La necessità di formazione per tutti, oggi, non è più contesa. Anzi, le proposizioni imperanti su scala globale sono quelle della società della conoscenza e dell’incremento progressivo dei livelli di competenza come requisito essenziale per le nuove generazioni. Già, ma requisito per cosa? I testi dei documenti ufficiali (dell’Unione europea, ma potremmo riferirci anche agli Stati Uniti) indicano due temi: i) la formazione di soggetti in grado di inserirsi nell’attuale mercato del lavoro (e in quello che si predice sarà); ii) la formazione alla cittadinanza attiva. A pensare male, viene da supporre che il secondo obiettivo sia messo lì per salvarsi l’anima. Mentre il primo si autodichiara, nella sua evidenza utilitaristica, questo invece chiama in causa una dimensione repubblicana, per così dire, tutt’altro che ovvia. Quale sarebbe il valore centrale di questa cittadinanza attiva? La partecipazione? La coscienza democratica? La responsabilità? Più citizenship o più civicness? Si incarna e si esaurisce nella condivisione consapevole di un’obbligazione etico-politica o implica altro (solidarietà, orientamento alla non-violenza, rispetto degli altri ecc.)?

Non soltanto non mi sembra sia stata data una qualche risposta, ma neppure che la domanda sia stata messa debitamente a tema. Si osservi la declaratoria delle competenze di cittadinanza: saper argomentare, saper lavorare in gruppo, saper ascoltare gli altri. Tutte cose bellissime e importanti, ma strumentali. È come se dicessi: per essere un buon vasaio, devi saper riconoscere i diversi tipi di argilla, saper lavorare al tornio, saper usare una sgorbia. Tutto questo, tuttavia, permette di «eseguire» modelli, ma non è sufficiente per crearne di nuovi. Se l’esercizio della cittadinanza attiva si riduce al possesso di determinate competenze funzionali, in esso di attivo resta assai poco. Qui sta la falsa coscienza di quell’aggettivo. Verità vorrebbe che la si chiamasse «cittadinanza conforme»: a scuola si impari a essere dei buoni «esecutori» di cittadinanza conforme. Basta dirlo. Ma davvero solo di questo c’è bisogno per aiutare i giovani di oggi a essere i protagonisti del mondo di domani?

L’idea prende corpo nella primavera del 2019, quando alcuni soci dell’Associazione «il Mulino» cominciano a interrogarsi su come intervenire su un tema, quello dell’educazione alla politica e dell’esercizio della cittadinanza, il cui carattere, se in ogni società democratica presenta i tratti della necessità, nell’Italia di oggi assume sempre più i contorni dell’urgenza.

Nella riflessione che si fece allora convergevano e si sommavano due ordini di considerazioni, il primo relativo alla complessità del mondo contemporaneo e alla oggettiva difficoltà di interpretazione dei fenomeni, nel loro sviluppo di aspetti (economia, frontiere dell’etica pubblica, pluralità caotica dei canali di comunicazione e informazione, vischiosità e interdipendenza dei processi politici, evanescenza delle forme aggregative sociali…); il secondo fondato sulla presa d’atto del venire meno progressivo di luoghi e tempi deputati alla formazione alla vita democratica delle nuove generazioni, sommata all’evidenza di un crescente analfabetismo politico, cui sembrano ormai non sottrarsi neppure più vasti strati delle stesse classi dirigenti, come dimostra il livello medio del dibattito pubblico.

Nella storia dell’Italia repubblicana, il compito di un'educazione alla vita civile e all’esercizio vigile della cittadinanza non è mai passato direttamente attraverso la scuola, nonostante i ripetuti tentativi del legislatore di inserire nel curriculum una qualche forma di «materia», mediante la quale colmare questa lacuna. Il timore di aprire spazi all’indottrinamento ideologico ha tenuto a distanza dalla scuola la domanda su come si forniscono alle nuove generazioni gli strumenti culturali per orientarsi criticamente nel mondoLe ragioni di tale inadempienza sono radicate nella storia stessa del Paese, per lungo tempo ideologicamente spaccato in due durante il periodo della Guerra fredda. La scuola, preoccupata sempre di mantenersi zona franca rispetto alla dimensione conflittuale della politica, non ha avuto mai la forza di costruire un profilo educativo capace di includere, di qua da ogni opzione di parte, l’apprendimento dei valori condivisi e delle pratiche partecipative del cittadino maturo di una società democratica, preferendo la via dell’astensione, a volte implicita a volte rivendicata con orgoglio («a scuola non si parla di politica»). Il timore dell’istituzione di aprire spazi all’indottrinamento ideologico, il ritegno degli insegnanti nell’affrontare temi potenzialmente divisivi, uniti al sospetto, condiviso dal senso comune, che ogni discorso politico non possa che essere «di parte», hanno tenuto a distanza dalla scuola la domanda cruciale su come si forniscono alle nuove generazioni gli strumenti culturali per orientarsi criticamente e prendere decisioni nel perimetro sempre più ampio delle scelte, di comportamento, di posizione, di partecipazione attiva, che hanno un rilievo collettivo e rientrano nella sfera pubblica del proprio agire di cittadini. Una domanda alla quale la scuola ha potuto sottrarsi per decenni, perché surrogata da altri soggetti formativi diffusi, dalle scuole di partito all’associazionismo cattolico, che disegnavano un panorama plurale, se non sempre pluralista, di educazione alla vita civile, tale da garantire a segmenti significativi della popolazione giovanile il possesso e il maneggio degli strumenti per essere attori consapevoli del presente.

Di tutto ciò oggi è rimasto assai poco.

Da queste considerazioni nasce il progetto «Civitas. Per un’educazione alla vita civile», il portale cui l’Associazione «il Mulino» ha dato vita nell’ultima parte del 2019, attivo in rete dal febbraio 2020.

Civitas ha voluto subito connotarsi per alcuni tratti che lo rendessero differente rispetto a realtà già esistenti, che si possono riassumere in tre aggettivi: aperto, plurale, collaborativo. Aperto, ossia «non» tematico, capace di toccare un numero sempre più ampio di questioni e argomenti per fornire ai giovani i fondamenti di conoscenza e gli strumenti di riflessione necessari ad affrontare consapevolmente e liberamente una realtà in continua trasformazione. Plurale, ossia «non» di tendenza, volto a dare spazio alla complessità dei fatti e voce al dialogo fra idee e interpretazioni, purché comprese nel perimetro definito da tre pilastri ideali – la condivisione dei principi fondanti della Costituzione, la democrazia, la prospettiva europea. Collaborativo, ossia «non» accademico: Civitas non è assimilabile a un'enciclopedia di contenuti, sia pure di fonte pregiata, non è un portale «accademico». 

Il sottotitolo di Civitas, «per un’educazione alla vita civile», riassume il programma di lavoro che il gruppo si è dato sin dall’inizio. Con «vita civile» si intende un insieme di comportamenti e atteggiamenti, che vanno dalle pratiche della convivenza alla coscienza dei propri diritti e doveri come cittadini, fino alla educazione politica – che poi significa dotarsi degli strumenti per comprendere il mondo attuale nella sua dimensione problematica ed essere in grado di agire in modo autonomo nella sfera pubblica. Il progetto Civitas ha voluto connotarsi per alcuni tratti che lo rendessero differente: aperto (non tematico), plurale (non di tendenza), collaborativo (non accademico)Se i destinatari sono gli studenti, direttamente e attraverso i loro insegnanti, non dobbiamo dimenticare che le difficoltà della scuola si situano in un contesto culturale più generale di diseducazione alla politica della popolazione nel suo complesso, dei governanti come dei governati. Proprio per questo si è ritenuto che la scuola dovesse essere aiutata a diventare uno spazio e un tempo decisivi per l’acquisizione di strumenti di conoscenza e di esperienze che costituiscono le basi della democrazia e del pluralismo.

L’intento del gruppo promotore di Civitas era di rendere accessibili materiali formativi di qualità, strutturati secondo livelli comunicativi diversi, che ne favorissero sia l’utilizzo didattico da parte degli insegnanti, sia la fruizione diretta proprio da parte di quelle fasce che appaiono più digiune di informazioni adeguate.

Muovendo da questi convincimenti, organizzammo Civitas come esito combinatorio di due aspetti: essere da un lato finestra sul mondo (selezionando periodicamente le situazioni di attualità che più si prestano alla discussione) e, dall’altro, procurare alcuni strumenti conoscitivi e orientativi di qualità riconosciuta per comprenderlo. Una parte «giornale», una parte «biblioteca».

Come si è accennato, Civitas non nasce come proposta culturale di un gruppo di intellettuali rivolta «alla» scuola, ma come luogo aperto al contributo «della» scuola, piattaforma di servizio «per» i giovani e gli insegnanti. Coerentemente con questo assunto, ci siamo preoccupati di coinvolgere, sin dalle prime battute progettuali, un certo numero di docenti sensibili al tema dell’educazione alla vita civile. Un punto di forza ci è sembrato infatti quello di promuovere sul territorio nazionale una rete di panel di insegnanti, cui offrire la possibilità di diventare non solo fruitori, ma protagonisti di Civitas, diffondendone l’uso nelle scuole, avanzando proposte, suggerendo materiali, fornendo contributi, segnalando esperienze didattiche significative da valorizzare e condividere sul portale.

Oltre all’apporto diretto dei singoli docenti e dei gruppi che avevamo intenzione di promuovere (primi passi in tal senso sono stati fatti a Bologna, Firenze e Roma), l’altro principio da cui muovemmo fu quello di allargare il perimetro di Civitas ad altri soggetti associativi, impegnati sul fronte dell’educazione democratica. Fummo infatti convinti da subito che le chance di successo del progetto dipendevano dalle forme di cooperazione, diffuse e durevoli, che saremmo riusciti a costruirgli intorno. Il gruppo di partenza, espressione dell’Associazione «il Mulino», doveva essere solo il promotore di un’iniziativa che, per risultare vincente, avrebbe dovuto per sua natura estendersi oltre i confini originari. Allargamento territoriale e pluralità delle voci restano tutt’oggi obiettivi strategici di Civitas.

E la dimensione nazionale non è neppure bastevole. In prospettiva, la collocazione di Civitas sta a fianco e in rapporto con iniziative analoghe presenti in altri Paesi (si pensi per esempio al Networking European Citizenship Education, Nece, la rete europea che riunisce le singole imprese educative impegnate sul fronte della formazione civile, da cui l’Italia è oggi assente).

«Poi è arrivata la pandemia…». Senza enfatizzare né drammatizzare il contraccolpo subito dall’iniziativa a causa della pandemia, non c’è dubbio tuttavia che essa abbia inciso non poco sul suo sviluppo, frenandone bruscamente il cammino. La prima conseguenza è stata il ritrarsi, dinanzi alla gravità della crisi, degli interlocutori economici, che in un primo tempo avevano manifestato disponibilità e interesse a sostenere Civitas. La seconda è stata l’impossibilità di proseguire nel lavoro di costituzione dei panel di docenti che avevamo cominciato a delineare. Lo stallo che si è creato, tuttavia, non ha fatto venire meno le ragioni che ci hanno mosso. Pure in assenza di qualunque attività di promozione, gli accessi crescono di settimana in settimana e sembrano dire che una sua ragion d’essere Civitas ce l’ha.    

Il portale ha raggiunto 120.000 visite da 35.000 utenti, con una distribuzione territoriale abbastanza omogenea. Ospita 100 articoli (+25 pagine), 356 voci di glossario, una settantina di materiali didattici, oltre 600 immagini.

 

[Devo i dati analitici di Civitas alla cortesia di Alessandro Volpi. Senza la sua dedizione e il suo lavoro, Civitas sarebbe rimasto solo una bella idea.]