrosinistra, in una terra considerata di destra e nel 2018 diventata grillina (come tutto il Sud).

Ora è proprio il governatore in carica – assai preoccupato per la sua rielezione nel 2020, tanto più per le critiche aspre mossegli da varie parti del malmostoso centrosinistra pugliese – ad adoperarsi per la riaffermazione di Decaro. Per un verso Emiliano si è compiaciuto della presenza sul terreno di due suoi ex assessori comunali (Di Rella e Decaro), per altri si sta ingegnando in quella che appare una sua consolidata pratica politica e di acquisizione del consenso: allargare in ogni direzione il “centrosinistra classico”. La sua giunta, da sempre aperta all’Udc, nell’autunno scorso si è allargata verso la componente moderata presidiata dall’ex senatore forzista Massimo Cassano (barese, sottosegretario con Renzi, componente di Alfano). Un anno fa, poi, Emiliano ha installato al vertice dell’Acquedotto pugliese un imprenditore di successo. Chi? Il già citato Di Cagno Abbrescia, sindaco di Bari per un’invenzione di Tatarella, poi deputato di FI e nel 2009 avversario di Emiliano (da questo sconfitto al ballottaggio).

Con la cooptazione nella sua area di Cassano e Di Cagno Abbrescia – mal digerita pure da Decaro che rifiuta l’accordo politico, ma non ne disdegna i voti – Emiliano spera di allargare l’area della sua influenza e contribuire all’affermazione del centrosinistra al Comune di Bari. Sintesi: un ex assessore Pd ora fa il candidato sindaco del centrodestra; un ex sindaco e un ex senatore di Forza Italia ora si prodigano per rafforzare il centrosinistra. È l’istantanea di schieramenti politici in profondo rivolgimento. Il centrosinistra di Emiliano è sempre più simile a un agglomerato che si addensa attorno alle sorti di una persona, piuttosto che a un disegno politico. L’ultimo episodio è emblematico: un assessore regionale di Emiliano, Leo di Gioia, ha appena deciso di votare Lega alle europee. Il governatore tace, è imbarazzato, ma non rimuoverà l’assessore: nel 2020 gli serviranno i voti di tutti.

 

[Questo approfondimento sulle amministrative di maggio tocca le quindici città più popolose in cui si rinnovano i Consigli comunali: BariBergamoCesena, Ferrara, FirenzeFoggia, Livorno, Modena, PerugiaPescara, PratoReggio Emilia, insieme a Cagliari e Sassari dove, in ragione dell’autonomia dell’Isola, si voterà il 16 giugno.]