Questo articolo fa parte dello speciale Amministrative 2019
Con i suoi otto candidati a sindaco, Prato si presenta alle prossime elezioni amministrative in un quadro di grande frammentazione politica e di estrema incertezza per quanto concerne l’esito finale. Il sindaco uscente Matteo Biffoni, sostenuto da una coalizione formata dal Partito democratico, Più Europa e alcune liste civiche, ha come avversari principali il candidato della Lega Daniele Spada, sostenuto anche da Forza Italia e Fratelli d’Italia, e il candidato del M5S Carmine Maiorello. Senza possibilità di vittoria (a meno di esiti clamorosi), ma ovviamente con un ruolo importante per la composizione del Consiglio e soprattutto per il risultato finale (compreso un eventuale ballottaggio), le altre cinque candidature.
Tra i temi più dibattuti nella campagna elettorale vi sono senz’altro alcune criticità locali: dall’ampliamento dell’ospedale alla mobilità urbana, dallo smaltimento dei rifiuti allo sviluppo del turismo, solo per fare alcuni esempi. Ciò nonostante, anche per questa tornata elettorale, il caso di Prato è interessante soprattutto per la capacità, mostrata nel passato, di anticipare i trend nazionali, che le è valsa la definizione, un po’ retorica ma efficace, di “laboratorio a cielo aperto” delle trasformazioni globali. Al di là degli slogan di facciata e degli altri temi sul tappeto, pertanto, i candidati e le formazioni politiche che li sostengono sono costretti a confrontarsi sulle principali conseguenze di questi mutamenti, esemplificabili nella crisi strutturale del distretto industriale tessile, da un lato, e nelle profonde trasformazioni prodotte dai flussi migratori, dall’altro.
Si tratta di due aspetti - per altro strettamente intrecciati tra loro - che hanno oggi una portata enorme, visto che stanno ridefinendo l’identità economica, sociale e culturale di un intero territorio. La crisi del distretto e del nesso virtuoso tra sistema produttivo, comunità locale e politiche pubbliche, da sempre suo tradizionale punto di forza, non è una esclusiva conseguenza della globalizzazione ma ha radici lontane nel tempo, riconducibili a quella “metamorfosi della città tessile” (la definizione è di una ricerca effettuata in occasione del Piano strutturale di Bernardo Secchi) che evidenziava già negli anni Novanta segnali di forte discontinuità rispetto al passato per le basi economico-sociali e di mercato (con la diversificazione della struttura produttiva verso i servizi al manifatturiero e fuori dal manifatturiero), per i soggetti protagonisti del distretto (con la comparsa di figure estranee al modello tradizionale quali immigrati stranieri e lavoratori atipici), per la crescita della disoccupazione e per un progressivo abbandono del settore tessile da parte delle giovani generazioni. Tutti processi che poi la crisi globale ha ovviamente accentuato e velocizzato producendo profonde modifiche alla struttura economica e sociale del territorio.
Eppure, la discussione politica è rimasta bloccata per molti anni (in maniera assai sterile, per altro) intorno alla tesi di un presunto distretto “parallelo” composto da imprese a titolarità cinese da additare come causa principale della crisi della produzione locale, tesi sulla quale la coalizione di centrodestra di Roberto Cenni vinse le elezioni nel 2004, interrompendo l’egemonia politica che aveva fino a quel periodo caratterizzato i governi cittadini. La Giunta uscente, che ha vinto le successive elezioni nel 2009, ha provato a trattare la “questione cinese” (al 31.12.2018 si registrano 22.897 residenti di origine cinese, l’11,8% della popolazione complessiva e ben il 56,5% degli stranieri residenti) sostenendo la campagna di controlli sulla sicurezza nelle aziende promossi dalla Regione Toscana in seguito al tragico incendio nella ditta “Teresa Moda” e scommettendo sulla rigenerazione urbana dell’area nella quale è più elevata la presenza della popolazione cinese.
Nonostante la sua crisi, rimane tuttavia difficile a tutti i protagonisti dell’arena politica, per alcuni addirittura impossibile, abbandonare l’immagine del distretto e la sua categorizzazione; al contrario, si assiste a una sorta di mitizzazione di quello che il “modello” è stato in passato e se ne propone un rilancio, magari con formule nuove tipo la cosiddetta economia circolare. Ma lo si fa per lo più senza una reale analisi della situazione, ignorandone le sue radicali mutazioni, tanto da sembrare una sorta di mantra dietro il quale proteggersi o incoraggiarsi rispetto agli indicatori economici negativi, all’aumento della povertà e alla sempre maggiore precarizzazione del lavoro.
Parallelamente, il territorio è cambiato anche da un punto di vista demografico, con la presenza di molte persone di origine straniera (al 31.12.2018 si registrano 40.536 residenti di altre nazionalità, ovvero il 20,8% della popolazione complessiva) e con lo sviluppo di seconde generazioni di immigrati che, nate o cresciute direttamente sul territorio pratese, frequentano le scuole e conoscono la lingua italiana, differenziandosi dai padri per stili e aspettative di vita. Questo patchwork culturale ha di fatto modificato l’immagine della città e ha prodotto l’avvio di un non facile processo di re-identificazione – sia degli autoctoni sia degli immigrati – con un territorio sempre più multietnico nel quale il tema dell’integrazione sociale e culturale di queste persone rimane centrale per il futuro di Prato, anche per provare a superare il binomio paura/sicurezza con il quale è stato troppo spesso rappresentato dai media locali.
Per tali motivi, nonostante la politica locale preferisca parlare di altro, perché questi ambiti sono assai poco produttori di consenso, è sulle conseguenze e sulle prospettive future di questi due grandi processi di fondo – trasformazioni economiche e immigrazione – che si gioca la partita per la guida della città nei prossimi cinque anni.
[Questo approfondimento sulle amministrative di maggio tocca le quindici città più popolose in cui si rinnovano i Consigli comunali: Bari, Bergamo, Cesena, Ferrara, Firenze, Foggia, Livorno, Modena, Perugia, Pescara, Prato, Reggio Emilia, insieme a Cagliari e Sassari dove, in ragione dell’autonomia dell’Isola, si voterà il 16 giugno.]
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