L’approvazione in Senato del disegno di legge per la promozione e il sostegno alla lettura, la cosiddetta «Legge sul libro», vede scontrarsi due posizioni. Da un lato chi è convinto che andasse mantenuto l’impianto sostanziale della «Legge Levi», in vigore dal 2011, con un tetto massimo di sconto del 15% sui libri e campagne della durata, al più, di un mese con sconto fino al 25%; dall’altro chi invece ritiene che ci si debba adeguare ai principali Paesi europeiin cui lo sconto possibile sui libri è inesistente (come in Germania) o al massimo del 5% (in Francia e in Spagna). Negli ultimi anni un numero preoccupante di librerie ha chiuso, le biblioteche pubbliche sono diminuite e quelle scolastiche quasi del tutto scomparse. Nel frattempo, gli indici di lettura sono scesi a livelli drammatici. L’Italia è il fanalino di coda a livello europeo: se in Francia oltre l’80% della popolazione adulta legge almeno un libro all’anno, in Italia siamo fermi alla metà (40,6% secondo i dati Aie).
Proprio la Francia fu tra i primi Paesi che, una quarantina di anni fa, vide affermarsi le grandi catene di vendita dei libri, con Fnac che sbaragliò inizialmente il mercato facendo sconti massicci provocando un terremoto che produsse la scomparsa di moltissime piccole librerie. Nel 1981 Jacques Lang, appena nominato ministro della Cultura da François Mitterrand, promulgò una legge a sostegno del libro e della lettura che prevedeva l’obbligo di fissare un prezzo stampato sul libro e il divieto di praticare uno sconto superiore al 5%. Ciò permise a grandi catene e librerie minuscole di battersi ad armi pari: il lettore poteva scegliere l’offerta sterminata delle Fnac o la selezione accurata e rassicurante del libraio di quartiere.
Le librerie non sono semplicemente delle imprese commerciali, ma rivestono un imprescindibile ruolo sociale che va tutelato per il benessere e la crescita della collettività. Come i dati francesi hanno confermato, solo una diffusione capillare dei luoghi del libro (librerie e biblioteche) incentiva e facilita la lettura.
L’esempio francese è stato seguito dalla Spagna, sempre con il 5% di sconto massimo, e dalla Germania, dove lo sconto è vietato; in entrambi i Paesi gli indici di lettura superano di molto il 60%. I librai italiani chiedevano da tempo che si guardasse a questi esempi per un adeguamento della legge Levi, intervenuta in un momento – era il 2011 – in cui la grande distribuzione era scatenata. Ricordo che, da librai, eravamo arrivati ad acquistare Harry Potter al supermercato piuttosto che dal distributore ufficiale, perché avevamo condizioni commerciali migliori, mentre Amazon entrava nel mercato a gamba tesa con un dumping massiccio, vendendo ai privati con sconti maggiori di quelli che noi riuscivamo ad avere come librerie. Allora la diminuzione dello sconto massimo al 15% sembrò a molti lettori insopportabile, mentre a noi librai, che conoscevamo la situazione europea, appariva un’azione insufficiente: e così fu.
Una catena ha ovviamente un potere di acquisto più ampio nei confronti dei fornitori e, di conseguenza, riesce a ottenere sconti maggiori
Ma cosa significa, per una libreria, praticare lo sconto? Gli editori raramente hanno rapporti diretti con le librerie, e di norma affidano promozione e distribuzione a strutture di distribuzione che tengono poi i rapporti con le librerie. Costoro vendono alle librerie con margini variabili: una libreria indipendente ha un margine medio intorno al 30% lordo rispetto al prezzo di copertina fissato dall’editore, con cui bisogna pagare l’affitto, gli stipendi dei lavoratori, la luce, anche quella che illumina la strada su cui è la libreria e che dà sicurezza a chi la percorre.
Una catena ha ovviamente un potere di acquisto più ampio nei confronti dei fornitori e, di conseguenza, riesce a ottenere sconti maggiori. Così è, naturalmente, per Amazon e per le altre librerie online. Forti dei margini che hanno, e di una legge che gliel'ha sin qui permesso, praticano sconti del 15% sulla vendita, per attirare i clienti; le catene sulle novità, Amazon praticamente su tutto.
È evidente che le librerie indipendenti non possono sacrificare la metà del loro margine per essere al passo con questi sconti: da qui la difficoltà a stare sul mercato con conseguente chiusura di un numero impressionante di punti vendita, sbaragliati dalla vicinanza con le librerie di catena nelle grandi città e dalla vendita online nei piccoli centri. Non è vero che la crisi delle librerie indipendenti è dovuta alla loro incapacità di agire in una realtà che cambia, quanto piuttosto il contrario: c’è un mercato che non permette di concorrere ad armi pari. Uno sconto massimo del 5% permette a librerie piccole e grandi, fisiche e virtuali, di giocare la stessa partita: quella della vendita del libro.
Con il venire meno delle librerie e con la concentrazione delle case editrici in mano a pochi soggetti, si verifica ciò che André Schiffrin ha chiamato «il controllo della parola», a scapito del pensiero plurale. Non c’è algoritmo che si possa sostituire all’esperienza del bighellonare fra gli scaffali, lasciandoci scegliere da un libro imprevisto. Un megastore di mille metri quadrati non è semplicemente la somma di 10 librerie da 100. Dieci librerie sono dieci diversi librai che leggono, scelgono, espongono e propongono libri diversi. Eccola, la «bibliodiversità».
Inoltre, impostare la politica di vendita solo sugli sconti significa mandare all’acquirente il messaggio che il valore di ciò che sta acquistando è minore di quanto dichiarato in copertina, una diminutio del valore intrinseco del libro come portatore di idee. È giusto scontare da subito un romanzo o un saggio? Nessuno in farmacia o in edicola, due settori con merce il cui prezzo è fissato a monte, si sogna di chiedere lo sconto.
Ci aspettano tempi complicati, nei quali dovremo spiegare a tutti una situazione controintuitiva: meglio avere i libri senza sconto. In questi anni abbiamo assistito da parte di alcuni editori a un ricorso sconsiderato e massiccio alle campagne promozionali che ha determinato, nei fatti, un aumento del prezzo di copertina, gonfiato artatamente per poter assorbire il mancato introito dato dallo sconto praticato.
Sia chiaro, le campagne sconto non sono il diavolo: centellinate e ben promosse hanno grande appeal sui lettori. Ma l’uso continuo che se ne è fatto ha prodotto un rumore di fondo che ha ormai effetti quasi nulli sulle vendite alla cassa, sono funzionali solamente alle esigenze degli editori di muovere un po’ di giacenze di magazzino.
La legge ha previsto una card di 100 euro da destinare all’acquisto dei libri per le famiglie a basso reddito. Misura a cui andrà aggiunta la deducibilità dell’acquisto dei libri come in altri Paesi. Siamo già tutti attrezzati, con le nuove casse, ad emettere lo scontrino parlante come le farmacie: questa è la strada. Mentre nel nostro Paese sono detraibili le spese sportive e quelle veterinarie non lo sono quelle sostenute per i libri scolastici. Su questo c’è ancora molto da lavorare, se anche nella nuova legge è stata lasciata la possibilità di praticare uno sconto fino al 15% sui libri scolastici «per andare incontro alle esigenze delle famiglie».
Trovo che questo sia un grave vulnus della legge: le librerie su questa categoria hanno un margine che ormai è intorno al 15%, se va bene. Gli ipermercati possono praticare lo sconto anche andando sottocosto perché sanno che il cliente, per ritirare i libri, farà anche la spesa, più volte, e la cancelleria ha margini ben diversi. In più era oramai invalso il cosiddetto cross merceologico, cioè un vantaggio ulteriore rispetto allo sconto, ad esempio la raccolta punti fedeltà, vietato dalla nuova legge.
Tutto ciò è funzionale alla narrazione che porta avanti la Gdo di una politica di prezzi «amica delle famiglie», ma non si va incontro alle esigenze delle famiglie togliendo quote di guadagno ad altre categorie deboli come le librerie. Dai contrari alla nuova legge si è anche paventata una perdita di posti di lavoro nelle case editrici. Ma non converrebbe invece guardare alla mancanza di seri investimenti in politiche di educazione alla lettura e a una reale salvaguardia del comparto editoriale?
Credo che questa nuova legge avrà effetti positivi per il futuro della nostra filiera. Chi ora ritiene di avere subito un torto dall’abbassamento dello sconto nell’immediato, avrà un ritorno benefico nel futuro: più librerie in cui acquistare, ampliamento della comunità dei lettori e dunque più cittadini consapevoli, un’ auspicabile contrazione dei prezzi da parte di case editrici che prima ricorrevano alle campagne sconto in modo più continuativo per potersi allineare alle altre.
Chi ora ritiene di avere subito un torto dall’abbassamento dello sconto nell’immediato, avrà un ritorno benefico nel futuro: più librerie in cui acquistare, ampliamento della comunità dei lettori e dunque più cittadini consapevoli
È chiaro che, contestualmente, occorre lavorare sulla formazione scolastica. Qui conteranno molto i decreti attuativi che dovranno intervenire, come previsto dalla legge, per finanziare la formazione di personale che gestisca le biblioteche scolastiche, il loro rafforzamento tramite adeguati finanziamenti che mancano da moltissimo tempo e mille altre iniziative che ancora possono essere messe in campo per avvicinare (o non allontanare) le persone alla lettura, compresa la formazione degli insegnanti, che resta fondamentale.
In questi giorni ho letto che anche molti autori si sono dichiarati contrari alla legge, condizionati dalle posizioni di chi paventa un’immediata contrazione delle vendite. A tutti costoro possiamo chiedere: se le librerie indipendenti non ci fossero più e rimanessero solo catene e librerie online con una comprovata – questa sì – contrazione, come vivrebbero gli editori e gli autori?
Un cenno infine all’albo delle librerie di qualità, previsto dalla legge. Nella quasi totalità delle librerie che conosco sono organizzati ogni giorno letture, incontri con autori, corsi e quanto viene in mente alla fantasia dei librai per solleticare l’attenzione dei lettori. L’albo serve a sancire il valore di questo nostro lavoro e la conferma che le librerie non sono solo luoghi di commercio, ma anche di scambio di idee e di crescita, con un ruolo fondamentale di aggregazione sociale, importante in città ma indispensabile nelle comunità più piccole.
Le librerie non vogliono essere viste come panda in estinzione che elemosinano interventi pubblici nel tentativo di prolungare la propria agonia. Chiedono piuttosto che venga loro riconosciuto il ruolo fondamentale svolto nella società e nella formazione culturale delle persone. La nuova legge, finalmente, va in quella direzione.
Un buon lettore è una persona che sa scegliere e che esercita il proprio pensiero critico, in grado di tutelarsi da condizionamenti e manipolazioni. E le librerie sono mattoni fondamentali della nostra democrazia.
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