Il 2019 ha spazzato via ogni possibilità per la Valle d’Aosta di considerarsi estranea al fenomeno mafioso. L’anno si è aperto con Geenna, la prima grande inchiesta sulla ʼndrangheta nella regione, ed è terminato con Egomnia, prosecuzione del lavoro degli inquirenti che svela – nelle intercettazioni ancor prima che nell’esito giudiziario – la vicinanza tra istituzioni locali e ʼndrangheta.
Una vera e propria svolta per la piccola regione autonoma. Nonostante i numerosi eventi “in odore di mafia” che si sono susseguiti a partire dagli anni Ottanta (tra i più noti, l’attentato al pretore Selis nel 1982, gli omicidi di prestasoldi del Casinò di Saint Vincent negli anni Novanta, la presenza sul territorio di latitanti e di persone colpite da divieto di dimora nelle zone di origine), solo recentemente si è davvero iniziato a parlare di infiltrazione mafiosa a livello locale.
Le prime condanne per 416 bis nella regione scaturiscono infatti dall’inchiesta Tempus Venit del 2011, relativa a un tentativo di estorsione ai danni di imprenditori edili calabresi. Vi sono stati poi alcuni altri processi a singoli individui o gruppi familiari per reati di lesioni personali e traffico di stupefacenti. Attività tradizionalmente mafiose, incapaci di destare un allarme sociale diffuso. Non stupisce dunque che nel 2012 un’apposita commissione regionale per l’esame del rischio di infiltrazione mafiosa abbia di fatto escluso l’esistenza di specifici fattori di vulnerabilità del contesto valdostano. Mentre nell’autunno del 2017 hanno suscitato imbarazzo e disagio in molti attori locali le parole dell’allora presidente della Commissione parlamentare antimafia Rosy Bindi, secondo cui la Valle d’Aosta presenta un concreto rischio di voto di scambio politico-mafioso che, curiosamente, non era stato fino a quel momento oggetto di indagini.
Arriviamo così alle inchieste del 2019. Nell’ordinanza Geenna, che sostiene l’esistenza di un gruppo organizzato di ʼndrangheta (una locale) sul territorio valdostano, la commistione con la sfera politica emerge in modo marcato. Due politici locali – una consigliera comunale di Saint Pierre, comune alle porte di Aosta, e un consigliere regionale – sono indagati per concorso esterno in associazione mafiosa, accusati di aver cercato e ottenuto voti dalla ʼndrangheta nelle elezioni amministrative del 2015. Secondo gli inquirenti, inoltre, nella stessa tornata elettorale la locale valdostana è riuscita addirittura a far eleggere un suo affiliato nel consiglio comunale di Aosta, mentre le intercettazioni hanno svelano un’offerta di voti – che è stata rifiutata – al candidato sindaco poi risultato vincitore. La prosecuzione dell’inchiesta rivela uno scenario ancora più pervasivo, con contatti ripetuti tra candidati alle elezioni regionali del 2018 ed esponenti di punta della locale valdostana. Sono sette – su trentacinque – i consiglieri eletti che avrebbero beneficiato del sostegno della compagine ʼndranghetista, tutti appartenenti a forze autonomiste locali: tra questi, due assessori (alle Opere pubbliche e al pluri-ufficio al Turismo, sport, commercio, agricoltura e beni culturali) e il presidente della regione, ex senatore, che in virtù dello statuto speciale ricopre anche la carica di prefetto. Secondo le carte, oltre a lui altri tre ex presidenti della regione avrebbero cercato durante la campagna elettorale il supporto dei vertici della locale.
Il terremoto politico seguito a questo secondo ramo d’indagine ha portato alle dimissioni del presidente della Valle d’Aosta, dei due assessori e di un consigliere (dei restanti tre membri del consiglio regionale implicati in Egomnia, due erano già sospesi dal loro incarico per effetto della legge Severino – uno in seguito a una condanna per corruzione, l’altro perché indagato in Geenna – mentre il terzo, che non risulta inquisito, ha assunto il ruolo di presidente della regione ad interim). Negli ultimi giorni del 2019, la mancata approvazione del bilancio previsionale 2020-2022 – generata da strappi interni all’Union Valdôtaine, uno dei partiti autonomisti toccati dall’inchiesta – ha costretto al regime di esercizio provvisorio, che permette il solo impegno delle spese correnti su base mensile, con il blocco dunque di investimenti e assunzioni. I prossimi mesi appaiono più che mai incerti: per scongiurare il rischio di gestione provvisoria sarà necessario approvare il bilancio entro fine aprile, poi forse si tornerà alle urne, in una cornice istituzionale stravolta dai rapporti emersi tra politica e criminalità organizzata di tipo mafioso.
L’inchiesta sulla ʼndrangheta in Valle d’Aosta chiama dunque in causa in primo luogo la politica locale: da lì bisogna partire per capire quanto è accaduto e ancora sta accadendo nella regione. Dopo una lunga fase di stabilità, caratterizzata dal dominio pressoché indiscusso dell’Union Valdôtaine, lo scenario politico è infatti profondamente mutato negli ultimi dieci anni, in coincidenza con il decremento della disponibilità economica della Regione. La rinegoziazione degli accordi finanziari tra governo nazionale e governo locale seguita alla crisi del 2007 ha profondamente inciso sull’ordinamento finanziario regionale, che nei trent’anni precedenti si era irrobustito e poi consolidato grazie alla legge 690 del 1981 (che stabiliva che nove decimi delle tasse e imposte erariali riscosse in Valle d’Aosta spettassero alla regione) e alla legge 498 del 1992 (che concedeva una compensazione economica per gli introiti sull’Iva da importazione persi con l’entrata in vigore del mercato unico europeo). Il cospicuo taglio subito nell’ultimo decennio – secondo alcuni osservatori pari a circa la metà della disponibilità complessiva – ha destabilizzato un assetto che per lungo tempo si è retto sulla generosità delle istituzioni locali, grazie alla diffusione di incentivi, contributi e aiuti economici distribuiti su base individuale, e su un settore pubblico ipertrofico, al primo posto tra le regioni italiane per spesa pro capite e per numero di dipendenti.
Non è difficile scorgere un legame tra queste dinamiche e la crescente instabilità politica regionale. Una volta inceppatosi il sistema locale di distribuzione delle risorse, il collante del principale partito autonomista – già spaccato in numerose correnti interne – ha ceduto e hanno avuto luogo fuoriuscite e scissioni. La disgregazione ha portato alla nascita di nuovi movimenti autonomisti guidati da ex capicorrente dell’Union Valdôtaine, mentre i partiti nazionali, rimasti a lungo sottotraccia, hanno iniziato a riscuotere consenso nella regione. Nel 2018 la Valle d’Aosta ha eletto nel suo collegio una deputata del Movimento 5 Stelle e, nello stesso anno, la regione ha avuto per la prima volta una giunta a guida leghista. Si tratta di una delle sette diverse maggioranze che hanno governato dal 2008 al 2019, per un totale di cinque diversi presidenti.
In un contesto così frammentato, la competizione elettorale è diventata feroce. Il vantaggio prima determinato dal controllo delle risorse pubbliche si è fatto meno consistente ed è stato sostituito, almeno in parte, dal tentativo di intercettare nuovi “pacchetti di voti” disponibili sul territorio. I politici locali hanno dunque investito nell’interlocuzione con soggetti che si sono presentati (o sono stati percepiti) come portavoce di gruppi più o meno definiti e capaci di garantire un certo numero di voti. A loro volta, i membri della locale di ʼndrangheta valdostana hanno sfruttato questa opportunità, anche esibendo strumentalmente una presunta capacità di influenzare l’orientamento degli elettori di origine calabrese, che in Valle d’Aosta costituiscono, secondo alcune stime, quasi un terzo della popolazione. Non si tratta di una novità: altre indagini sulla ʼndrangheta nel nord Italia evidenziano che spesso i mafiosi millantano un controllo sul voto calabrese, come se si trattasse di un pacchetto compatto a loro disposizione. Affermazioni che vengono acriticamente assunte come vere – mentre dovrebbero essere problematizzate – non solo dai politici interessati, ma anche da alcuni investigatori e studiosi, sovrapponendo così maldestramente origine territoriale e vicinanza al fenomeno mafioso.
Come hanno mostrato altri contributi (si veda ad esempio il libro Mafie del Nord curato da Rocco Sciarrone), il successo della ʼndrangheta in aree lontane dal territorio di origine è sempre determinato da un intreccio di fattori: alcuni hanno a che fare con le capacità e l’orientamento strategico dei mafiosi, altre invece attengono alle caratteristiche del contesto. In Valle d’Aosta il profondo cambiamento avvenuto nel sistema di regolazione dei rapporti tra governo locale ed economia ha creato nuove opportunità che gli attori criminali locali hanno immediatamente colto. L’offerta di sostegno elettorale di origine mafiosa non è stata dunque imposta e non si è generata dal nulla: piuttosto, ha incrociato la domanda di una classe politica locale in crisi e, forse proprio per questo, poco incline a interrogarsi sugli interessi della controparte.
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