Questo articolo fa parte dello speciale Amministrative 2019
Un decimale di punto può cambiare il corso della storia? Nel 2009 il sindaco uscente Giorgio Pighi rientrò nel municipio di Piazza Grande con il 50,1% ottenuto al primo turno. Cinque anni dopo, ossia cinque anni fa, il candidato Giancarlo Muzzarelli fu costretto al ballottaggio dal candidato del Movimento 5 Stelle perché al primo turno si era fermato a un soffio dalla maggioranza assoluta con il 49,7%. Apparentemente nulla di irrimediabile per il Pd e per Muzzarelli, che vinse al secondo turno con oltre il 63%. Apparentemente. Perché al ballottaggio andò a votare un modenese su due, il 45,3%.
Tre i punti fermi di quella elezione: per la prima volta Modena era simbolicamente contendibile, poiché mandare il candidato sindaco del Pd al ballottaggio non fu segnale di poco conto; i 5 Stelle non avevano un radicamento storico in città, ma portarono a casa un 16%, che divenne 36 al secondo turno; la frattura a sinistra divenne plurale, e la novità fu la partecipazione di una lista civica prevalentemente di sinistra ma non a sostegno di Muzzarelli. La guidava una assessora della Giunta uscente; ottenne il 7,1% dei voti, segnalando un problema politico nell’elettorato che era stato vicino al Pd.
Guardata con gli occhi dell’oggi questa descrizione ha un assente importante: non Forza Italia, un partito che è sempre stato attraversato da lacerazioni e personalismi, oltre che dalla presenza-vicinanza del senatore Giovanardi. No, l’assente è la Lega: cinque anni fa rimediò un sottilissimo 3,1%, oggi molti pronosticano un consenso decisamente superiore. Da cinque a dieci volte tanto, a seconda dei sondaggisti-aruspici che incontri per strada e nei bar. Ed è aperto il dibattito su quale sarà il primo partito in città. Con il Pd che punta a un risultato tra il 30 e il 35%.
La scena delle elezioni del 26 maggio è apparentemente simile a quella di cinque anni fa: un candidato uscente del Pd che si ripresenta con il sostegno di ben sei liste variamente collocate: dalla sinistra “utile” (lo slogan è loro) di ex Sel e pezzi di Mdp, fino al centro laico, allora indipendente. Tornano i Verdi, che avevano saltato un giro. Il sindaco Muzzarelli porta a casa un sostegno che non era scontato, e mette in campo molte decine di candidati, che dovranno usare le suole delle scarpe per cercarsi le preferenze. Non sarà certo solo nei circoli del Pd che troveranno i consensi necessari a salire in Consiglio comunale, perché gli iscritti sono rimasti solo ottomila.
I 5 Stelle hanno cambiato il candidato sindaco sfidante, la destra è a trazione turbo-leghista, con Forza Italia spaccata e ancora più in difficoltà. L’esperienza della lista civica, più o meno di sinistra, viene tentata nuovamente, avendo come temi portanti le critiche sulla cultura e sull’urbanistica. Presenta una candidata sindaca di 27 anni, con un brillante curriculum di studi lontano da Modena, ma incorpora anche politici di lunghissimo corso come l’ex presidente della Regione Lanfranco Turci.
Tutti pronosticano il ballottaggio tra il sindaco uscente e il candidato della destra; i 5 Stelle appaiono in ampia difficoltà: presentano una lista con meno candidati di quelli massimi, nel distretto delle ceramiche non sono neppure riusciti a essere sulla scheda in tutti i comuni. E, allora, si guarda al numero dei possibili renitenti al voto nel secondo turno e alla voglia latente di cambiare anche a Modena dopo 74 anni di ininterrotta amministrazione della sinistra. Come si sa, nell’urna le schede non hanno odore e tantomeno colore. Nell’urna si mescola il rancore degli elettori di destra contro i “comunisti” e il rancore della sinistra contro la sinistra.
L’ex roccaforte del Pci appare in difficoltà, anche per la debolezza di un partito sfibrato dalle divisioni interne, che ne fanno un fragile condominio di correnti nazionali e locali. In qualche caso, di gruppi di potere deboli e limitati. Da tempo, poi, è venuto a mancare il sistema di bilanciamento tra partito e amministrazione, che portava spesso a scontri piuttosto vivaci ma anche a una dialettica utile.
I partiti soffrono la perduta capacità di fare da mediatori tra i cittadini e la politica; certo, però, nemmeno il sistema di rappresentanza della società economica, sindacale, culturale vive un momento brillante. Resistono larghi pezzi di associazionismo e di volontariato. In questa prateria di una democrazia destrutturata come certi piatti della nouvelle cuisine, nascono comitati, ora spontanei ora manovrati da pochi attivisti. Questo è il caso, quasi sempre, dei problemi legati alla sicurezza (i furti nelle case, le rapine, gli scippi violenti), ma anche a temi ambientali. In cima a tutto rimane la prolungata campagna (politica e mediatica) contro gli immigrati, spesso identificati con aggettivi e sostantivi approssimativi, che confondono rifugiati, profughi e richiedenti asilo. Un problema che pochi o nessuno sanno gestire e al quale comincia ad aggiungersi il disagio sociale delle seconde generazioni. Ma siamo già quasi alla terza.
Lo sfibrarsi della rappresentanza si mostra anche in alcune vicende interne alle imprese: nelle pieghe delle leggi sono ammesse come regolari organizzazioni aziendali che consentono di gestire tutta la produzione attraverso società o cooperative esterne, talvolta “false” o irregolari, con minori salari e minori diritti. Insomma, la globalizzazione ha portato, per Modena e dintorni, maggiori esportazioni (la provincia è, in questo, una delle locomotive italiane) ma ha importato anche le prime esperienze di disgregazione di una lunga tradizione sindacale, cooperativa e, per molti versi, imprenditoriale.
Dopo dieci anni di crisi, nessuno ha il coraggio di gridare che la crisi è finita, che è solo un ricordo dal quale imparare. La disoccupazione è scesa di nuovo, anche quella giovanile (nel 2017 era al 13,4% contro il 34,7 dell’Italia), ma segnali di crisi, piccoli e grandi, vengono dai comprensori della moda e delle ceramiche. Sottotraccia rimane il prosciugarsi delle cooperative edilizie e il rosso (in bilancio) delle cooperative di consumo. L’incertezza rallenta i consumi delle famiglie, come anche gli investimenti di molte imprese. Il sindaco uscente ha messo in campo più di 250 milioni di investimenti, ma quando si semina non basta alzare la mano per cogliere il frutto, anche se un locale patto per il lavoro ha portato a un aumento degli occupati significativo.
La locomotiva dell’economia modenese rimane il settore meccanico variamente declinato, ed è su questo che l’Università di Modena e Reggio ha costruito il balzo degli iscritti, le ricerche più innovative, i progetti portatori (forse) di futuro, come un’auto elettrica che il prossimo anno sfornerà seimila macchine. A risultati davvero lusinghieri è arrivata, poi, la ricerca sulle staminali, con un riverbero anche produttivo.
Il raggruppamento della destra gioca la campagna elettorale sulla paura dell’uomo nero, la sinistra di Muzzarelli risponde per il necessario, poi tenta di far vincere la sua agenda delle cose fatte e di quelle in cantiere. Governare un comune è come far virare una portaerei: servono tempo e spazio. Alcuni progetti sono terminati, altri iniziati, ma non conclusi. Altri sono ancora al palo. La visione di una “città compatta”, racchiusa dentro le tangenziali, che torni ad attirare i giovani emigrati nei comuni attorno e, perciò, a costruire più asili e meno case protette per anziani, rimane una visione (ancora) incompiuta. Ma neppure la “città compatta” risolverà i problemi del traffico e dell’inquinamento prodotto dal traffico in questa camera senza finestre, ma solo feritoie, della pianura padana. Tutti vogliono meno inquinamento, nessuno crede allo slogan di meno auto. Allo stesso modo, vince l’altalena dell’urbanistica: no al consumo di suolo, sì a nuove case e a case nuove. Si finge di non vedere (spesso non si finge, ma non si hanno risorse a disposizione) i pezzi vuoti e sempre più fatiscenti della città, comprese le centinaia di abitazioni invecchiate ma senza più vecchi che le abitino.
Muzzarelli ha in tasca una carta che potrebbe rivelarsi vincente: tutti i candidati dovranno gestire spazi e comizi in mezzo ai turisti che affollano il centro storico. Sono di più, sono visibili, sono tranquilli. Arrivano più di prima, soprattutto rimangono più a lungo. Cosa li attira? I musei delle Ferrari, la fama di Massimo Bottura, l’enogastronomia. La lirica? Per il momento pare proprio di no. Un bel dì vedremo.
[Questo approfondimento sulle amministrative di maggio tocca le quindici città più popolose in cui si rinnovano i Consigli comunali: Bari, Bergamo, Cesena, Ferrara, Firenze, Foggia, Livorno, Modena, Perugia, Pescara, Prato, Reggio Emilia, insieme a Cagliari e Sassari dove, in ragione dell’autonomia dell’Isola, si voterà il 16 giugno.]
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