Il 14 dicembre 2001, in un singolare incidente d’automobile, moriva Winfried Georg Maximilian Sebald, che Piero Citati considerava «il maggiore tra gli scrittori della sua generazione: nel mondo, non solo in Germania». Era nato nel 1944 in un villaggio dell’Alpe Bavarese da una «normale» famiglia tedesca: il padre era un militare nazista, così convinto da essere trattenuto in Francia fino al 1947 come prigioniero di guerra. Rimpatriato, entrò nel nuovo esercito tedesco, restandovi fino al 1973, sicché la figura maschile di riferimento fu il nonno materno: una significativa affinità con Thomas Bernhard. La sua storia personale conosce un trauma quando a scuola vengono mostrate immagini dell’Olocausto. È il primo impatto con il destino tedesco, con la colpa tedesca che lo accompagnò per tutta la vita, filo rosso della sua opera. Per il disagio con la storia recente giunge a ripudiare il suo nome, troppo «nazionalsocialista», preferendo le due iniziali W.G. o, per gli amici, un più semplice Max.
Sebald fu autore raffinato e colto. La sua scrittura rivela un forte spessore culturale che ripropone un magma narrativo neobarocco. I suoi racconti e le sue poesie sono intrisi di memorie poetiche attinte dall’immenso repertorio romantico tedesco e inglese, e dalla tradizione letteraria della Germania «meridionale», cui rimase sempre legato. Nel primo distacco dalla Germania, nel 1966, per la Svizzera, Sebald mette in valigia le opere di tre autori, Gottfried Keller, Johann Peter Hebel e Robert Walser (cui dedicò un saggio struggente), cui aggiunge Mörike e Rousseau, rievocati in un racconto, Soggiorno in una casa di campagna, a cavallo tra il raffinato saggio critico e la narrazione.
Nella fitta trama di rinvii poetici, nei racconti – sempre costellati da foto in bianco e nero a integrazione e illustrazione dei testi – affiora un’autenticità, una ricerca genuina e una sofferenza distruttiva, inconsolabile, che può essere contenuta solamente dalla scrittura, che sorge da «quello strano disturbo del comportamento che costringe a trasformare tutti i sentimenti in parole scritte e che, pur mirando alla vita, riesce sempre con sorprendente precisione a mancare il centro». La sua poetica si fonda sull’esperienza centrale del romanticismo, ossia sulla Wanderung, sul viaggio autobiografico – spesso a piedi – nell’Alta Italia, tra le Alpi, in Corsica e in quella regione dell’Inghilterra centrale, Norfolk e Suffolk, che elegge a sua patria, o meglio a suo esilio, rifugio e nascondiglio, e che genera lo sfondo dei racconti più intensi, da Vertigini a Gli anelli di Saturno e a Austerlitz, il suo romanzo più inquietante, che è il suo capolavoro, che non si dimentica, che parla di un destino che opprime l’uomo senza redenzione. Il destino lo conduce alla ricerca della sua vera identità che non è quella creduta per anni. Austerlitz viene descritto con attenzione: alto, magro, molto somigliante a Wittgenstein, anche lui con un inseparabile zaino sempre in spalla; è un taciturno professore di storia d’architettura, assiduo studioso di quei luoghi che, verso la fine dell’Ottocento, tendevano ad assumere forme involontariamente visionarie, metafore perspicue del mondo fantastico in cui si muove il protagonista, che vive in una solitudine ascetica, in una specie di cella monastica, austeramente disadorna, spoglia di oggetti e di affetti. È un Odisseo della modernità alla ricerca di sé stesso, delle proprie tracce disperse. Il continente sommerso del passato gradualmente, dolorosamente riemerge con tutte le sofferenze e le irreparabili lacerazioni.
Tutta la sapienza di vita e di esperienza dell’autore si concentra in questo itinerario di ricerca, segnata da una angoscia assoluta, da una sorta di espiazione per quel passato tedesco che non passa. Una ricerca che si rivela importante e insieme vana, divenendo la parabola dell’uomo nella modernità. Nel racconto si percepisce una voce fuori campo, che va a perdersi nei meandri della storia, verso cui il protagonista getta uno sguardo che resta periferico e sterile, impotente di fronte a tutti gli orrori provocati dalle persecuzioni naziste, il «maelstrom nero della storia», che costituisce il nucleo segreto della sua scrittura. Come in Kafka e analogamente ai personaggi di Bernhard, quella di Austerlitz corrisponde all’attuale condizione umana al di là di ogni speranza, nell’impossibilità di un radicamento, nello spaesamento, nella Unheimlichkeit dell’essere, come riconosce il protagonista: «Per quanto mi è dato risalire indietro col pensiero, mi sono sempre sentito come privo di un posto nella realtà, come se non esistessi affatto».
E l’unica redenzione possibile si rivela nell’indignazione per la colpa tedesca verso gli ebrei, ma anche per il silenzio degli scrittori tedeschi – quelli del Gruppo 47 – sui bombardamenti a tappeto delle città tedesche. Sebald, infatti, è il primo grande scrittore tedesco che ha il coraggio di raccontare lo strazio delle distruzioni, denunciando – in Storia naturale della distruzione – quel mutismo come l’estremo confine dell’ipocrisia tedesca. Dall’indignazione sorge l’interrogazione costante della memoria, compulsando le testimonianze letterarie del presente e del passato, evocate con una precisione filologica e sempre immerse in una malinconia senza fine. Quella di Sebald è una narrazione, anzi una stratificazione di racconti, di testimonianze, di rievocazioni, di colte biografie romanzate; un intreccio dalle flebili interrelazioni, che sfugge a ogni insulso infingimento, a ogni comoda e banale giustificazione, nonché a ogni corrivo abbandono alle ideologie, alle fughe e alle regressioni.
La costruzione di racconti con stratificazioni connota gli altri libri di Sebald, da Vertigini (1990) a Emigrati (1992) a Gli anelli di Saturno (1995), tutti costruiti su storie che convergono nel grande affresco dell’esilio dell’uomo nel suo tempo. I testi narrano di quella Wanderung, di quella pellegrinazione romantica, rivissuta e riproposta, ormai senza metà e senza esito. I racconti sostengono l’illustrazione di destini umani a conferma dell’insensatezza oggettiva dell’esistere, testimoniata dalle figure più diverse con racconti di vite di scrittori e intellettuali – ad esempio, negli Anelli di Saturno lo scienziato barocco Thomas Browne, Joseph Conrad, Chateaubriand, o in Vertigini: Casanova, Stendhal e Kafka – ma anche gente umile e sempre tipi originali, intellettuali o proletari, nobili o spiantati, tutti uniti dal rifiuto della massificazione, dell’omologazione, dal rigetto, spontaneo, non ideologico, del modello della globalizzazione, tetragoni ad accettare il paradigma dell’armonia culturale e della simmetria sociale, esponenti di biografie improbabili, a dir poco romanzesche. Gli stessi temi affiorano anche nella saggistica di Sebald, come in Unheimliche Heimat (Patria inquietante), otto saggi sulla letteratura austriaca con interventi affilati tra gli altri su Roth e Kafka, in cui la polarità è quella, assai sebaldiana, di Heimat ed esilio, particolarmente evidente negli scrittori mitteleuropei, specialmente ebrei. Le ultime opere ancora a cura dell’autore sono la riprova della letteratura come spaesamento. Come Rilke con le sue poesie in francese degli ultimi anni, parimenti Sebald pubblica nel 2001 For years now, una raccolta di liriche in inglese, mentre postumo appare Campo Santo, quattro testi ispirati dai suoi viaggi in Corsica. L’ultimo Sebald resta fedele alla sua Stimmung fondamentale, tra malinconia e scetticismo. In ciò ripercorrendo nella sua sorvegliatissima prosa quell’itinerario poetico di tristezza, anticipato da un altro grande «esiliato» della letteratura di lingua tedesca, Paul Celan. E la vocazione poetica, la più profonda, è testimoniata dalla scelta postuma di liriche Über das Land und das Wasser (Per terra e per acqua) del 2008.
Sebald racconta l’odissea dell’uomo contemporaneo, minacciato dall’interiore incertezza e dall’orrore della storia, dove l’anima è insidiata, smarrita, ma sempre alla ricerca del senso della vita
In Italia la sua opera è stata pubblicata da Adelphi con le stupende traduzioni di Ada Vigliani. Con la sua tonalità sommessa, Sebald racconta l’odissea dell’uomo contemporaneo, minacciato dall’interiore incertezza e dall’orrore della storia, dove l’anima è insidiata, smarrita, ma sempre alla ricerca del senso della vita. Una ricerca interrotta improvvisamente da un infarto al volante, con lo sbandamento nella corsia opposta e il fatale investimento.
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