Il volume di Paolo Barcella La Lega. Una storia, pubblicato nella collana di Carocci Le sfide dell’Italia repubblicana, è un contributo rilevante in una fase della politica italiana in cui la parabola del leghismo sembra destinata per l’ennesima volta a declinare dopo alcuni anni di fasti elettorali e sovraesposizione mediatica. La prospettiva del libro è quella storica, meno frequentata dalla pubblicistica sul partito rispetto alle ricerche di taglio socio-politologico. Una delle ragioni è ricordata nell’introduzione: quello che sappiamo sulla Lega proviene solo in parte dagli archivi ufficiali della sede federale di via Bellerio e in misura assai maggiore da un insieme ampio di fonti sindacali, giornalistiche, televisive e radiofoniche, così come dalle opere firmate dai suoi leader o dai manifesti e i documenti elaborati nelle feste di partito. Una storia, quindi, da comporre un tassello alla volta e senza pretese di esaustività.
Seguendo questa molteplicità di suggestioni, Barcella restituisce una narrazione avvincente della quasi quarantennale vita del partito articolata in quattro tappe: la fase originaria di emersione della Lega dalla galassia dei movimenti etno-regionalisti, gli anni Novanta di ricerca di un’identità politica, la fase 2001-2012 di governo e consolidamento territoriale e l’ultimo concitato decennio aperto dalla crisi interna e conclusosi con l’esperienza della pandemia (nel volume resta fuori l’imprevedibile appendice della guerra in Ucraina, evento dall’impatto politico non secondario e non ancora prevedibile). Il volume non si limita a produrre una rigorosa ricostruzione degli eventi – in verità già presente e ampiamente trattata nella letteratura sul tema – ma individua, per ogni stagione, alcuni nodi problematici sollevati dal leghismo, o che il leghismo ha affrontato in quanto effetti delle trasformazioni economiche, politiche e sociali che hanno interessato il Paese.
Da storico, Barcella guarda indietro e formula almeno un’ipotesi di grande interesse sulla genesi del partito: per cogliere le ragioni profonde delle prime affermazioni elettorali della Lega bisogna guardare alle tracce della precedente mobilità transfrontaliera della popolazione settentrionale. Segnando la memoria dei luoghi e degli individui, l’esperienza dell’emigrazione per lavoro in Europa ha contribuito a forgiare un vero e proprio «spirito originario» del leghismo, manifestatosi soprattutto attraverso l’ostilità nei confronti dei migranti interni richiamati al Nord dall’industria fordista e dalle opportunità di impiego nell’amministrazione pubblica. Come si spiega nel testo, «i settentrionali rimasti al Nord assumevano nei confronti dei meridionali gli stessi comportamenti ostili e le stesse rivendicazioni polemiche che loro stessi subivano come lavoratori ospiti nei contesti europei di emigrazione».
La tesi per cui la compresenza prolungata di flussi di popolazione in entrata e in uscita avrebbe giocato un ruolo importante per la nascita della cultura politica leghista è indubbiamente suggestiva, anche al di là dalla sua solidità empirica (i territori dove sono nate le prime leghe erano effettivamente caratterizzati da maggiore emigrazione rispetto alle altre aree circostanti non interessate dal fenomeno?). D’altro canto, l’autore è ben consapevole che questo tratto originario sia stato solo l’innesco, il meccanismo di attivazione di un percorso politico che ha avuto poi uno sviluppo autonomo e una diffusione ben più ampia. Infatti, nel ricostruire la storia dei primi anni, mostra come a determinare il successo elettorale abbiano concorso più elementi. Innanzitutto, la figura imprescindibile del leader Umberto Bossi, con la sua scommessa politica di superare le secche del regionalismo traghettandolo dentro la corrente di cambiamento che attraversava il Nord già negli anni Ottanta. Poi, naturalmente, i fattori generali di contesto: le mutate condizioni socio-economiche, la crisi delle organizzazioni partitiche e sindacali tradizionali, la discontinuità improvvisa imposta dalle vicende di Tangentopoli e la nuova domanda di rappresentanza politica.
Negli anni Novanta, la Lega vive una fase di grande ambivalenza: è un partito chiuso in se stesso, sospeso tra il carattere innovativo della sua politica e le incertezze del suo messaggio
Il secondo atto nella storia del partito si sviluppa negli anni Novanta, caratterizzati dall’irruzione nelle istituzioni locali e nazionali e da una crescente visibilità mediatica (suggellata dalla partecipazione a trasmissioni quali Profondo Nord, in cui «gli esponenti leghisti apparivano regolarmente dal lato vincente»). Sono gli anni che l’autore definisce del doppio movimento, «dalla provincia alla città e ritorno». Prima, la discesa a Roma, per prendere parte al governo della coalizione di centrodestra. Dopo appena otto mesi, la clamorosa rottura e sconfessione della classe politica post-craxiana incarnata da Berlusconi, il ritorno nelle roccaforti elettorali delle origini e l’illusione di una Lega alternativa ai due poli.
La sintetica ricostruzione degli eventi rende bene l’immagine di un partito chiuso in se stesso, sospeso tra il carattere innovativo della sua politica e le incertezze del suo messaggio. Per descrivere l’ambivalenza di questa fase, alcune pagine del libro sono dedicate alla questione della discussa apertura a sinistra e, quindi, anche della presunta capacità di penetrazione nell’elettorato progressista. Si tratta di un tema mai sopito, ingigantito oltre la sua reale portata e riproposto più volte. Senza generalizzare, Barcella si sofferma piuttosto sul rapporto tra partito e mondo del lavoro osservando come, nelle aree a debole presenza storica del voto comunista (in particolare nel Veneto), la doppia appartenenza degli operai al sindacato e al partito di Bossi abbia assunto una certa consistenza. Tuttavia, ciò non comporta che la Lega possa essere definita, in una qualsiasi fase della sua storia, un partito operaio. L’autore ricorda come l’azione politica di Bossi sia sempre stata finalizzata alla rappresentanza non dei colletti blu, ma dell’insieme dei ceti produttivi, operai e padroni. Anche negli anni Novanta la cultura economica della Lega si riconosceva non tanto in una matrice anti-liberista, quanto nel triangolo famiglia-piccola impresa-comunità.
L’azione politica di Bossi è sempre stata finalizzata alla rappresentanza dell’insieme dei ceti produttivi, operai e padroni: la cultura economica della Lega si riconosceva infatti nel triangolo famiglia-piccola impresa-comunità
Il terzo lungo periodo (2000-2011) è descritto nel libro, in contrapposizione alla fase di eccentricità precedente, come una parentesi più lineare di consolidamento di una chiara identità ideologica. Le pagine del capitolo seguono, campagna dopo campagna, il progressivo spostamento verso il campo della destra estrema. Si potrebbe discutere a lungo se sia stato il partito a spingersi fino in fondo in questa direzione o lo scenario complessivo a essere mutato. Barcella mostra come la lunga permanenza della Lega al governo e il consolidamento della presenza nelle istituzioni sia andata di pari passo con una riorganizzazione (più che stravolgimento) delle basi politico-culturali del suo programma.
Da un lato, assistiamo a una conversione delle istanze secessioniste del passato dentro un approccio nazionalistico e protezionista. Dall’altro, si completa la transizione avviata alla fine degli anni Novanta verso un partito white christian, totalmente proiettato sulle campagne anti-immigrazione, anti-islamiche e di difesa del tradizionalismo etico. La Lega riesce a imporre il suo linguaggio sulla sicurezza nel dibattito pubblico e capitalizza ulteriormente il vantaggio sugli altri concorrenti di centrodestra durante la crisi economica. Il racconto di questa fase è incalzante e si conclude con il richiamo alle vicende interne, in particolare alla malattia del leader, preludio dei fatti che segneranno gli anni successivi.
L’ultimo intervallo temporale analizzato nel libro va dal 2012 al presente. Una fase diversa da tutte quelle precedenti, in cui il partito stesso è messo in discussione dagli scandali del cerchio magico bossiano ma riesce a ritrovare compattezza e successi durante la segreteria Salvini. Particolarmente interessante è il confronto tra i due leader, espressione di stili e mondi diversi (la provincia e la metropoli). Nel libro si ricorda il grande vantaggio goduto da Salvini rispetto a Bossi, il fatto cioè di disporre di un canale di comunicazione proprio (attraverso il web) per rivolgersi a tutti gli italiani. Ma più che le differenze, a essere sottolineati sono gli elementi di continuità. La politica identitaria, l’ambizione di un partito elettoralmente nazionale e la svolta di «Prima gli italiani» rappresentano per Barcella il completamento di un viaggio che l’ultimo Bossi aveva già intrapreso e che può terminare una volta caduta la pregiudiziale antifascista: con la segreteria Salvini, lo sciovinismo sale al governo e trionfa alle elezioni. Il volume si conclude con uno sguardo rapido, e senza pretese di analisi, sugli eventi più recenti: la crisi del governo giallo-verde, l’esperienza del Covid segnata dai malumori verso la gestione lombarda della pandemia, il rapporto con Draghi, l’emergere di Meloni come rivale politico e, infine, la guerra.
In definitiva, La Lega. Una storia è un testo ben riuscito, frutto di una riflessione meditata che ha il pregio di aggiungere una prospettiva nuova e uno sguardo retrospettivo a un fenomeno politico di cui si ha l’impressione di sapere già tutto, salvo poi restare sorpresi.
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