Dopo l’approvazione in Consiglio dei Ministri delle deleghe della Legge 107/2015 (la cd. «Buona scuola»), si è molto discusso sulle nuove regole in merito alla valutazione degli studenti e agli esami di Stato. Vediamo di che cosa si tratta, quali sono i passi avanti e quali i punti deboli.
Per quel che riguarda la valutazione nel primo ciclo di istruzione viene confermato l’uso dei voti in decimi e la promozione di attività di recupero per i risultati di apprendimento non del tutto raggiunti. Per la scuola primaria, la non ammissione all’anno successivo può avvenire solo all’unanimità, e «in casi eccezionali e comprovati da specifica motivazione». Si cerca così di rendere la bocciatura residuale e eccezionale anche di diritto, mentre di fatto lo è già, ma non la si elimina del tutto.
Per la secondaria di primo grado (scuola media inferiore) non cambia l’ammissione alla classe successiva, possibile solo nel caso in cui la sufficienza sia ottenuta in tutte le materie. Non si modifica così la situazione paradossale della media inferiore, in cui non si può «rimandare», e quindi in teoria si potrebbe bocciare per una sola materia. Di fatto non accade, le bocciature sono poche, ma in questo modo vengono spesso «falsati» i risultati di apprendimento, dal momento che risultati insufficienti porterebbero alla bocciatura.
Per quel che riguarda gli esami di Stato conclusivi del primo ciclo (terza media) e del secondo ciclo (maturità) vengono confermate le novità di cui si parlava da tempo. Il decreto semplifica il percorso lungo e gravoso sinora in vigore per il primo ciclo, prevedendo tre prove scritte (italiano, matematica, lingua straniera) e una orale. Le prove Invalsi vengono tolte dall’esame (anticipandole alla primavera) e non contribuiscono più al voto finale. Un provvedimento molto positivo: le prove Invalsi sono in realtà test di misurazione delle competenze a fini statistici e non valutazioni delle competenze individuali. Non appaiono quindi adeguate per esprimere un voto in sede di esame. Tutta la riforma dell’esame di terza media è nel complesso positiva, perché lo rende più snello, più sostenibile e quindi anche più funzionale didatticamente, poiché molte prove e molti voti non servono a verificare le competenze di uno studente.
Anche l’esame conclusivo del secondo ciclo subisce importanti trasformazioni. Viene modificata l’ammissione: mentre attualmente, sulla base della normativa Gelmini, è ammesso all’esame finale lo studente che abbia la sufficienza in tutte le materie, in futuro per essere ammessi sarà sufficiente la media del sei. Le polemiche scatenatesi sul punto appaiono in verità del tutto fuori luogo, trattandosi di una misura di razionalizzazione. Innanzitutto perché già prima del 2009 (provvedimenti Gelmini) si era ammessi all’esame con la media del sei; in secondo luogo perché dopo il 2009 non si è registrato un aumento dei non ammessi. Questo dal momento che, nel caso di poche insufficienze, che non invalidavano la possibilità di ammettere uno studente all’esame, i consigli di classe hanno sistematicamente alzato i voti. L’ammissibilità o meno di uno studente all’esame dipende da molti fattori che solo il consiglio può valutare, e spesso l’insufficienza in una o due discipline non giustifica la non ammissione. È quindi molto più corretto ammettere gli studenti con i loro voti reali. Ciò non porterà a un allargamento incontrollato delle ammissioni, sia perché già ora la stragrande maggioranza degli studenti viene ammessa, sia perché non avveniva prima del 2009.
Vengono confermate la prima prova scritta, di italiano, e la seconda, di indirizzo; entrambe a carattere nazionale. La terza prova scritta viene soppressa. Qui occorre ricordare che nella maggior parte delle scuole italiane questa prova era strutturata quasi sempre con domande a risposta aperta, o al limite con un misto di domande a risposta aperta e a risposta chiusa. Si trattava quindi di una sorta di «interrogazione scritta», come capita di dire a scuola, cioè di verifica dei contenuti della disciplina tramite domande simili a quelle che si sarebbero fatte all’orale. Inoltre la terza prova non era nazionale, ma predisposta dalle commissioni stesse nelle singole scuole, quindi differenziata, anche di molto, non solo da scuola a scuola ma anche da commissione a commissione.
Questa prova era nata con l’idea di «mettere in dialogo» diverse discipline intorno a un tema o un percorso. Uno spirito che nella realtà non si è mai realizzato. L’abolizione della terza prova è quindi positiva per due ragioni: questo «doppione» dell’esame orale è diventato superfluo; e soprattutto la preparazione all’esame, con la terza prova a breve distanza dalla seconda, ma a ridosso del colloquio, è per gli studenti una corsa a ostacoli, visto che non viene dato loro il tempo di concentrarsi in vista degli orali.
Anche il colloquio viene ora modificato, con l’eliminazione del riferimento all’argomento scelto dal candidato con cui aprire il colloquio: la famigerata «tesina». Anche in questo caso una decisione razionale. La presentazione di un argomento all’inizio del colloquio avrebbe senso nel quadro di una didattica centrata su progetti elaborati dagli studenti, e su un loro ruolo attivo nella presentazione di lezioni in aula; ma la didattica delle superiori lascia a queste attività uno spazio molto marginale. Di conseguenza, la maggior parte dei docenti considera la «tesina» una sorta di tassa da pagare all’inizio del colloquio, la cui parte «vera» è l’interrogazione. Né tantomeno durante l’anno scolastico si lavora in aula per prepararla.
Anche l’attribuzione del voto di maturità viene modificata, perché il massimo del credito scolastico ottenibile alla fine del triennio delle superiori viene elevato da 25 a 40; il peso del percorso scolastico sul voto finale sale così al 40% su un voto massimo pari a 100. È una decisione sensata se si parte dall’idea che si debba promuovere l’impegno degli studenti durante il percorso scolastico; ma non così ovvia, perché l’esame dovrebbe essere una verifica di quel percorso.
Un ultimo punto relativo alla maturità: si temeva una eliminazione dei commissari esterni, che avrebbe screditato l’esame. Tuttavia, e per fortuna, le commissioni di esame restano come sono ora, composte da tre commissari interni e tre esterni, più un presidente esterno.
Infine, le prove Invalsi. Il decreto rafforza la loro centralità nel sistema di valutazione della scuola italiana, ne estende l’ambito di applicazione e corregge una stortura. Le prove verteranno in futuro non soltanto su italiano e matematica, ma anche su inglese. Verranno svolte, come già previsto, nel secondo e quinto anno della primaria, nell’ultimo della scuola media, e nel secondo delle superiori. Si aggiungerà una prova al quinto anno delle superiori. Nessuna di queste, però, entrerà in sede di esame, perché come già detto la prova Invalsi della terza media è stata tolta dall’esame del primo ciclo, e quella del quinto anno delle superiori non viene inserita nell’esame di maturità. Le prove si terranno in primavera. Tuttavia, ci sono due novità contestabili, soprattutto la seconda: la partecipazione alle prove diventerà requisito necessario per l’ammissione all’esame di Stato di entrambi i cicli; l’esito delle prove verrà riportato nella attestazione delle competenze rilasciata dopo l’esame, sempre per entrambi i cicli. La prima decisione è stata presa probabilmente per aggirare il boicottaggio delle prove Invalsi da parte degli studenti; tuttavia, rischia di alzare ulteriormente la tensione, e soprattutto dà una risposta amministrativa e coercitiva a un problema politico. La seconda decisione è scorretta per le ragioni didattiche già esposte: le prove Invalsi sono strumenti di misurazione statistica, non esami di valutazione individuale, quindi il loro risultato deve servire a valutare non il singolo studente, ma la scuola e il sistema scolastico; dunque perché mai riportarne l’esito nella attestazione delle competenze? Diciamo che se si vuole trasformare l’esame di maturità in un esame esterno nazionale, allora lo si deve fare esplicitamente con l’uso di prove solo esterne finalizzare all’esame stesso, e con commissari solo esterni. L’uso improprio delle prove Invalsi va comunque evitato.
Nel complesso, il giudizio del decreto deve essere positivo: vengono semplificati i due esami finali, viene eliminata una stortura nell’esame di terza media, e viene razionalizzata l’ammissione a quello di quinta superiore. È auspicabile però che vengano corretti i due punti più contestabili: la partecipazione alle prove Invalsi come requisito per l’ammissione all’esame di maturità, e il fatto che il loro esito venga riportato nella attestazione delle competenze.
Riproduzione riservata